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Mediaset e il cinema italiano

Gli “arcitaliani”. Checco Zalone e Paolo Sorrentino

Opposti ma complementari, i due autori sono stati capaci di riportare il cinema al centro del discorso pubblico, e di rappresentare con intelligenza i vizi e le virtù degli italiani di oggi. Per capire l’Italia, meglio fare i conti con entrambi.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su Mediaset e il cinema italiano - Film, personaggi, avventure.

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Cos’hanno in comune Luca Medici, alias Checco Zalone, e Paolo Sorrentino? L’icona “cafonal” di un’Italia di provincia che ha sbancato il box office incassando con un solo film più di tutti gli altri titoli italiani della stagione messi insieme e l’autore raffinato, ironico e visionario che nel 2014 con La grande bellezza ha riportato l’Oscar in Italia quindici anni dopo quelli vinti nel 1999 da Roberto Benigni con La vita è bella? Tre cose, sostanzialmente.

La prima è che sono entrambi arcitaliani. Lo sono nel senso che Curzio Malaparte attribuiva al termine: mettono in scena una sintesi perfetta – nella loro complessa e contraddittoria personalità – dei pregi e dei difetti degli italiani. Pur nella loro evidente diversità, sono la duplice incarnazione della nostra iperbole caratteriale: chi li ama vorrebbe essere come loro (o sente di assomigliare ai loro personaggi), chi li odia ha suo malgrado molti dei loro difetti senza possedere le loro virtù.

La seconda cosa che li accomuna è che sono tra i pochi cineasti italiani contemporanei capaci di generare corposi e accalorati discorsi sociali sul cinema. Tanto Zalone quanto Sorrentino hanno innescato passioni e rancori, elogi e livori, invidie e approvazioni come raramente capita nella palude stagnante in cui troppo spesso galleggia il cinema italiano. Hanno rotto entrambi il muro dell’indifferenza, hanno spinto editorialisti e opinionisti a dire la loro, hanno mobilitato leader politici, hanno fatto nascere tifoserie e scatenato stroncature livorose (memorabili anche solo quella di Paolo Mereghetti sul primo capitolo di Loro, quella di Maurizio Gasparri a proposito di La grande bellezza, quella di Ignazio La Russa su Tolo Tolo).

Tanto Zalone quanto Sorrentino hanno innescato passioni e rancori, elogi e livori, invidie e approvazioni come raramente capita nella palude stagnante in cui troppo spesso galleggia il cinema italiano.

Ma c’è una terza cosa che Zalone e Sorrentino hanno in comune: ed è il fatto che approdano entrambi nelle sale cinematografiche con il marchio Medusa. Zalone, come è noto, è prodotto dalla Taodue di Pietro Valsecchi, mentre Sorrentino dalla Indigo Film di Nicola Giuliano (sostituita, nei titoli più recenti extra-Medusa, da Wildside/The Apartment del conglomerato internazionale Fremantle). Sul piano distributivo però si appoggiano entrambi alla potenza di fuoco, e talora anche al sostegno economico-finanziario, del marchio di Mediaset.

Zalone, che fra il 2005 e il 2009 – è bene ricordarlo – costruisce la propria popolarità televisiva sulle reti Mediaset (prima con Zelig su Canale 5, poi con Canta e vinci su Italia 1, quindi con Checco Zalone Show ancora su Canale 5), approda al cinema con la Taodue di Pietro Valsecchi affidandosi al marchio Medusa fin dall’esordio con Cado dalle nubi (2009) e lo mantiene per tutti gli altri film realizzati successivamente, prima con la regia di Gennaro Nunziante, coautore con lui di ogni copione fino a Quo vado? (2016), e poi – con Tolo Tolo (2020) – firmando in proprio (come Luca Medici) anche la regia. Ogni titolo – come è noto – ha incassi da capogiro per il cinema italiano: Cado dalle nubi sfiora i 15 milioni di euro, Che bella giornata (2011) si avvicina ai 45 milioni di euro, Sole a catinelle (2013) arriva a 52, e Quo vado? – con un’escalation impressionante – supera ogni record, attestandosi intorno ai 65 milioni. Tolo Tolo ha un’indubbia flessione, ma si assesta sulla cifra comunque impressionante di 46 milioni di euro. Zalone intercetta gli umori degli italiani, fa di sé il catalizzatore dello spirito dei tempi e regala al marchio che ha scelto di distribuirlo e di appoggiarlo alcuni dei suoi più clamorosi successi commerciali.

