L’innovazione tecnologica ha portato il cinema a esplorare nuovi territori fantastici, dando vita a un boom di narrazioni basate sui mondi perduti. L’abuso di questi immaginari finisce però per rivelare l’insostenibilità di un’industria basata sulla produzione standardizzata di terre inesplorate.
I film e le serie sono il prodotto degli strumenti usati per farli e delle persone impiegate per farli. E non lo sono solo tecnicamente ma anche creativamente. Il rapporto di causa ed effetto non funziona soltanto in una direzione, cioè non è solo vero che una tecnologia assolve a un bisogno, o che un problema creativo viene risolto usando una tecnologia ma anche il contrario, cioè che l’esistenza e la disponibilità di una tecnologia stimolano la creatività in una direzione specifica. Gli studios vogliono usare quello che hanno e vogliono che i loro film sfruttino le tecnologie che possiedono (si cominciarono a fare molti musical acquatici negli anni Trenta quando fu costruita la prima grande vasca per riprese). Questo spesso spinge i film nella medesima direzione. Una di queste, la più invadente degli ultimi anni, è quella dei mondi perduti che vengono scoperti ed esplorati.
Il modello Pandora
Non è una novità contemporanea, il mondo perduto per eccellenza è Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle il romanzo del 1912, apice di una fase in cui i “mondi perduti” erano un sottogenere dei romanzi di avventura, ne esistevano molti e rispondevano all’idea che il mondo era ancora un posto che la razza umana non aveva esplorato interamente, e quindi era plausibile fantasticare di luoghi a noi ancora preclusi in cui trovare qualcosa di fantastico. In quel romanzo, ad esempio, un gruppo di esploratori scopre che su un altopiano del Venezuela c’è un mondo nascosto in cui i dinosauri prosperano. Questo topos narrativo è tornato in auge nel momento in cui il cinema ha scoperto di poter creare mondi perduti con facilità e verosimiglianza, e che questo si sposava bene con quello che il pubblico sembra premiare.
È stato Avatar, nel 2009, a segnare il punto dopo il quale tutto è cambiato. In quel film un gruppo di militari del futuro viene mandato sul pianeta Pandora, dove vive la tribù nativa e selvaggia dei Na’Vi, e lì con la tecnologia è possibile che la coscienza di un umano sia trasferita nel corpo di un Na’Vi (che per l’appunto funziona da avatar). Pandora è il mondo perduto del film, un pianeta dagli scenari spettacolari, rocce sospese nell’aria, natura lussureggiante, cascate, alberi della conoscenza, animali strani e pericolosi ma anche tribù con usi e costumi particolari. Come tutti i veri mondi perduti va protetto. L’intreccio è un classico: vuole che gli umani siano lì per colonizzare, predare e distruggere, mentre il protagonista, entrato nel corpo Na’Vi, conosca così tanto la cultura dei nativi da passare dalla loro parte e lottare con loro. Nel sequel scopriamo altre parti di Pandora, e in particolare i popoli che vivono nelle zone oceaniche, e quindi anche la fauna ittica.
L’espediente della scoperta di un mondo perduto rappresenta la soluzione più semplice e sicura per creare una serie di film e mettere al lavoro i propri dipendenti. L’idea che domina nei consigli di amministrazione è che un film per essere visto da molte persone debba proporre un universo narrativo.
Pandora è stato il primo mondo perduto realmente verosimile e complesso. Al contrario, un film per molti versi paragonabile ad Avatar, come Jurassic Park (1994), faceva scoprire ai suoi personaggi un’isola parco giochi in cui i dinosauri sono stati ricreati, che per quanto possa rappresentare un proto-mondo perduto del cinema, presenta delle differenze narrative importanti. Un conto è entrare in una simulazione (un parco creato apposta) e un conto è scoprire un intero ecosistema alternativo.
Si tratta sempre, per chi i film li fa, di dare l’illusione di una location nuova da esplorare, ma il vero mondo perduto è soprattutto un luogo di storie e personaggi, è una fucina di civiltà e situazioni. Quello di Jurassic Park e di altri film simili (Matrix, in cui il mondo perduto è la simulazione del nostro, Dark City e via dicendo) sono in realtà mondi di cartapesta la cui esplorazione è limitata. Jumanji semmai può essere considerato un antesignano, anche per l’uso della computer grafica, ma di nuovo la vera ispirazione dei mondi perduti moderni è molto di più Arthur Conan Doyle e quindi magari, parlando di cinema, il mondo perduto dove è ritrovato King Kong nel film del 1933 (c’erano anche i dinosauri!).
Il successo di Avatar ha imposto a tutti di studiarne le caratteristiche vincenti, ed essendo la sua una storia eterna, è stato subito chiaro che non era tanto nella scrittura, quanto nell’impostazione che risiedeva il suo segreto. Pandora è sia un mondo digitale costruito e progettato nel dettaglio, sia un mondo narrativo, fatto di tribù, usanze, creature, riti e quindi bacino per molte altre storie. Ad oggi, se non cambia niente, Avatar avrà quattro sequel di cui uno già uscito e l’ultimo previsto per il 2031.
