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Schermo, schermo delle mie brame

La centralità del salotto di casa, il rinnovamento degli apparecchi e il set-top-box come snodo di future evoluzioni. Amazon, Apple e Google già lo sanno.

In un crescendo di interpretazioni, con il desiderio di mappare il “nuovo mondo” digitale, negli ultimi dieci anni le analisi sul gioco degli schermi nella nostra vita di spettatori e utenti si sono fatte sempre più complesse. Dimenticandosi spesso del vecchio pivot di ogni dieta mediale: il televisore del soggiorno.

È lo schermo più vecchio tra i tanti che ci circondano, ma anche quello che, per tipologia, è cambiato di più. È diventato piatto, ha abbandonato la tecnologia a tubo catodico a favore di quella al plasma prima e a Led dopo, diminuendo lo spessore e aumentando la superficie complessiva con dimensioni medie crescenti. Per un breve periodo è stato capace di mostrare immagini 3D, ma ora sempre più spesso è leggermente concavo, per offrire un angolo di visione della scena uniforme agli spettatori. Soprattutto, l’apparecchio televisivo ha cercato di arricchirsi di componenti prima analogiche e poi digitali sempre più sofisticate, sia all’interno sia soprattutto all’esterno. Questi cambiamenti sono avvenuti in un arco di tempo piuttosto ristretto e sono solo all’inizio: attorno al televisore le tecnologie di rete stanno creando una serie di prodotti e servizi sempre più ricchi e articolati. Cloud computing, internet of things, la complessificazione della rete di casa (wired e wireless ma con un numero crescente di apparecchi connessi e di potenza di trasmissione interna, tale da rivaleggiare per complessità topologica con le reti aziendali) sono tutte novità che hanno rivoluzionato la nuova vita digitale del televisore. Ma andiamo con ordine.

Decoder, HD e altri ammennicoli

In passato il televisore si è arricchito di connessioni di vario genere: il soggiorno è diventato il campo di battaglia tra impianti audio di alta fedeltà, videoregistratori, console per videogiochi, home theatre e set-top-box per servizi di televisione via satellite, via cavo e terrestri. Una lunga serie di possibili apparecchi e connessioni prima analogiche, e poi ibride analogico-digitale. Ma in realtà si tratta solo di una frazione di quel che accadrà nei prossimi anni. Inoltre, nella cronaca del mercato, il televisore è un prodotto dai cicli industriali “lenti”, almeno rispetto all’elettronica di consumo odierna: telefonini che si cambiano ogni 1-2 anni, computer e tablet che si cambiano ogni 2-3 anni, console che si cambiano ogni 4. I televisori seguono il ritmo multiplo delle Olimpiadi o dei mondiali di calcio: otto o dodici anni tra un acquisto e l’altro. Alla base c’è il driver economico-tecnologico della legge di Moore: creata da Gordon Moore, uno dei fondatori di Intel, la legge è uno strumento per dettare il ritmo degli investimenti oltre che dell’evoluzione dell’hardware informatico e connessi. Uno strumento industriale potentissimo, che non si applica però al settore dei televisori. Senza contare la congiuntura di mercato: l’accelerazione del progresso tecnologico degli ultimi dieci anni ha saldato l’evoluzione delle tecnologie di visualizzazione (sia per modalità di emissione sia per densità di pixel e forma dell’apparecchio) con quelle della massima possibile obsolescenza programmata iniettabile nel mercato. Tuttavia, dopo il passaggio dalla televisione analogica al digitale terrestre (che ha coinciso con una fase di ricambio degli apparecchi legato anche al passaggio dalle risoluzioni standard a quelle Hd-Ready prima e poi Full-Hd), è parso definitivamente chiaro che la velocità di evoluzione tecnologica e quindi di commercializzazione dei televisori non è paragonabile a quella dei cicli industriali dei pc, costruiti attorno alla legge di Moore. Il mercato ha però trovato la via di fuga: gli “aggiuntivi esterni”, cioè i set-top-box che si connettono al televisore. Questi possono evolvere con ritmi più serrati e portano con loro una forte capacità di evoluzione.

Il televisore si è arricchito di connessioni di vario genere: il soggiorno è diventato il campo di battaglia tra impianti audio di alta fedeltà, videoregistratori, console per videogiochi, home theatre e set-top-box.

