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The Italian Job

Un risveglio, un rilancio, una rinnovata attenzione. La fiction italiana, tra cautele e correzioni di rotta, si sta preparando a una circolazione globale.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 21 - Distretti produttivi emergenti del 05 giugno 2017

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Qualcosa si muove, persino nella fiction italiana. Negli ultimi anni, un genere fatto di titoli che spesso si ripetono per anni, fino allo stremo, di grandi successi di pubblico mainstream e di modelli produttivi rimasti pressoché simili da Amico mio in poi, sta cambiando pelle.

I casi sono noti. A gennaio 2017, la statunitense Hbo ha proposto agli abbonati una serie (anche) italiana, The Young Pope, diretta da Paolo Sorrentino, con un cast che tiene insieme Jude Law e Silvio Orlando, già trasmessa sui canali europei di Sky e su Canal+ in Francia. La rete – ormai per antonomasia spazio della quality tv – ha schierato così, tra draghi e western fantascientifici, dieci episodi “firmati” e d’autore, dall’incedere narrativo inconsueto e dal sapore europeo: “Scommettiamo sempre su chi punta su qualcosa di inaspettato: qui mi ha impressionato vedere quanto ci siamo riusciti […]. Ci facciamo sempre la stessa domanda prima di investire: questo programma eleverà il nostro brand? Non tutto può fare gli ascolti del Trono di spade, ma non è il punto. La regola è costruire ogni giorno il nostro nome”(1) R. Plepler, chairman e Ceo di HBO, intervistato in C. Maffioletti, “Plepler: No ai reality, meglio le serie. E la tv non uccide il cinema”, in Corriere della sera, 28 marzo 2017.. Dopo la curiosità iniziale, gli ascolti americani sono scesi parecchio, sia sul lineare sia sull’on demand, ma l’operazione – al di là della partnership Hbo-Sky, giustamente enfatizzata sul lato italiano – ha avuto svariati elementi di interesse: il discorso critico e quello social (in forma di meme), lo stabilirsi di un iter produttivo particolare e di una differente misura del successo. Hbo “è stato un co-produttore perlopiù silenzioso, contribuendo al co-finanziamento internazionale ma lasciando il peso creativo alla casa di produzione italiana Wildside. Eppure, nonostante le aspettative modeste – o forse proprio per quelle – si può dire tranquillamente che la prima stagione sia una vittoria di dimensioni sufficienti per la rete […]. Ha acquisito i diritti statunitensi della serie per una relativa miseria. Hbo di solito spende milioni di dollari per episodio [… e] The Young Pope è costato meno di alcune delle sue comedy da mezz’ora più economiche […]. Dati gli ascolti e le recensioni, l’investimento ha ripagato la rete persino più del previsto” (2) J. Adalian, “Why The Young Pope Was an Unexpected Victory for HBO”, in Vulture, 14 febbraio 2017.. Network e piattaforme statunitensi possono così aprirsi alla diversità culturale con l’ulteriore vantaggio della convenienza distributiva: i costi inferiori di una produzione esterna, principalmente italiana, portano a obiettivi minori per ripagare un investimento condiviso, in un circolo virtuoso che – indifferente all’hype – abbassa le soglie di accesso per partner stranieri.

Ma non basta. Dopo i primi approcci e tentativi, una volta individuati percorsi e potenzialità, la corsa all’estero degli operatori italiani della fiction, produzione o distribuzione poco importa, è cominciata impetuosa. I Medici, con Richard Madden e Dustin Hoffman, è stata scritta e girata in inglese, pronta a catalizzare l’interesse verso una Firenze rinascimentale che non nasconde debiti (più o meno diretti) con Il trono di spade o Il codice Da Vinci. Netflix si appoggia a Cattleya, alla regia di Sollima e a un romanzo crime per il suo primo originale italiano, già testato al cinema, e al progetto Suburra. La serie partecipa anche Rai, che la trasmetterà mesi dopo. O ancora, l’interesse italiano di Hbo, stavolta con interlocutore Rai, porterà all’adattamento (pare in italiano, sottotitolato per gli statunitensi) dei romanzi di L’amica geniale di Elena Ferrante, dall’identità semi-oscura ed enorme caso editoriale anche americano.

