Vogliamo tutto, lo vogliamo gratis. E così il mondo digitale è farcito di mesi di prova, che possono poi diventare anni, nel tentativo delle aziende di convincerci – finalmente – a pagare. Prova a prendermi.
Ma quando abbiamo smesso di comprare? Cioè, di comprare in senso tradizionale: quello scambio ancestrale in cui il compratore paga un prezzo, e il venditore consegna un prodotto. La teoria economica pontifica infatti che in quella situazione si raggiunge un equo compromesso tra il valore percepito (del prodotto) e il dolore di staccarsi (dal denaro). Altre sfumature non erano ammesse dai precetti del marketing. Nel XX secolo ogni altra soluzione, per esempio provare qualcosa gratuitamente, sarebbe stata vista in modo sospetto. Oggi sembra diventata la norma per la maggior parte dei servizi che acquistiamo.
Precedenti gratuità
La prova gratuita, o a condizioni ridicolmente vantaggiose, era un modello riservato ai coraggiosi esploratori delle opportunità del Club degli Editori, una specie di abbonamento a libri scelti da altri in cui questi dovevano ricordarsi di comunicare la loro rinuncia al Libro Del Mese (il maiuscolo è originale) pena l’automatica ricezione e relativo addebito dell’ennesimo bestseller a prezzo speciale. Un sistema che andava peraltro contro la regola per cui i bestseller sono gli ultimi prodotti di un qualsiasi catalogo a essere offerti a prezzi scontati, in qualsiasi settore. I primi libri erano (e sono tuttora) offerti a un euro come incentivo all’ingresso nel Club.
Un altro esempio erano gli ultra-promossi-in-tv primi-fascicoli delle raccolte settimanali, veri e propri try and buy ante litteram, proposti invariabilmente a prezzo vicino alle classiche 1990 lire o poi ai 0,99 euro per almeno due settimane. Il meccanismo funzionava con una pletora di oggetti e argomenti: ancora oggi si possono ritrovare in questa formula modellini di auto, navi e aerei da montare pazientemente. Per esempio si invita a costruirsi una propria versione miniaturizzata dell’Andrea Doria, scelta storica che fa intravedere target demografici ben delineati. O modelli di auto: componi la tua Lamborghini Miura, idem. Ma erano presenti anche manuali di cucina, atlanti geografici e enciclopedie storiche, monografie sui maestri dell’arte italiana. Recentemente è comparsa una combo transmediale composta da dvd (!) di film più rivista popolare più raccolta di figurine con – trial nel trial – un primo mazzetto di carte colorate adesive.
Qualsiasi negoziante sa che con la fidelity card ti deve regalare da subito un po’ di punti, per darti un nudge, una spintarella gentile ma subdola verso il traguardo finale. Quando sarai arrivato a metà della raccolta, sarà lo sforzo accumulato fin lì a non farti desistere dall’obiettivo. È il bias del sunk cost: se ci abbiamo investito sufficientemente sforzo e tempo, tenderemo a completare il progetto iniziale, anche se nel frattempo non lo desideriamo più così tanto.
Se vogliamo, proprio il primo mazzetto di figurine offerto assieme all’album da completare all’uscita della scuola (anche questo esiste ancora, Covid-19 permettendo) è stato un altro free trial, in cui si faceva sperimentare gratis la gioia del primo adesivo risultato e intravvedere un illusorio facile completamento. Qualsiasi negoziante sa che con la fidelity card ti deve regalare da subito un po’ di punti, per darti un nudge, una spintarella gentile ma subdola verso il traguardo finale. Quando sarai arrivato a metà della raccolta, sarà lo sforzo accumulato fin lì a non farti desistere dall’obiettivo. È il bias del sunk cost: se ci abbiamo investito sufficientemente sforzo e tempo, tenderemo a completare il progetto iniziale, anche se nel frattempo non lo desideriamo più così tanto.
La norma
Da quando i prodotti sono diventati digitali, la prova gratuita è diventata la norma, e vecchie astuzie e nuove tecniche si sono fuse. Da una parte non siamo più così terrorizzati dalla prospettiva di abbonarci a qualcosa di continuativo, dall’altra però pretendiamo di provare ogni cosa prima di acquistarla davvero. Ma, in realtà, acquistiamo o rimaniamo permanentemente in quella posizione ibrida con un piede dentro e uno fuori, pronti ad andarcene per provare qualcos’altro?
Il prodotto digitale non ha costo di distribuzione: che siano serie, film, musica, corsi o software online non importa. O almeno non ha un costo ulteriore nel farcelo provare: il costo individuale marginale imputabile alla nostra prova è in effetti zero. La serie che è stata già pagata per milioni di persone non costa nulla per ogni trial in più, cosa che il Club degli Editori non si poteva permettere. Combinate questo vantaggio con un bias cognitivo individuato da Google in una ricerca chiamata The Messy Middle: cioè che siamo iper reattivi allo zero. Cioè quando il prezzo scende a zero, almeno per qualche tempo, la domanda sale all’infinito, mentre anche solo richiedere il classico prezzo feticcio del marketing (0.99) fa crollare il numero dei potenziali tester. Forse perché già consideriamo la nostra attenzione un privilegio accordato ai brand, anche senza usare Apple Pay o Paypal per un obolo simbolico. Questo è anche il motivo per cui la stampa online si è finora sviluppata con il modello “meglio le folle gratis che pochissimi a pagamento”, almeno finché quelle folle hanno apportato ricavi pubblicitari sufficienti.
