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La tv del Ramadan, tra isolamento e digiuno

Anche le produzioni televisive dei Paesi arabi, sempre più esportate, subiscono i colpi della pandemia. E proprio alle soglie del momento annuale diventato cruciale anche per ascolti e pubblicità.

C’era un tempo, prima degli smartphone e dei social media, prima della televisione e di Netflix, in cui nel mondo arabo-islamico le lunghe notti di Ramadan erano riempite dalle storie dei cantori. La narrazione dello hakawati – in arabo hekaya significa storia – radunava folle nei mercati, nei caffè, nelle piazze dei villaggi. I racconti parlavano di guerrieri, condottieri, poeti, eroi, della religione, dell’amore e della vita di tutti i giorni, di personaggi storici o inventati, magari lì, sul momento. E avevano tutti in comune una morale, un insegnamento. Nel suo romanzo Hakawati, il Cantore di Storie (Bompiani), il libanese Rabih Alameddine ricorda la leggenda di Ahmed al-Saidawi, che nel XVIII secolo narrò in un caffè di Aleppo la vita del sovrano mamelucco Baybars. Ci mise 372 notti. 

Oggi nei paesi arabi bastano 30 notti per produrre la narrazione di un anno intero. Attorno al 23 aprile, a seconda della geografia e della luna, comincia nel mondo musulmano il Ramadan, il mese del digiuno sacro, dall’alba al tramonto, uno dei cinque pilastri dell’islam. Sono molte le tradizioni legate a questo periodo di preghiera ma anche di festa e socialità, in cui le famiglie e gli amici si ritrovano ogni giorno, con il calare della sera, per rompere assieme il digiuno. Le abitudini cambiano da Paese a Paese, anche se negli ultimi decenni durante Ramadan ad accomunare milioni di persone dall’Iraq al Marocco passando per il Golfo è la visione compulsiva di serie televisive. Registi, produttori ed emittenti dell’intera regione sono i moderni cantori delle notti di Ramadan. Come ormai si può constatare su Netflix, le serie tv arabe, pensate per il mese sacro islamico, sono costruite su 30 puntate. Ogni anno, le produzioni diventano più numerose e la competizione tra i paesi e le emittenti più serrata.

Come le festività religiose di Pesach per gli ebrei e Pasqua per i cristiani, anche il Ramadan arriva quest’anno nel mezzo di una pandemia che ha costretto in isolamento un terzo della popolazione mondiale, e arrestato attività economiche, commerciali, sociali e culturali un po’ ovunque. La diffusione del coronavirus avrà un impatto anche sulle tradizioni di milioni di musulmani durante il mese di Ramadan: sarà impossibile invitare amici e parenti all’iftar, la cena dopo il tramonto con cui si interrompe il digiuno, o vegliare in gruppo la notte, in casa, nei mercati, nei caffè e nei ristoranti, o davanti al piccolo schermo attendendo il suhur, quel pasto prima dell’alba che segna l’inizio di un nuovo giorno di astinenza da cibo e acqua. E anche la moderna tradizione delle serie tv, mosalsalat, parola che ha la stessa radice del termine arabo per catena, è stata toccata dall’emergenza sanitaria globale. 

Il virus e le produzioni

Nei giorni in cui in Italia e in Europa iniziava a essere evidente che il Covid-19 non era soltanto un problema della Cina, e che il coronavirus si sarebbe diffuso un po’ ovunque nel mondo, le produzioni tv arabe hanno subito una netta accelerazione. Si è tentata una corsa contro il tempo – non sempre con successo –, perché ogni anno le produzioni di Ramadan finiscono i lavori solo pochi giorni prima dell’inizio del mese sacro. Gli account social di registi e attori hanno raccontato le nuove misure prese sui set: l’imposizione delle distanze di sicurezza, l’uso delle mascherine e la costante sanificazione degli ambienti. In alcuni casi, i registi hanno dovuto proprio ripensare intere scene non ancora girate o cambiare le location, a causa dell’arrivo delle prime restrizioni di viaggio. È accaduto alla seconda stagione del poliziesco saudita Iktiraf, per la metà girata in Egitto, scrive il quotidiano degli Emirati arabi The National. Le decisione del governo del Cairo di sospendere i voli ha infatti bloccato le riprese. La diffusione del virus e le restrizioni sui viaggi hanno imposto un cambiamento di piani anche nel caso della serie di spionaggio Hajmatan Murtada, con l’attore egiziano Ahmed Ezz: molte scene avrebbero dovuto essere girate in diverse location europee. 

