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Industria

Dai mercati alla market-sfera

Come cambia il business dei contenuti televisivi globali nel momento in cui i mercati fisici incontrano mille difficoltà e le vetrine si spostano online? Reportage da uno scenario in evoluzione.

I mercati televisivi non erano solo il teatro di uno dei business più ricchi e globalizzati del pianeta – quello dei contenuti audiovisivi – ma erano essi stessi un business globale. Il MipCom 2018 di Cannes, forse il più grande mercato fisico di tutti i tempi, in quattro intensissime giornate ha fatto registrare la quota record di 13.800 partecipanti, provenienti da oltre 110 diversi paesi e da 4.721 diverse aziende, di cui 2.047 espositrici, su 24.712 m2 di superficie totale. In pratica, un enorme paese globale racchiuso nello spazio del Palais. E questo era solo uno – anche se il più importante – dei tanti appuntamenti fissi rivolti ai television executives di tutto il mondo. Negli ultimi anni il business dei mercati era infatti cresciuto a dismisura, per effetto della sempre maggiore globalizzazione dei contenuti: oltre ai due Mip di Cannes c’erano almeno altri dieci-dodici importanti eventi all’anno, sparsi in ogni angolo del pianeta (Miami, Johannesburg, Shangai, Cancun, Dubai, Mosca). Senza parlare dei mercati di settore (per le serie tv, per i kids, e così via), un po’ meno mastodontici ma sempre molto frequentati. Insomma, un giro d’affari colossale, che dava lavoro a diverse migliaia di operatori, senza contare l’indotto. Questo fino al 5 marzo 2020, data in cui, dopo lunghi e penosi tentennamenti, è stata annunciata la cancellazione del MipTv di Cannes. Quello è stato, forse, il punto di non ritorno. Tutti i mercati fisici (tranne rarissime eccezioni, tra cui il nostrano MIA) sono stati cancellati uno dopo l’altro, e chissà se torneranno.

L’emergenza Covid è stata solo la causa scatenante: in realtà, a guardare indietro, le fondamenta di questo business erano già minate nel momento stesso in cui si è toccato l’apice. I mercati fisici erano costosi (a volte esageratamente), scomodi (muoversi di continuo da un continente all’altro è ben poco pratico) e certo non insostituibili. I contenuti sono un prodotto digitale che può viaggiare online per definizione; inoltre, nello strettissimo intervallo di tempo in cui si svolgevano gli incontri tra buyers e sellers c’era solo il tempo di conoscersi e stringersi la mano (al tempo si poteva…), dopo di che la parte di contrattazione vera e propria si svolgeva comunque a distanza, in un secondo momento.

La market-sfera temporanea

Quello che è avvenuto in questi pochi mesi è un cambiamento che si può definire epocale. Non solo perché i mercati fisici si sono spostati online (fatto comunque di per sé assai significativo), ma perché il sistema dei singoli mercati televisivi (che, per quanto numerosi, erano pur sempre delimitati in senso fisico e temporale) è stato sostituito da qualcosa di pervasivo e permanente, un tessuto connettivo globale e illimitato che potremmo definire “market-sfera”. Per capire cos’è, occorre scomporla nei numerosi ed eterogenei elementi da cui è costituita, tenendo però presente che si tratta di un processo ancora in corso e tutt’altro che lineare, dove si registrano novità quasi ogni giorno. Per cominciare, occorre operare una suddivisione preliminare tra spazi online dove è possibile vendere/comprare (e non solo) prodotto audiovisivo per un periodo definito (spazi temporanei) e quelli in cui è possibile farlo sempre, 365 giorni all’anno, 24h al giorno (spazi permanenti). Cominciamo con il primo caso.

Non solo i mercati fisici si sono spostati online (fatto comunque di per sé assai significativo), ma il sistema dei singoli mercati televisivi è stato sostituito da qualcosa di pervasivo e permanente, un tessuto connettivo globale e illimitato che potremmo definire “market-sfera”.

In questo primo gruppo vanno citati i mercati fisici che, obtorto collo, si sono dovuti convertire in mercati online. Oltre al MipTv di primavera, pure il MipCom di autunno è diventato 100% online (con il nome di MipCom Online+), dopo aver disperatamente tentato di portare avanti una versione “ibrida”, che prevedeva anche una parte fisica (il MipCom Rendezvous). Dal punto di vista strettamente economico, questo ha significato la riduzione dell’iscrizione a 250 dollari (al posto degli oltre 1200 di quello fisico) e il dimezzamento del numero dei partecipanti (6.000 television executives in tutto); senza contare i mancati introiti degli espositori, che per affittare uno stand all’interno del Palais spendevano cifre da capogiro. D’altronde non ci sono alternative e così pure tutti gli altri mercati (Discop, MipCancun, Natpe) non hanno potuto far altro che convertirsi all’online, compresi quelli che hanno lottato fino all’ultimo per avere anche una versione fisica, come l’ATF (Asia Tv Forum e Market) e il DICM (Dubai International Content Market). Va però detto che nel frattempo il modello ha avuto successo e i costi d’iscrizione sono lievitati (la formula distribution market, una delle due tra cui scegliere, al MipCancun del prossimo novembre, ammonta a ben 2.000 dollari). 