Gli onnipresenti dati fanno il resto: nonostante siamo convinti di essere sufficientemente diversi tra noi (per esempio rispetto al nostro vicino di casa) presi collettivamente siamo prevedibili. Chi offre l’ingresso gratuito al proprio servizio non spera nella nostra conversione a utenti a pagamento. Lo sa: ci sono le percentuali (il tasso dì conversione appunto) a fornire parametri pressoché immutabili dei ritorni della prova. In molti casi basta quel residuale, ma regolare e prevedibile, 1% di persone che dopo il free trial continua a pagare per qualche mese per tenere in vita l’equilibrio economico dell’imbuto di acquisizione. Come peraltro è allo stesso modo prevedibile il numero di mesi per cui (in media) rimarremo iscritti al servizio. Ogni prova ha dunque un valore calcolabile, anche se viene offerta gratuitamente.
Il meccanismo del trial ha prodotto nel tempo un combinato disposto di post sponsorizzati targetizzati verso pubblici fertilizzati dall’intelligenza artificiale, che ridirigono a pagine di atterraggio predisposte ad hoc, ammiccanti ai vantaggi dell’offerta, naturalmente da catturare qui e ora, normalmente tronfie di orgoglio sul numero di persone che sono già felicemente clienti, e tranquillizzanti nel dirci che possiamo andarcene in qualsiasi momento. Queste pagine, a loro volta, ci fanno planare su form in cui i dati richiesti per l’accesso alla prova sono ridotti al minimo possibile per non rischiare di perdere il momento propizio costituito dai pochi secondi di attenzione concessi dal visitatore. Fino a qualche anno fa era prassi comune richiedere all’utente almeno un pegno di interesse come la carta di credito, per sperare che se ne dimenticasse, ma ora in gran parte ci si è rinunciato: troppo drop si dice in gergo, cioè troppi utenti sarebbero allontanati dal campo dell’inserimento dei numeri della Visa.
Trenta giorni
Molto meglio far passare tutti indistintamente dall’altra parte e andarci poi con i guanti di velluto, chiedere molto, molto gradualmente e più avanti di donarci i magici codici che ci permetteranno di addebitare la fee. Che è mensile, ovviamente: come il conto della cassetta settimanale di frutta, Netflix, il conto della carta di credito, le ads di Facebook, i software che usiamo online, perfino Office di Microsoft, volendo. Perché il costo annuale, parametrizzato sul mese, risulta meno impressionante: altri 10 euro per questo mese, poi ci penserò. Ma quel pensiero, sperano i servizi online, non arriverà mai. Quando i trenta giorni (il mese è nuova misura del tempo del marketing moderno) iniziano, la tecno-macchina dell’imbuto dell’engagement tratta la prova come l’inizio di un percorso ed è instancabile: il servizio online ci avrà intanto inviato una serie di email che enunciano ed estrapolano ciò che a loro giudizio è il valore vero di ciò che stiamo provando senza pagare.
Durante la prova ci si gioca il tutto per tutto, e fino a pochi minuti dalla fine (a volte oltre) comparirà uno sconto riservato, un tempo supplementare, un altro prolungamento della prova, certo in via eccezionale. O un upgrade dal servizio “Premium” al servizio “Premium+”. Ogni nostra inerzia ha già, predisposta nel sistema, una contromossa come negli scacchi.
Le piattaforme dì streaming ci avranno chiesto i nostri film preferiti (o avranno preso informazioni dai nostri dati in rete) per plasmare un servizio di onboarding personalizzato (in gergo si chiama così). La nostra hostess digitale è in realtà un servizio di email automation in cui ogni comportamento è mappato e pronto a scattare. I software online quindi ci avranno offerto formazione gratis sotto forma di email, tutorial e webinar per essere sicuri di farci sfruttare ogni feature (mica come il vecchio Office che si comprava o craccava in blocco e di cui nemmeno dopo dieci anni si arrivava a conoscerne le più nascoste funzioni e i trucchetti da veterano erano gelosamente custoditi). Le piattaforme formative ci interrogheranno su cosa vogliamo fare della nostra vita in modo da proporci corsi che servano allo scopo.
Nel frattempo, il servizio che stiamo provando avrà capito se intendiamo restare o no, naturalmente analizzando i nostri dati di uso: quali e quanti film, Gianluca? Se non abbiamo ancora visto un corso si affanneranno a proporcene altri ricordandoci che la prova scadrà, prima o poi, facendo leva su di un altro bias (quello della scarsità) vecchio come il mondo. Durante la prova ci si gioca il tutto per tutto, e fino a pochi minuti dalla fine (a volte oltre) comparirà uno sconto riservato, un tempo supplementare, un altro prolungamento della prova, certo in via eccezionale. O un upgrade dal servizio “Premium” al servizio “Premium+”. Ogni nostra inerzia ha già, predisposta nel sistema, una contromossa come negli scacchi.
E anche se l’ultimo tentativo di farci sottoscrivere fallisce, qualcosa resta: i nostri dati in un database in cloud. Il segnale, debole finché si vuole, ma chiaro nel testimoniare che abbiamo avuto in passato un momento di debolezza servirà per riprovarci a tempo indeterminato: ci condannerà a un duello senza scadenza a colpi di banner e di popup da skippare di offerte ad hoc automatizzate, email passivo-aggressive dai toni melanconici e struggenti (“Gianluca torna da noi!”). Perché provarci, si sa, non costa niente. Quel “Vuoi provare YouTube Premium?” ci terrà sempre compagnia, tra uno skip, un “no, grazie” e un “forse più tardi”.
Gianluca Diegoli
Dalla Bocconi in poi osserva passare i trend dall’evanescente confine tra online e offline. Di giorno si occupa di marketing e digital, di notte ha scritto Svuota il carrello (2020) per UTET. È professore a contratto in IULM e in Master. Ogni venerdì alle 9 manda la sua newsletter.
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