Il business dei mondi perduti
L’idea di mondo perduto proposta da Avatar ha influito moltissimo sui nuovi film, che hanno cominciato a proporre sempre più storie di personaggi che si avventurano in posti sconosciuti che non si pensava esistessero. La Marvel ha iniziato ad abusarne e mondi perduti si trovano in Ant man and the Wasp, Guardiani della galassia Vol. 2 e nella serie Loki. L’era glaciale 3 – L’alba dei dinosauri si fonda sulla scoperta di un posto caldo da parte di personaggi che vivono per l’appunto l’era glaciale; Strange World – Un mondo misterioso della Disney è tutto sul viaggio alla scoperta di un mondo strano; mentre Super Mario Bros. – Il film fa in modo che per il protagonista (di New York) l’arrivo nel mondo dei funghi coincida con la scoperta di quello che per lui è un mondo perduto. Addirittura Godzilla vs. Kong finisce in una specie di punto cavo della Terra in cui prosperano scimmie giganti e infine Barbie, dal suo mondo (perduto per noi) viaggia nel nostro (che è una scoperta per lei e Ken). La componente cruciale è che ogni volta i personaggi siano esterrefatti da quello che vedono, che il montaggio illustri i panorami, che la storia li faccia muovere e sbagliare, commettere errori non conoscendo usi o pericoli del posto in cui sono finiti, che tutto sia bello da vedere e accogliente (per certi versi) e pericoloso (per altri), che poi è il mix che crea il concetto di avventura.
L’espediente della scoperta di un mondo perduto è quindi oggi la soluzione più semplice, e per certi versi più sicura ed efficace, per creare una serie di film e per mettere al lavoro i propri dipendenti. Da quando il pubblico ha iniziato a chiedere al cinema racconti epici e spettacolari (mentre quelli in cui conta la scrittura e le qualità li chiede alla televisione) la capacità di creare uno spettacolo facendo leva soprattutto sull’utilizzo di effetti visivi è diventata cruciale. L’idea che domina nei consigli di amministrazione degli studios, e che viene ripetuta nelle interviste, è che un film per essere visto da molte persone debba proporre un universo narrativo.
Soprattutto nel momento in cui i film ad alto budget vengono pensati per uno sfruttamento in serie, cioè per avere sequel, prequel, spin-off, e magari una serie tv o altri film collegati, è indispensabile creare un universo narrativo.
I mondi perduti sono esattamente questo: luoghi narrativi che i personaggi (e noi con loro) devono esplorare. Perché siano tali serve quindi di immaginare un design per la flora, uno per la fauna, regole su come si vive lì (la gravità è la stessa? Fa caldo?), ci si possono inserire regni di personaggi cattivi, o antichi amici intrappolati, tutto secondo regole antiche della narrazione. La scena in cui i piloti di Avatar arrivano sul pianeta Na’Vi e sono stupiti nel vederlo, è esattamente quello che il cinema dei mondi perduti vuole stimolare negli spettatori. “You’re not in Kansas anymore”, viene detto all’arrivo su Pandora, citando quel che Dorothy dice al suo cane Toto ne Il mago di Oz e quindi collegando l’impatto visivo di Pandora (e del 3D cinematografico che Avatar riportava in auge) con l’impatto del passaggio dal seppia del Kansas al technicolor del mondo di Oz, in un altro film in cui una protagonista scopre un mondo nuovo e spettacolare e in cui tornerà nel sequel con nuovi personaggi e avventure.
Universi scalabili
Lungo i quindici anni passati da Avatar l’uso di effetti visivi digitali non ha fatto che aumentare, quindi la maniera più facile di creare un contenuto spettacolare (in questo caso un nuovo mondo digitale) ha cominciato a sposarsi bene con la disponibilità di una particolare figura professionale presente a Hollywood: gli animatori in computer grafica. Nel momento in cui c’è grande offerta di persone che, tra le molte cose, possono creare mondi digitali, diverse produzioni finiranno per impiegarli.
Soprattutto nel momento in cui i film ad alto budget vengono sempre pensati per uno sfruttamento in serie, cioè per avere sequel, prequel, spin-off, e magari una serie tv o altri film collegati, è indispensabile creare un universo narrativo. Ma questo si può fare anche senza ricorrere ai mondi perduti: l’universo narrativo cinematografico per eccellenza, che ancora rappresenta un enorme punto di riferimento oltre che generatore di tantissime storie, è la galassia di Guerre stellari, ma anche la Marvel ha creato un universo narrativo (prima nei fumetti poi tradotto al cinema) senza per forza scoprire mondi in ogni film (ma non disdegnando la cosa ogni tanto). Il mondo perduto, come detto, è solo la maniera più facile per arrivare all’obiettivo: le professionalità ci sono, e di storie in quel posto se ne possono creare quante se ne vuole.
Come sempre Hollywood, intesa come il complesso delle aziende che lavorano alla produzione di film e serie tv ad alto budget negli Stati Uniti, ha preso un problema economico, cioè l’esigenza di trasformare ogni film in un evento spettacolare, che richiede una soluzione creativa (immaginare dei film che lo possano fare), e ha applicato un metodo industriale: assunzione di personale, creazione di flussi produttivi replicabili e soluzioni che impostano uno standard per una produzione in scala (un mondo perduto è un complesso di creazioni digitali che vengono replicate negli altri film della serie e solo aggiornate). Questo non crea solo film ma asset di valore per lo studio, cioè quel mondo con le sue caratteristiche esclusive, le sue creature e la sua personalità.
Gabriele Niola
Giornalista e critico di cinema, videogiochi e webserie, è stato selezionatore della sezione Extra del Festival del Film di Roma e per il Taormina Film Fest. Scrive per MyMovies, BadTaste, Wired, Leggo, Fanpage e i 400calci.
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