Questi casi testimoniano un movimento molto forte, prima nel mondo della pay tv europea e poi, lentamente, anche tra i broadcaster tradizionali. Un passo alla volta.

La strada è lunga, ma – complici il compiuto multichannel di molti Paesi e l’ambizione delle piattaforme non lineari (due facce della cosiddetta peak television) – le necessità di approvvigionamento di contenuti sono molte, e la fiction anche italiana può essere un elemento distintivo a un costo relativamente basso.

Piccola storia di una progressiva avventura

Nelle ultime stagioni televisive, infatti, il sistema produttivo e distributivo si sta riposizionando, cercando nuovi modelli di scrittura, narrazione e regia e rivolgendosi a un’audience diversa e a un mercato in parte anche internazionale. A segnare il cambio di passo è stato l’ingresso, nella produzione originale di fiction italiana, della tv a pagamento, e in particolare di Sky Italia. Il percorso non è stato privo di battute d’arresto, inciampi e aggiustamenti, i titoli sono relativamente pochi e sviluppati in tempi distesi, ma in meno di dieci anni l’operatore pay è riuscito a imporsi come uno spazio in cui gli spettatori trovano toni e ambienti diversi dalla fiction tradizionale (“if it works for Mediaset and Rai, it ain’t good for Sky”)(3) M. Scaglioni, L. Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky, Carocci, Roma 2013., una scrittura più densa e complessa, antieroi e linee narrative fortemente intrecciate. Dopo il primo successo con Romanzo criminale. La serie (Cattleya, 2008-10), è stata Gomorra. La serie (Cattleya, Fandango, Beta Film, 2014-in corso) a sancire il pieno inserimento di Sky nel panorama della fiction nazionale. Ma si possono citare l’edizione italiana dello scripted format globale In Treatment (Wildside, 2013-17), la rilettura della storia nazionale recente di 1992 (Wildside, 2015-in corso) e gli esperimenti, di impatto minore ma utili per rivendicare uno spazio, nella miniserie e nella comedy. La collaborazione di tutta Sky Europe (a traino italiano) con Canal+ e Hbo per The Young Pope (Wildside, Haut et Court TV, Mediapro, 2016-in corso) dà una spinta ulteriore verso l’internazionalizzazione della fiction, anche in produzione, come già avvenuto del resto per la seconda stagione di Gomorra.

Il caso della fiction Sky non è però solo importante in sé, come storia di un newcomer che trova un bacino inesplorato nel mercato e costruisce una linea editoriale coerente, ma anche per le sue ricadute sull’intero settore nazionale. Sky ha aperto una strada, per broadcaster e produttori, alla costante ricerca di altri sbocchi, anche internazionali, per i loro contenuti più pregiati, più costosi. Titoli come Romanzo, Gomorra e The Young Pope hanno portato sulla produzione originale italiana un’attenzione crescente, che per una volta coinvolge anche i mercati statunitense e britannico, e l’intero sistema televisivo italiano prova così a sfruttare il momento propizio, concentrando risorse sia nello sviluppo di progetti che possano avere richiamo internazionale, sia in una più efficace distribuzione oltreconfine dei contenuti già prodotti, in forma di ready-made (sottotitolato, più di rado doppiato) o di format pronto da adattare.

