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Anche i millennial ridono: Pio e Amedeo

Far ridere chi è nato negli anni Ottanta e Novanta è difficile, ma non impossibile. E alcuni fenomeni riescono a uscire dalle bolle: la cattiveria sfrontata di Emigratis parla a tutti, e tutti ci coinvolge.

Cosa fa ridere un millennial nel 2021? Cosa fa ridere una generazione definita indolente, pigra, poco furba, con molti titoli di studio ma incapace di farli fruttare, vittimista, lagnosa che ha attraversato due crisi finanziarie, vissuto la nascita di internet e dei social media e ora sta affrontando una pandemia? Infatti, il millennial di solito non ride. Scrive “lol” sotto un video buffo, apparso per caso durante un’intensa sessione di scrolling, senza muovere neanche un muscolo della faccia. “Snoffa”, cioè emette una specie di sbuffo d’aria dal naso, se il meme in cui s’imbatte è particolarmente divertente. Questo dà l’idea di quanto sia difficile oggi essere un comico, uno che riesce a far ridere veramente, riuscendo a emergere dal magma dell’ironia sui social. Pio e Amedeo ci sono riusciti. Foggiani, classe 1983, hanno raggiunto un enorme successo con una comicità definita “terrona”: la prima puntata di Emigratis, in onda in seconda serata su Italia 1 nel 2016, è arrivata quasi a un milione di telespettatori. Su Instagram hanno 2 milioni e mezzo di follower, una challenge a loro dedicata spopola su TikTok. A un occhio distratto, Pio e Amedeo sono la riproposizione di una comicità italiana già vista, un po’ Bagaglino, un po’ Striscia la notizia, un po’ cafona, in un certo senso impresentabile.

La sfrontatezza fuori dalla bolla

Eppure, quest’anno durante il primo lockdown, grazie alle repliche su Mediaset ho avuto modo di vedere con più attenzione Emigratis e ho pensato che non ridevo così dai tempi di Quo vado?. Ma anche: com’è possibile che Pio e Amedeo non siano in carcere? Vederli procura male fisico, livelli di Fremdschämen inauditi. Ma si ride veramente con le lacrime agli occhi e le mani sulla pancia, su battute talmente scorrette da far sembrare Louis CK uno che al confronto dice barzellette da prete. Amedeo Grieco, per esempio, è specializzato in catcalling estremo, un argomento su cui negli ultimi anni si è sviluppato un acceso dibattito dentro e fuori i social media. Vestito in maniera improponibile (pelliccia sintetica da yeti, occhiali da sole a specchio, zoccoli di legno ai piedi), rivolge alle ragazze che incontra per strada o nei locali frasi tipo: “Amore stai facendo i 100 metri? Ti vuoi accontentare di 22 centimetri, amore mio?” o “Se ti prendo domani ti faccio camminare come il Dottor House!”. Vere molestie verbali che da un lato sono di un’oscenità da far rizzare i capelli in testa e dall’altro talmente assurde da far ridere anche le ignare ragazze che le ricevono, e non soltanto lo spettatore. 

Guardare Emigratis da un lato indigna e fa pure sentire un po’ in colpa, e la voce fuori campo di Francesco Pannofino incarna questo Super-io dello spettatore, dall’altro ha il fascino del proibito, che attira irresistibilmente ed è liberatorio. In questo senso, è una comicità molto simile a quella di Borat.

Benché queste frasi siano diventate dei meme ripetuti ovunque, sono paradossalmente passate inosservate agli occhi di quella bolla di solito attentissima ai temi di genere, che boicotta autori e “cancella” intere saghe per una parola di troppo in un tweet. Guardare Emigratis da un lato indigna e fa pure sentire un po’ in colpa, e la voce fuori campo di Francesco Pannofino incarna questo Super-io dello spettatore, dall’altro ha il fascino del proibito, che attira irresistibilmente ed è liberatorio. In questo senso, è una comicità molto simile a quella di Borat, il personaggio creato e interpretato da Sasha Baron Cohen, che attraverso ingenuità, sfrontatezza e indecenza riesce a mettere a nudo le persone che si trovano a interagire con lui, facendo emergere per esempio razzismo e sessismo solitamente tenuti nascosti dietro delle apparenti buone maniere.

Mala educacion

Anche Pio e Amedeo in Emigratis, che al momento rimane il loro capolavoro, operano nella vita reale invece che in un film, interagendo con persone spesso non consapevoli di avere a che fare con dei personaggi. Impersonano la versione da incubo dell’italiano medio, quello che all’estero si fa riconoscere perché non parla ma urla, che applaude quando l’aereo atterra, che denigra platealmente usi e costumi altrui. È un crossover tra fiction e realtà e nasce da un’idea semplice quanto geniale: viaggiare per il mondo scroccando soldi e visibilità a milionari e celebrità. Durante il loro girovagare, affrontano di petto e senza nessun filtro temi quali la classe sociale, la disabilità, le discriminazioni di razza; e poi la misoginia, l’omofobia, la transfobia, parlandone sempre nella maniera più indelicata possibile, con gli occhi ingenui di selvaggi che non sono affatto buoni. Mettono a nudo l’ipocrisia e la logica nonsense che governano la società iper-liberista e iper-spettacolarizzata ma senza tirarsene fuori, anzi sfruttandola quanto più possibile, con un approccio parassitario che alla fine sembra quello più ragionevole, da millennial che finalmente hanno smesso di illudersi. 

