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Videogiochi

GTA V. Dieci fantastici anni di violenza

Il quinto Grand Theft Auto è uscito a settembre 2013. Il mondo è cambiato molto da allora. E rigiocarci non solo resta una grande esperienza videoludica, ma mostra la sua forte capacità di anticipare i tempi.

Cominciamo dalle cose ovvie. GTA V è probabilmente uno dei migliori videogiochi di sempre. Di sicuro, è uno di quelli che ha venduto più copie: 185 milioni, superato solo da Minecraft. Otto sono invece i miliardi di dollari che il gioco ha portato finora nelle casse di Rockstar Games, l’azienda che lo ha pubblicato. GTA V recuperò il budget iniziale di 265 milioni di dollari in poche ore dal lancio, arrivando a un miliardo di ricavi in meno di tre giorni. Era il settembre del 2013, Obama era presidente degli Stati Uniti e Roar di Katy Perry la canzone del momento. Sono passati dieci anni, un’era geologica nel mondo videoludico, ma GTA V non ha mai smesso di vendere, cavalcando tre generazioni di console. 

In Italia, è stato il quarto gioco più venduto dello scorso anno, battendo novità come Elden Ring o God of War: Ragnarok. La longevità è dovuta in buona parte alla componente online, l’affare in circolazione che più si avvicina al metaverso, altro che Zuckerberg. GTA Online è un mondo virtuale in continua espansione, sospeso tra un’estetica ormai retro inizio anni Dieci e un’accozzaglia colorata di roba aggiunta negli anni. Los Santos, la parodia di Los Angeles dove è ambientato il gioco, è la Barbieland di chiunque abbia sempre sognato di diventare barone della droga, rapinatore di banche o killer impazzito che stermina gioiosamente decine di persone con un fucile a pompa hot pink.

È la componente online – che permette di giocare su internet con amici e sconosciuti – l’elisir di lunga vita di GTA V, ma è la modalità “giocatore singolo”, un’avventura che ai completisti più zelanti richiede un centinaio di ore di vita, che mandò in deliquio i videogiocatori nel 2013 (all’opposto, GTA online fu criticato perché all’epoca c’erano poche cose da fare e continuava a crashare). E così, in vista del decennale e complice una piovigginosa estate danese, ho deciso di tornare nella ridente, soleggiata e violenta Los Santos e ri-sciropparmi il gioco da capo. Dieci anni dopo, GTA V rimane l’equivalente videoludico del Il padrino o dei Soprano, un capolavoro che tratta di tanti temi, ma forse soprattutto di mascolinità e violenza. E lo fa attraverso tre improbabili quanto indimenticabili protagonisti, tutti e tre personaggi giocabili in fasi diverse della storia: Franklin Clinton, Trevor Philips e Michael De Santa. Il buono, il brutto e il cattivo. Forse sono tutti e tre brutti e cattivi.

iFruit, Facade, Badger 

Il primo iPhone è annunciato da Apple nel 2007. Quando GTA V è pubblicato, siamo già all’iPhone 5, declinato in tre varianti (5, 5C e 5S). È l’inizio dell’età d’oro degli smartphone. Nel 2013, in Italia circa il 40% della popolazione ne possiede uno, due anni dopo è il 60%. I nuovi smartphone permettono alle persone di fare un sacco di cose utilissime, tra cui scattare infinite serie di selfie. Nel 2013, gli autoscatti sono così popolari che selfie è scelta come parola dell’anno dall’Oxford English Dictionary. GTA V è al passo coi tempi e i tre protagonisti possono scattare selfie con i loro smartphone: Michael ha un iFruit 9iX (sorta di iPhone), Franklin un Badger (misto tra un Samsung Galaxy e un BlackBerry, RIP) e Trevor un ammaccato Facade (sorta di Windows Phone, RIPx2).

GTA Online è un mondo virtuale sospeso tra un’estetica ormai retro inizio anni Dieci e un’accozzaglia colorata di roba aggiunta negli anni. Los Santos, la parodia di Los Angeles dove è ambientato il gioco, è la Barbieland di chiunque abbia sempre sognato di diventare barone della droga, rapinatore di banche o killer impazzito che stermina gioiosamente decine di persone con un fucile a pompa hot pink.

Scattare foto, selfie e non, è una delle tante cose divertenti da fare in GTA V. Ripercorrere il proprio album fotografico di Los Santos riporta a galla memorie legate al gioco, ma anche al momento della tua vita reale in cui stavi giocando. Lo stesso vale per altri titoli open world di Rockstar come Read Dead Redemption II (2015) le cui foto del mio personaggio a cavallo, sperduto negli sterminati paesaggi del Far West americano di inizio Novecento, sono tra le mie poche memorie fotografiche del primo lockdown. Tornando ai selfie di GTA V, ho ripescato dal mio archivio fotografico tre autoscatti che rappresentano meglio delle parole, che comunque aggiungerò sotto, che razza di personaggi siano Michael De Santa, Trevor Philips e Franklin Clinton e di cosa questi tre brutti e cattivi ceffi possano raccontarci di mascolinità e violenza nel 2013. E di come le cose siano o meno cambiate a 10 anni di distanza.  