Ma intanto la diga si è rotta e così nel business della vendita dei contenuti televisivi globali sono entrati altri soggetti, sfruttando il fatto che le barriere all’ingresso si sono drasticamente abbassate (organizzare un mercato online è senz’altro più facile che organizzarne uno fisico). Chi ha tratto i vantaggi maggiori sono stati i magazine di settore, ovvero quelle riviste/piattaforme online che informano gli addetti ai lavori sui trend, gli eventi più significativi e il girotondo di poltrone all’interno di questo universo. È stata un’evoluzione abbastanza naturale: questi soggetti erano infatti già al centro di un network globale di contatti e già gestivano in qualche modo i contenuti, pubblicando regolarmente sui loro siti i trailer dei programmi da lanciare. Prensario Internacional è stato il più rapido a muoversi. In collaborazione col Natpe ha organizzato il primo evento online in pieno lockdown (gli LA Screenings), ottenendo subito un ottimo riscontro, e ha quindi dato vita a settembre al Virtual Screening Autumn, con risultati altrettanto validi (2.750 partecipanti virtuali, provenienti da 125 diversi paesi, per oltre 15.000 visite virtuali agli espositori). Il modello economico adottato è diverso rispetto ai Mip: i buyers hanno l’accesso gratuito, mentre i sellers comprano, a caro prezzo, “vetrine virtuali” dove esibire i loro contenuti, divise in tre classi (platinum, gold e bronze) a secondo della visibilità. C21, altra diffusissima testata tra gli addetti ai lavori, ha invece adottato una strategia differente, creando i Theme Festivals, eventi online suddivisi per genere (sitcom, teen programming, kids programming, factual entertainment, lifestyle: food & drinks, game show, …) scaglionati lungo tutta la stagione. Infine Realscreen ha organizzato per gennaio 2021 il suo Realscreen Summit Virtual Marketplace, una serie di iniziative sulla carta molto interessanti, e anche piuttosto care, se si vuole avere un ruolo “attivo” e non limitarsi ad assistere “passivamente” ai numerosi panel virtuali e ai keynote dei numerosi relatori.

Ma anche i grandi distributori e produttori globali non sono rimasti a guardare. Perché pagare terze parti per mostrare i propri contenuti quando si possono organizzare direttamente eventi virtuali a cui invitare i buyers? ITV Studios è stata la prima a mettere in atto questa strategia, organizzando l’ITV Studios Fall Festival tra settembre e ottobre, bypassando i canali tradizionali. La formula ha funzionato e così altre aziende, tra cui All3Media e Sony, hanno dato vita a iniziative simili. E non è finita. In quelle nazioni dove l’industria dell’audiovisivo è supportata massicciamente a livello statale, sono stati creati mercati ad hoc, per dare visibilità ai propri prodotti e sostenere produttori e broadcaster locali. Così ha fatto, per esempio, la Corea (lanciando il BCWW 2020, in partnership con il magazine Worldscreen) e, su scala più piccola, stanno facendo così anche altri Paesi.

Spazi permanenti

Quello che però segna forse la maggiore discontinuità rispetto al passato è la nascita degli spazi dove operare in modo continuativo, senza vincoli di date né di eventi specifici. A dire il vero non si tratta di una novità assoluta: alcune di queste realtà già esistevano infatti prima del Covid, pur avendo una considerazione e un ruolo assai più marginale. Con il lockdown e la cancellazione dei mercati fisici c’è stata però una vera esplosione di questo tipo di servizio, basato più o meno sullo stesso semplicissimo principio: chi vuole vendere del prodotto lo carica sull’apposita piattaforma messa a disposizione dall’operatore, chi vuole comprare utilizza una serie di filtri per trovare facilmente quello che gli interessa; dopodiché partono le contrattazioni. Da questo schema di base sono stati però sviluppati modelli di business differenti. Vuulr, senza mezzi termini, si autodefinisce “the future of content acquisition and distribution”. Da realtà minore e circoscritta, grazie a una politica estremamente aggressiva (andate sul loro sito e vi troverete inondati di mail/news/promozioni), in pochi mesi è cresciuta a dismisura: oggi può vantare oltre 110.000 ore di contenuto ready-to-air, che comprendono tutti i generi possibili e che provengono da 150 Paesi diversi. Il traffico sulla piattaforma è continuo: in poco più di 15 mesi sono avvenute oltre 4000 trattazioni (anche se non è detto quante sono andate a buon fine). Il loro modello economico prevede che i sellers possano caricare quanto contenuto vogliono sul loro sito, per poi pagare, in caso di deal concluso, il 10% di commissione (per i buyers è invece tutto gratuito).