C’è chi però non ha soltanto adattato copione e scenografie alla nuova vita ai tempi dell’emergenza, ma ha invece dovuto cancellare le produzioni. Lo sceneggiatore Mohamed Hefzy ha sospeso i lavori della nuova stagione della serie horror Paranormal, che dovrebbe arrivare su Netflix, mentre non è stato possibile andare avanti a girare il dramma storico sulla vita del guerriero musulmano Khalid ibn al Waild, a causa delle molte scene corali e di battaglia che avrebbero previsto assembramenti. Nei panni del condottiero c’è l’attore Amr Youssef, diventato volto noto sempre su Netflix – dove iniziano a comparire le prime produzioni arabe – con Secret of the Nile.

Gli account social di registi e attori hanno raccontato le nuove misure prese sui set: l’imposizione delle distanze di sicurezza, l’uso delle mascherine e la costante sanificazione degli ambienti. In alcuni casi, i registi hanno dovuto proprio ripensare intere scene non ancora girate o cambiare le location, a causa dell’arrivo delle prime restrizioni di viaggio.

La minaccia del contagio e l’urgenza di terminare le serie televisive di Ramadan, cuore dell’industria televisiva del mondo arabo-islamico, hanno portato a inevitabili polemiche. “I canali fanno pressioni sui produttori, i produttori sul cast, il cast è obbligato a girare per senso di responsabilità e timore di perdere il lavoro”, ha scritto in un post su Facebook la sceneggiatrice egiziana Mariam Naoum, dopo che il sindacato degli attori aveva fatto sapere, ancora a marzo, che non c’erano indicazioni sulla sospensione delle produzioni. Sui social, in Egitto, uno dei Paesi arabi con la più antica e radicata tradizione cinematografica e televisiva, si sono lamentati anche l’attrice Rania Youssef e il regista Yousry Narsallah, che ha scritto: “Nulla giustifica il giocare con la salute della gente”.

Ancora più pubblico

La pandemia ha dunque un impatto sulla vasta produzione televisiva del mondo arabo, ma l’isolamento domestico imposto – in maniera più o meno rigida – da governi e regimi della regione potrebbe avere l’effetto di gonfiare i già larghi numeri del pubblico di Ramadan. Secondo un sondaggio YouGov commissionato a maggio 2018 da Netflix, l’audience televisiva in Medio Oriente – Egitto, Emirati arabi uniti, Arabia Saudita – sale del 78 per cento durante il mese sacro. Questa percentuale rende prezioso e soprattutto costoso lo spazio delle pubblicità in quei giorni. È stato più volte fatto un paragone con gli Stati Uniti: il tempo pubblicitario di Ramadan vale, diffuso su 30 giorni, quanto quello durante il Super Bowl, la finale del campionato NFL. Il sito finanziario egiziano al-Borsa scriveva nel 2016 che le emittenti locali avevano aumentato del 50 per cento il prezzo degli spazi pubblicitari per Ramadan. E che il mese sacro generava allora il 30 per cento delle rendite pubblicitarie annue per i canali privati.Come in America per il Super Bowl, la pubblicità di Ramadan è ormai un genere, anticipato e atteso, in cui le produzioni amplificano i valori familiari della celebrazione religiosa. C’è competizione per ottenere la comparsa di attori celebri, cantanti e musicisti. In Egitto, l’anno scorso Amr Diab, stella della canzone, era il protagonista di un emozionale spot di Vodafone, che terminava con una tavolata di volti del miglior jet set arabo. Puntava sulla musica, con un duetto tra la pop star libanese Nancy Ajram e il cantante Tamer Hosny, anche lo spot di un’altra compagnia telefonica, Orange. Ha fatto molto ridere la pubblicità della National Bank of Egypt, dove tre uomini in passamontagna e con armi alla mano assaltavano una filiale per svaligiarla. Una guardia poco impressionata spiegava loro come di contanti in quel luogo non ce ne fossero, perché ormai la banca aveva iniziato a fare soltanto operazioni online. A vincere, almeno in termini di comparse, sembra essere stata la compagnia telefonica Etisalat Egypt, che ha portato sugli schermi, assieme all’attore e cantante Mohamed Ramadan, i muscoli di Jean-Claude Van Damme. E sarà interessante capire se, quest’anno, a causa della nuova normalità dell’isolamento imposta dalla pandemia e per via della conseguente ridistribuzione dei consumi, le produzioni pubblicitarie arabe abbiano dovuto adattare in corsa anche i loro spot tanto attesi.


Rolla Scolari

Giornalista. Nata a Milano, con origini miste tra Emilia, Libano ed Egitto, ha vissuto e lavorato in Medio Oriente dal 2005 al 2013 per diverse testate tra cui Il Foglio, Il Giornale, Panorama, IL Magazine, Sky TG24, The National. Dal 2015 al 2018 è stata direttore responsabile ed editoriale di Fondazione Oasis. Oggi scrive per La Stampa, Il Foglio, Grazia, Linkiesta, Rivista Studio ed è autrice e curatrice dei contenuti di eventi e festival legati alle testate RCS.

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