Quanto a Paolo Sorrentino, tutti i suoi film da Le conseguenze dell’amore (2004) a Youth – La giovinezza (2015) sono griffati Medusa, con la sola eccezione di Il divo (2008), distribuito per intuibili motivazioni politiche da Lucky Red e non dal marchio legato a Silvio Berlusconi (che nel maggio 2008, in concomitanza con l’uscita in sala del film di Sorrentino su Giulio Andreotti, diventava per la terza volta presidente del Consiglio dei Ministri, ricevendo l’incarico dal capo dello Stato Giorgio Napolitano). Quella fra Medusa e Sorrentino è dunque una collaborazione continuativa che si estende per più di un decennio: inizia con la scelta di appoggiare un giovane autore che si era fatto notare nel 2001 con L’uomo in più (sotto l’egida di un altro feudo del gruppo, Mediatrade), prosegue con L’amico di famiglia (2006), si impegna nel 2011 in un’operazione produttiva internazionale complicata e ambiziosa come This Must Be The Place (che implica un investimento da 28 milioni di dollari), conosce l’ebbrezza dell’Oscar con La grande bellezza e si conclude – almeno per ora – con Youth – La giovinezza, altro capolavoro con cast internazionale e con budget da 13 milioni di euro.

Uno – Zalone – ha portato a Medusa il successo popolare e incassi da capogiro, l’altro – Sorrentino – la reputazione autoriale e la notorietà internazionale. Non potrebbero essere più diversi, quasi opposti. E tuttavia sono di fatto complementari. 

Il successivo film di Sorrentino (Loro, 2018), nel suo coraggioso impasto di fascinazione e repulsione nei confronti del mondo che ha trovato in Berlusconi il suo alfiere, non si appoggia ovviamente al marchio Medusa, ma è distribuito da Universal Pictures. Anche se è bene ricordare che il film non è una satira su Berlusconi, ma l’irridente e disincantata messinscena di quella fauna gaudente e cialtrona, avida di prebende e di favori, di quella corte di affaristi, cortigiani, prosseneti, mignottelle, arrivisti e faccendieri che nel primo decennio del nuovo millennio è cresciuta all’ombra di Berlusconi. Non è un film su di Lui, ma su di Loro, appunto. E “loro” potrebbero essere usciti da un film di Checco Zalone. Così come il protagonista di Tolo Tolo potrebbe anche essere uscito – magari come comprimario – da un film di Paolo Sorrentino. Arcitaliani entrambi, di nuovo: narratori di “mostri” italici del nostro tempo, capaci di usare linguaggi, stili e registri diversi per raccontare lo stesso mondo e per portare sullo schermo il ventre molle di un aggregato sociale senza memoria e senza valori, cinico e scaltro, disposto a tutto, ma proprio a tutto, pur di garantirsi piccoli vantaggi e ipotetici privilegi. Uno – Zalone – ha portato a Medusa il successo popolare e incassi da capogiro, l’altro – Sorrentino – la reputazione autoriale e la notorietà internazionale. Non potrebbero essere più diversi, quasi opposti. E tuttavia sono di fatto complementari. Chi fra cinquant’anni vorrà capire qualcosa dell’Italia di oggi non potrà prescindere da loro due. Da entrambi. E dal marchio che ha avuto l’intuizione e poi l’intelligenza di farli coabitare, suggerendo sottovoce a noi tutti la loro sotterranea ma imprescindibile contiguità.


Gianni Canova

Rettore dell’Università IULM di Milano, dove insegna, come Professore ordinario, Storia del cinema e Filmologia. Fondatore del mensile di cinema e cultura visuale Duel (poi Duellanti), è stato critico cinematografico per  Repubblica, Sette del Corriere della Sera e La Voce di Indro Montanelli. Autore di numerosi saggi e curatore di grandi opere come l’Enciclopedia del Cinema edita da Garzanti, ha ideato e realizzato diverse mostre multimediali. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo (Palpebre). Attualmente è autore e conduttore del programma televisivo Il cinemaniaco su Sky Cinema, oltre che del format I mestieri del cinema sul portale We Love Cinema. 

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