Diseducativi? Perché insistere con il mito della meritocrazia, della laurea, delle competenze, quando ci sbattono in faccia i veri vincenti della società: calciatori con stipendi impossibili a diciotto anni, ricchi di famiglia, bellissime ragazze alla ricerca di chi le mantenga, uomini d’affari che si sono arricchiti con fumose startup, influencer che letteralmente vendono ai brand la loro vita privata. Perché negare l’evidenza barricandosi in una fortezza di illusioni dove non è vero che quello che conta alla fine sono i soldi? Alan O’Leary è uno studioso che ha definito i cinepanettoni italiani come una sorta di capro espiatorio di una delusione politica; ma la comicità di Pio e Amedeo va molto più in là: è il capro espiatorio di una delusione ancora più ampia, che investe ogni ambito della vita sociale, economica e politica; è una critica alle assurdità e alle contraddizioni del post-capitalismo dove sopravvive solo chi vende se stesso, il proprio passato, la propria identità, e si adegua alle regole di marketing e mercato.

Una visione del mondo dichiarata fin dalla sigla iniziale di Emigratis, una cover de “L’italiano” di Cutugno accompagnata da una sequenza di immagini: il bambino che insegue il Super Santos, le mani infarinate di una nonna, le foto del duo comico da bambini, il murales “Fuggi da Foggia”. C’è amore per la provincia ma anche malinconia, dovuta alla consapevolezza che oggi per sopravvivere bisogna andare via, e incarnarsi in due mostri di medietà, con un borsello finto di Gucci a tracolla. Una visione del mondo che i due hanno sintetizzato anche al Festival di Sanremo 2019, tirando giù l’Ariston e portando a casa lo share più alto della serata.

Il posto al sole

La stagione migliore di Emigratis è la terza, quando il centro della narrazione diventa dichiaratamente la caccia alla fama, con Pio e Amedeo che indossano le vesti di improbabili produttori musicali e cercano di lanciare la band foggiana “Musicomio” (la stessa che canta la sigla). Non lo fanno con un approccio alla X Factor, dove viene raccontata la favola del successo che si conquista con il talento e il duro lavoro, ma cercando raccomandazioni tra i big della canzone italiana come Gianni Morandi, Andrea Bocelli e Claudio Baglioni. E se a X Factor viene continuamente detto ai concorrenti di “essere se stessi”, a Checco, il cantante dei Musicomio, viene continuamente chiesto di dimagrire. Uno dei momenti chiave della trasmissione si verifica al cospetto di Toto Cutugno: Checco gli racconta di quanto sia difficile per lui stare a dieta ma lo sta facendo per la sua mamma, ormai defunta, che credeva in lui e pensava che un giorno sarebbe diventato un grande cantante. Il ragazzo parla con la voce rotta e Cutugno appare turbato e colpito. È un momento molto intenso, ma è proprio a quel punto che Pio si gira verso il cameraman e con un ghigno gli sussurra: “Italia 1! Stringi sugli occhi che piange, grazie!”. Cutugno è scandalizzato, Pio allarga le braccia e gli risponde “è per lo share!”, perché “il patetico, la tragedia, in Italia funziona sempre!”. Pio e Amedeo saranno volgari, trash, ignoranti, e non sapranno neanche suonare il violoncello come Sacha Baron Cohen ma, guardando certi documentari autocelebrativi di artisti italiani o le trasmissioni della domenica pomeriggio, come si fa a dar loro torto? 

Il duo comico rappresenta un millennial diverso da quello di cui si racconta di solito, che per una volta ce l’ha fatta, che è riuscito a uscire dal suo guscio per affrontare il mondo, prendendo atto che ciò che conta oggi è solo la visibilità e il successo. Che ha smesso di preoccuparsi del suo accento da provinciale, di provare un senso d’inferiorità rispetto alle generazioni precedenti. Che reclama il suo posto al sole senza sentirsi un impostore e senza l’ansia di preservarsi moralmente integro.

Eppure, è più facile che la critica culturale italiana si spertichi in elogi su Una pezza di Lundini, piuttosto che affrontare qualcosa che sembra impresentabile e trash. Questo rivela l’impermeabilità e la chiusura di certe bolle a un fenomeno indubbiamente mainstream, che però è così protetto dalla cancel culture e da forme di indignazione neo-moraliste. Ci si ritrova di fronte a un paradosso: di Pio e Amedeo non ha scritto quasi nessuno mentre di Lundini hanno scritto praticamente tutti. Il duo comico rappresenta un millennial diverso da quello di cui si racconta di solito, uno che per una volta ce l’ha fatta, che è riuscito a uscire dal suo guscio per affrontare il mondo, prendendo atto che ciò che conta nella società di oggi è solo la visibilità e il successo. Che ha smesso di preoccuparsi del suo accento da provinciale, di provare un senso d’inferiorità rispetto alle generazioni precedenti. Che reclama il suo posto al sole senza sentirsi un impostore e senza l’ansia di preservarsi moralmente integro agli occhi degli altri. 
Pio e Amedeo stanno girando un nuovo film ma difficilmente riusciranno a eguagliare Emigratis, di cui il pubblico infatti chiede una nuova stagione a gran voce. Intanto, ci hanno lasciato questo messaggio, a suo modo rivoluzionario: la cosa più trash è aver fatto credere a una generazione che la cosa più importante è la legittimazione culturale.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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