La strada è lunga, ma – complici il compiuto multichannel di molti Paesi e l’ambizione delle piattaforme non lineari (due facce della cosiddetta peak television) – le necessità di approvvigionamento di contenuti sono molte, e la fiction anche italiana può essere un elemento distintivo a un costo relativamente basso. E così il campione nazionale di ascolti Il commissario Montalbano (Palomar, 1999-in corso) è trasmesso, tra i molti mercati in cui approda, anche dalla britannica Bbc4; Non uccidere (Fremantlemedia, 2015-in corso), esplicitamente modellata sul Nordic noir, finisce su Arte; e la coproduzione high budget de I Medici. Masters of Florence (Lux Vide, 2016-in corso) è venduta da Rai a Netflix che la distribuisce in tutti i suoi mercati anglofoni, Stati Uniti compresi. O ancora, senza limitare la prospettiva ai soli Stati Uniti o ai grandi Paesi europei, L’onore e il rispetto (Ares, 2006-17) è adattata in Turchia (Şeref Meselesi), e Le tre rose di Eva (Endemol, 2012-in corso) trasmessa ready-made in Russia (Strasti Toskane). Sono solo alcuni esempi della circolazione globale dei titoli italiani, e di un ampio interesse straniero che, in un costante rilancio virtuoso, porta gli operatori nazionali a intraprendere accordi di co-produzione via via più ambiziosi con grandi player globali, o almeno a realizzare, accanto alla fiction classicamente intesa, titoli dal sapore più internazionale, potenzialmente esportabili: per fare un solo esempio, si pensi ai recenti titoli di Raidue Rocco Schiavone (Cross Productions, 2016-in corso) e La porta rossa (VelaFilm, 2017-in corso).

Un modello produttivo internazionale

Se l’Italia non appare ancora, da fuori, come un vero e proprio distretto produttivo emergente, nelle ultime stagioni tv ci sono stati però innegabili fermenti, degni di nota, che testimoniano sia l’apertura al mondo di broadcaster e case di produzione nazionali sia un interesse straniero per la fiction italiana.

Risultano più efficaci, concorrendo alla definizione di un modello alternativo, architetture di finanziamento e di gestione creativa e produttiva che vedono le società e i broadcaster coinvolti lavorare come parte di una “squadra”, condividendo rischi e benefici dei singoli progetti in corso.

Sul versante produttivo e distributivo, la spinta globale della fiction italiana passa attraverso le partnership con case di produzione e reti straniere e le co-produzioni “asimmetriche”. Il modello tradizionale prevedeva che la fiction fosse interamente finanziata dal broadcaster, che manteneva tutti i diritti di primo e successivo sfruttamento e ripagava l’investimento di solito con il primo passaggio televisivo su rete generalista (o meglio, con la pubblicità di questa messa in onda); una variazione sul tema metteva insieme tutti i servizi pubblici dei maggiori Paesi europei per produzioni con grandi budget e pochi episodi, sulla scia classica dello sceneggiato (La Bibbia, romanzi, biografie). Simili modalità, presenti tuttora, sono però spesso inadeguate, persino controproducenti. Risultano più efficaci, concorrendo alla definizione di un modello alternativo, architetture di finanziamento e di gestione creativa e produttiva che vedono le società e i broadcaster coinvolti lavorare come parte di una “squadra”, condividendo rischi e benefici dei singoli progetti in corso. Il produttore partecipa agli investimenti e al rischio d’impresa, ed è sempre più intraprendente, sviluppando idee e proponendole a potenziali partner, impegnandosi nell’acquisizione di intellectual properties interessanti e nella collaborazione con figure creative di primo piano (autori, showrunner, head writer, registi, ma anche attori), gestendo in toto il progetto: in cambio di parte dei ricavi e dei diritti di sfruttamento, la casa di produzione non è più un semplice prestatore d’opera ma un soggetto attivo. In modo speculare, il broadcaster smette di accentrare su di sé il controllo e le responsabilità, consentendo ad altri soggetti di prender parte ai rischi e agendo soprattutto da project leader, capofila di una “cordata” fatta di altre reti e produttori. In sostanza, l’emittente che ospiterà in prima battuta la fiction rinuncia ad alcuni suoi tradizionali punti di forza, e alla modalità di “spartizione” assestata degli introiti, aprendosi intanto però ad altri mercati e a un mix dei ricavi differente.

Solo in questo modo si riesce a tenere nella dovuta considerazione la ricchezza del ciclo di vita della serialità contemporanea, che ormai attraversa più fasi sul mercato nazionale (free, pay, on demand; prima visione e library) e più passaggi internazionali, con vendite e messe in onda all’estero dalle tempistiche e ampiezze differenti, ogni volta ritagliate sulle caratteristiche del singolo prodotto e sulle necessità del sistema mediale e del pubblico del Paese di destinazione. Invece di puntare tutto su un solo mercato e una singola messa in onda, il “bottino” della prima visione generalista italiana, questo modello alternativo propone la somma, e una differente articolazione, tra molti ricavi, grandi e piccoli. Lo stabilirsi e l’assestarsi di simili modalità produttive e distributive si intreccia inoltre a un uso diverso degli incentivi statali, estremamente importanti in un settore come la fiction: al di là delle quote di produzione e di programmazione fissate a livello europeo, può essere utile tenere conto in maggiore misura del nuovo scenario e delle ricadute (simboliche ed economiche) di una circolazione globale.