Michael De Santa è un incrocio tra Tony Soprano e Neil McCauley, il taciturno rapinatore di banche del film Heat (1995) di Michael Mann. Come il patriarca di casa Soprano, Michael si trova intrappolato in una situazione famigliare soffocante. Va dallo psicologo e cerca di annegare i suoi demoni in bagni di violenza e patetico edonismo. Ex rapinatore di banche, si trova costretto per una serie di circostanze a doversi dedicare nuovamente alla criminalità. Sogna una vita da uomo perbene, ma fa ben poco per ottenerla. Crede di essere spacciato, finito, relitto di un mondo che non esiste più e per un po’ cerca di redimersi diventando una figura paterna per il più giovane Franklin, visto che suo figlio e sua figlia lo detestano. Altre due caratteristiche che lo rendono simile a Tony Soprano sono l’essere “un clown triste”, dotato di un senso dell’umorismo cinico che gli fa spesso sembrare la realtà nient’altro che uno spettacolo indifferente e nichilista, e l’avere “la bestia dentro di sé”, un raggrumo informe di pulsioni che riesce a esprimere solo tramite eccessi di violenza. Un suo selfie con una maschera da maiale davanti a un parco di divertimenti è forse quindi il vero volto di Michael.

Sociopatico narcotrafficante di origini canadesi, Trevor Philips è un personaggio ripugnante che fa di tutto per essere disprezzato. Incontrollabile, irrazionale e irascibile, ma anche calcolatore e capace di far valere i suoi interessi. Ogni tanto sembra che sotto tutto lo schifo si nasconda un cuore generoso o quantomeno qualcuno con un quoziente emotivo lievemente superiore al narcisista Michael, come quando si innamora della moglie di un boss che ha sequestrato. La subcultura country in cui è immerso Trevor è per certi versi l’anticipo di quel trumpismo fatto di cultura complottara, Sturgis Motorcycle Rally e stranezze assortite che sarebbe uscito dalle nicchie tre anni dopo con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Trevor è un po’ un trumpista ante litteram, pronto a spaccare tutto in nome dello spaccare, mentre Michael è un democratico disilluso il cui gesto politico più eclatante è andare farsi di un’erba potentissima da Barry, ben vestito attivista per la legalizzazione della marijuana (la cannabis divenne effettivamente legale a uso ricreativo in California nel 2016, tre anni dopo l’uscita di GTA V).

E infine c’è Franklin, un criminale afro-americano di bassa lega che sogna di diventare ricco. Più giovane di Michael e Trevor, entrambi, ma soprattutto il primo, ricopriranno un ruolo da quasi figura paterna nei suoi confronti. Franklin è un millennial in crisi che non sa bene cosa fare della propria vita. Ai suoi occhi, Michael e Trevor sono persone sì devastate ma che hanno saputo, nel bene e soprattutto nel male, combinare qualcosa nella vita. Ora sembra che di opportunità ce ne siano molte meno. L’idea gloriosa del sogno americano è un ricordo distante e sbiadito tanto quanto il mitico Far West di Red Dead Redemption. Invece, inaspettatamente, Franklin ce la fa per davvero. Diventa ricco, si compra una casa stupenda e in questo selfie sfoggia un completo su misura dopo essersi fatto un taglio di capelli da quasi 100 dollari. Ci ricorda che, al di là della retorica un po’ piagnona dei millennial, c’è un’economia occidentale, ma in questo caso soprattutto statunitense, che si è ripresa in modo roboante dalla crisi economica iniziata nel 2007 e che ha trottato, schivando in qualche modo il Covid, almeno finora, dieci anni dopo, momento in cui il futuro torna ad apparire abbastanza incerto.

GTA V siamo noi

E quindi cosa rimane di tutta la violenza vissuta nei panni di Michael, Trevor e Franklin? Delle decine di incidenti stradali finiti in omicidi plurimi, delle tranquille passeggiate trasformatesi in carneficine, degli ingenti mezzi dispiegati dal Los Santos Police Department per braccarci e prontamente fatti saltare in aria con un lanciarazzi, delle rapine in banca, di tutte le malefatte compiute nel nome di servizi segreti deviati e altre organizzazioni criminali assortite? Dai selfie di cui sopra si ha l’impressione che la violenza di GTA, in gran parte cartoonesca e satirica, sia anche un modo catartico per esplorare le contrastanti pulsioni in cui stanno a bagnomaria i nostri cervelli. Soprattutto i cervelli, statisticamente più aggressivi e fisicamente violenti, dei maschi.

Scattare foto, selfie e non, è una delle tante cose divertenti da fare in GTA V. Ripercorrere il proprio album fotografico di Los Santos riporta a galla memorie legate al gioco, ma anche al momento della tua vita reale in cui stavi giocando.

In fondo GTA non è altro che Barbie per (post) adolescenti maschi. Ma a differenza di Barbie e della stragrande maggioranza delle proprietà intellettuali in circolazione, l’unico modo per visitare Los Santos è giocando a GTA V. Non ci sono infatti né film né serie tv in programma (solo un sesto videogioco atteso come il Messia). Quindi se siete tra i fortunati mortali a non avere ancora giocato a GTA V, dategli una chance e comprate un biglietto sola andata per Los Santos. Scoprirete un gioco che, dieci anni dopo, mantiene tutta la sua carica esplosiva, spesso letteralmente. Buon compleanno Grand Theft Auto V, dai che riesci a sopravvivere a un paio di altre generazioni di console.


Davide Banis

Lavora per una casa editrice danese. Nel tempo libero, scrive.

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