Perché pagare terze parti per mostrare i propri contenuti quando si possono organizzare direttamente eventi virtuali a cui invitare i buyers? ITV Studios è stata la prima a mettere in atto questa strategia, organizzando l’ITV Studios Fall Festivaltra settembre e ottobre, bypassando i canali tradizionali. La formula ha funzionato e così altre aziende, tra cui All3Media e Sony, hanno dato vita a iniziative simili.

Allrites, un altro operatore già attivo prima del Covid ma che negli ultimi mesi ha decuplicato il suo giro d’affari, prevede un modello un po’ differente: l’accesso ai buyers è sempre free; i sellers invece pagano 20 dollari al mese per ogni Tera di contenuti caricati, oltre a una “modesta” (aggettivo loro) fee in caso di deal concluso (sul sito non è specificato quanto, ma, assicurano, sotto il 10%). Altissimo pure in questo caso è il numero di ore di contenuto presente, dato che si tratta del “mercato permanente” più popolare e diffuso in Asia. Anche con Program Buyer i seller pagano una quota mensile che varia a seconda delle ore di contenuto caricate, ma, al contrario degli altri due operatori, la trattazione avviene direttamente tra le parti, senza passare per il sito e senza pagare alcuna fee. Una proposta convincente, a giudicare dalle aziende già a bordo: A+E, ABC, Bavaria Media, Gusto Tv, Keshet, Lionsgate, Media Ranch, Nippon Tv, Nordic World, Red Arrow Studios, Televisa e molti altri. Altro importante soggetto è Rights Trade (che dichiara un portafoglio di oltre 6.500 titoli e di 30.000 industry exec iscritti, di cui 5.000 buyers). Il modello di business è simile al precedente: tutto gratis per chi compra, mentre i sellers pagano un canone mensile a seconda del materiale caricato (si parte da 375 dollari al mese); non è prevista alcuna transaction-fee in caso di accordo concluso.

In questa selva di offerte non mancano neanche siti sospetti. Ci sono per esempio alcune piattaforme che permettono di caricare tutto il materiale che si vuole a costo zero, sia per buyers che per sellers, e senza neanche far pagare una fee in caso di deal. Se si va a controllare, però, non ci sono riferimenti, né dati sui responsabili. Ma questa è un’altra storia… E, per concludere, due altri spazi permanenti sono stati creati da altrettanti Paesi/regioni, come la Corea, estremamente attivi nel settore dell’audiovisivo, supportando l’industria locale: Canada e MENA (Middle East and North Africa). Entrambi hanno creato piattaforme sempre operative dove promuovere e creare interesse nei confronti dei contenuti della loro area, organizzando eventi online e momenti di scambio tra operatori. E non è escluso che altre importanti zone geografiche seguano a breve questi esempi virtuosi.

Un nuovo tipo di offerta

Insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta. La domanda che ci si pone a questo punto è però la seguente: perché pagare un ticket d’ingresso, che sta diventando tra l’altro piuttosto salato, per partecipare a eventi online quando si possono fare call fai-da-te con chi si vuole, dove si vuole e quando si vuole in modo del tutto gratuito? Per rispondere a tale quesito gli operatori hanno cercato diverse soluzioni e nuovi tipi di offerta in grado di giustificare il prezzo del biglietto. 

Vengono proposte app e piattaforme “intelligenti” che rendono gli incontri virtuali nei loro spazi più proficui di quanto avverrebbe se fossero fatti in forma “privata”, specie per quel che riguarda i primi contatti, sempre i più difficili da stabilire. Si tratta di strumenti che (assicurano) rendono gli incontri virtuali perfino più efficaci di quelli fisici, in quanto il rischio di trovarsi davanti a persone che non interessano, come avveniva nei mercati “vecchia maniera”, è drasticamente ridotto e ogni meeting diventa quindi, almeno in teoria, un’occasione di business. Il Discop, per esempio, ha tra i punti di forza una speciale “networking app” in grado di formare “interactive group sessions” di 10 partecipanti accomunati da uno stesso interesse; il Virtual Screening Autumn ha predisposto un “virtual saloon” dove fare meeting virtuali personalizzati; nello Realscreen Summit Virtual Marketplace verranno inaugurate le formule di “speed pitching” (5’ di pitch virtuali con slot assegnati attraverso un algoritmo) e di “coffee + commisioner” (riunioni in piccoli gruppi con gli executives di tutto il mondo); anche il mercato di Dubai si affida a un algoritmo con la sua “match-making platform”, per creare “accoppiamenti intelligenti” e avere così un’agenda face-to-face personalizzata e proficua. 