Contenuti che viaggiano

La (graduale) metamorfosi del sistema produttivo e distributivo italiano non è priva di conseguenze, poi, anche sui contenuti e sugli immaginari, come evidente già dalle prime case history di successo (e dai molti progetti in fase di definizione o sviluppo). Un filo conduttore comune è che si tratta di narrazioni, ambienti e personaggi che, per essere adatti al mercato internazionale, e avere un forte appeal non solo per le platee televisive italiane ma oltreconfine, tengono assieme alcuni tratti globalizzanti e altri iper-locali. Sono fiction che portano avanti una certa idea di Italia, forse grossolana e stereotipata, ma che sta alla base dell’immaginario mondiale del made in Italy, del bel Paese, del suo stile di vita: la piena luce, le belle donne, la buona cucina, e poi la criminalità organizzata, la polizia eroica o collusa, l’influenza delle tradizioni, della religione cattolica o più in genere del sacro. Narrazioni di genere, che mettono al centro “santi, poliziotti e camorristi” (4) L. Barra, M. Scaglioni, “Saints, Cops and Camorristi. Editorial Policies and Production Models of Italian TV Fiction”, in SERIES. International Journal of TV Serial Narratives, 1(1), 2015, pp. 65-76., e che proprio nel momento in cui si cercano modelli distributivi e produttivi radicalmente nuovi riportano gli immaginari nell’alveo (sia pure ripensato, a volte ribaltato) della più classica fiction agiografica o “civile” del servizio pubblico.

Al di là del tratto tematico comune alla fiction che circola come ready-made, però, la necessità di rivolgersi a interlocutori e audience globali porta con sé anche una divaricazione, visto che soltanto di rado gli ingredienti di un grande successo nazionale di massa funzionano anche oltrepassata la dogana. Da un lato, pertanto, le fiction italiane cercano di adottare un “generalismo cosmopolita”: pochi titoli, con investimenti importanti, nomi di richiamo e un appeal il più possibile trasversale. Dall’altro, invece, per le serie che si punta a esportare ci si accontenta di una porzione minore del pubblico nazionale, una nicchia di audience pregiata, profilata e interessante per gli investitori: prodotti per un nucleo di spettatori più definito, caratterizzati dal ricalco, sia pur dal sapore italiano, di un’estetica statunitense, o della koiné internazionale britannica e nordica. La quadratura del cerchio, che tenga insieme i due poli, è (almeno per ora) missione difficile.

Queste tendenze sono un chiaro indicatore, che manifesta l’interesse della fiction italiana per i mercati internazionali (e quello degli stranieri per i nostri prodotti). Lo sviluppo della circolazione oltre-confine e l’innesto di capitali stranieri già in fase di produzione sono frontiere su cui gli addetti ai lavori, le figure creative, le istituzioni e persino il pubblico concentrano sempre più l’attenzione. Solo il tempo, e lo stabilirsi di buone pratiche che vadano oltre i singoli casi, indicheranno però se questo impegno improvviso porterà con sé cambiamenti di sistema, che possono investire l’intero comparto audiovisivo nazionale. Oppure se, dopo un po’ di tempo, le reti, i produttori e il pubblico stranieri si sposteranno altrove, sul prossimo mercato capace di dare al globale un po’ di sapore locale.


Luca Barra

Coordinatore editoriale di Link. Idee per la televisione. È professore ordinario presso l’Università di Bologna, dove insegna televisione e media. Ha scritto i libri Risate in scatola (2012), Palinsesto (2015), La sitcom (2020) e La programmazione televisiva (2022), oltre a numerosi saggi in volumi e riviste.

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