Ma anche l’offerta complessiva diviene più varia e modulare rispetto ai mercati fisici, con interessanti opportunità. Il CanadaContent (la piattaforma permanente di contenuti canadesi) propone per esempio “industry suites” dove alcune compagnie selezionate possono presentate virtualmente i loro prodotti a chi è interessato, mentre la “pilot session” è un luogo dove periodicamente si presentano i contenuti in lavorazione per cercare co-produttori e collaborazioni di vario tipo. Non molto diverso sembra essere il “co-production forum” messo a punto dal MipCancun per sviluppare partnership tra vari soggetti (autori, case di produzione, broadcaster); anche il Summit Realscreen Virtual Marketplace, oltre agli strumenti descritti sopra, offre il “pitching partners” (uno spazio finalizzato a trovare partner per co-produzioni), il “30 minutes with” (sessioni interattive con i buyers) e l’interessante “pathways pentroship program”, rivolto ai giovani sotto i trent’anni, affiancati da esperti in unscripted che li aiuteranno nella loro crescita.

Gli spazi permanenti puntano invece tutto sulla bontà della piattaforma, dotata di potenti strumenti di ricerca (per titolo, attore) in modo da ottimizzare il tempo e agevolare il compito degli operatori. Vuulr propone un software esclusivo di negoziazione, con memo deal generati in automatico, così da ridurre i tempi di chiusura del deal stesso (assicurano che con il loro strumento sono sufficienti 3 rinegoziazioni e 8/9 giorni in media per concludere un affare), mentre Rights Trade offre un sistema di controlli per verificare se le società registrate siano legalmente autorizzate a comprare e vendere i prodotti di cui dichiarano di avere i diritti (problema non secondario, in questo tipo di attività).

Conclusioni: digital vs physical

La market-sfera sta insomma ridisegnando in modo profondo i confini del business dei contenuti audiovisivi e il successo degli spazi digitali (temporanei e permanenti) è un chiaro segno che niente tornerà come prima, nemmeno quando sarà passata l’emergenza. Anche dare definitivamente per morti i mercati fisici potrebbe però rivelarsi un errore. Le due dimensioni (digital e physical) hanno punti di forza peculiari e in qualche modo anche complementari. Il digital ha costi sicuramente minori (anche se i prezzi delle iscrizioni stanno raggiungendo quelli dei mercati fisici, si risparmia notevolmente su viaggi, alloggi ed extra), un’offerta complessivamente maggiore sia dal punto di vista quantitativo sia, forse, da quello qualitativo, la possibilità di non perdersi nessun evento (nei mercati fisici, se si aveva un’agenda fitta di appuntamenti, non si poteva partecipare a tutte le iniziative collaterali – panel, keynote – che sono invece disponibili online anche molto tempo dopo che il mercato vero e proprio è terminato). A sostegno del physical, l’uomo è pur sempre un animale sociale, e il contatto fisico (almeno le prime volte) rimane insostituibile; i rituali dei cocktail, caffè e cene tra gli operatori erano fondamentali per affermare una “appartenenza al gruppo” e conquistare quella “fiducia sociale” che, nel campo, è merce preziosa; il networking fisico è più veloce ed efficiente di quello digitale (a volte bastava passeggiare per la Croisette per avere nuovi contatti e informazioni a getto continuo); e poi non tutti gli operatori, specie quelli di una certa età, si sentono a proprio agio con le piattaforme online.

Tutto considerato, quindi, la soluzione migliore è forse la formula “ibrida” di cui in molti parlano ma che finora non si è ancora potuto sperimentare. Sarà il tempo a dirlo. Nel frattempo, benvenuti nella market-sfera, dove si possono comprare/vendere/opzionare e distribuire serie, format, documentari, film, factual, cartoni animati e quant’altro quando e come si vuole, senza barriere di spazio e di tempo. Come se l’intero sistema fosse ormai racchiuso in un’unica piattaforma di interscambio, perenne e sempre attiva. Il business dei contenuti audiovisivi non è mai stato così pervasivo.


Axel Fiacco

Ha oltre vent'anni di esperienza nel campo dell’unscripted. Docente in vari corsi universitari, svolge attività di consulenza e formazione a case di produzione e broadcaster italiani ed esteri. Nel 2021 fonda Format Espresso, un hub creativo e distributivo specializzato in IP, creatività, co-produzioni internazionali e distribuzione. Tra le sue pubblicazioni: Unscripted Formats. Teoria e pratica dei programmi televisivi globali (2020). La sua Friday's Espresso è la newsletter professionale sui format più seguita.

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