Se la parte smart, suscettibile di miglioramenti e aggiornamenti hardware che renderebbero rapidamente obsoleto il televisore nel suo insieme, resta all’esterno dell’apparecchio, si rimette in carreggiata la possibilità di un’evoluzione tecnologica dello schermo. D’altro canto, non è possibile fare altrimenti. Il valore del televisore, quello che agli occhi dei consumatori ne giustifica il prezzo, è percepito fondamentalmente dal punto di vista dello schermo (dimensione) e della tecnologia di visualizzazione (tipo di pannello e risoluzione). I consumatori non giudicano plausibile l’obsolescenza del televisore basata su una componente minore e secondaria come la scheda elettronica incaricata della parte smart. Questo spiega l’attuale fase di mercato. Ecco dunque perché, dopo anni di attesa, Apple ha deciso di abbandonare la strategia che avrebbe dovuto portarla alla commercializzazione di un apparecchio tv smart, potenziando invece il suo tradizionale set-top-box nero, la Apple Tv. Google ha provato una strada analoga con uno stick Usb che contiene una versione ridotta di Android, Chromecast. E sulla stessa strada si sono collocati altri player fortemente integrati per la produzione di contenuti, come Amazon con il suo Fire Tv.

In questa evoluzione dei set-top-box smart e digitali la componente “inclusione/esclusione” dei contenuti distribuiti da altre piattaforme o servizi è polarizzata. Nella visione di Google il televisore è diventato lo schermo su cui portare i contenuti del proprio telefono in streaming; in quella di Apple si vuole trasformare i canali televisivi (i broadcaster, ma anche i fornitori come Hulu e Netflix) in altrettante app da scaricare on demand e integrare con la ricerca vocale di Siri e le app per gaming e shopping; in quella di Microsoft l’idea è di creare un ambiente di realtà aumentata che riecheggia gli schermi da parete (una sorta di lavagna elettronica per l’abitazione) che avrebbero dovuto rivoluzionare la casa e di cui Bill Gates è stato paladino per venti e più anni.

Il televisore del soggiorno, arricchito da questi accessori che lo potenziano, non riesce però ancora a esprimere una discontinuità tale rispetto al passato da giustificarne l’evoluzione radicale. Sia per tecnologie di emissione dei contenuti (con il tramonto ormai definitivo degli schermi 3D) o della loro qualità (che sopra il Full-HD, compreso l’attuale 4K, sono sostanzialmente indistinguibili), né da quello delle modalità di interazione e integrazione dei set-top-box smart e dei loro telecomandi, nonostante l’evoluzione piuttosto rapida. Si apre invece una strada con scenari interessanti se si pensa a due caratteristiche del set-top-box. La prima è che tutte le grandi piattaforme integrate (Microsoft, Apple, Google, Amazon e in prospettiva anche Facebook) sono presenti in questa arena con loro prodotti e servizi integrati verticalmente. L’altra è che i set-top-box smart sono in buona sostanza computer sempre connessi via cavo o wireless e che funzionano in modalità a basso consumo di energia e always-on. Quest’ultimo aspetto offre una opportunità inaspettata. Perché l’unico altro apparecchio always-on presente nelle case moderne è il modem-router che distribuisce la connessione a internet e fa da pivot per la rete locale. In questo snodo si gioca pertanto una delle battaglie più interessanti.

La tv al centro dell'internet delle cose

Dal momento che le grandi piattaforme fanno investimenti sempre più grandi nella internet of things, e in particolare nella domotica, il set-top-box dei grandi player (ma anche le versioni DIY sulla base di codice e standard open) potrebbe avere una rapida evoluzione come hub al cuore di una casa digitale e di uno stile di vita in cui gli apparecchi connessi (dai termostati al frigorifero, passando per le lampadine della cromoterapia e a decine di altri sistemi) e i relativi servizi, anziché andare direttamente in rete, sono mediati dal set-top-box casalingo invece che dal tradizionale modem-router di casa.

Il set-top-box potrebbe infatti essere il punto chiave per fare da sintesi alle strategie digitali della internet delle cose, almeno in ambito domestico. L’utilizzo di un apparecchio connesso al televisore, dotato di telecamere e sistemi di comunicazione a interfaccia naturale, offrirebbe una modalità di coordinamento semplificato per la casa rispetto a quella ottenibile usando il cellulare come telecomando della vita digitale. In tale scenario, il televisore e il suo set-top-box, esterno perché da aggiornare più di frequente, riporterebbero la centralità della vita digitale nel soggiorno in cui tradizionalmente si svolge la vita del nucleo famigliare. E si arricchirebbero di informazioni raccolte da una miriade di sensori, quelli della domotica ma anche quelli personali, che misurano valori biologici come pressione, frequenza cardiaca, temperatura, zuccheri nel sangue, e via dicendo, connessi ad altri apparecchi “intelligenti”: l’automobile e lo scooter, ma anche gli strumenti di lavoro e le infrastrutture digitali della vita familiare, scuola, spesa, socialità, e così via.

In questo spazio, sempre più studiato in tutti i centri di ricerca e sviluppo dei produttori di tecnologia, c’è un discreto affollamento. Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft stanno sviluppando interfacce naturali e sistemi di analisi dei dati basati su servizi di machine learning e intelligenza artificiale (che si impersonificano in Siri per Apple, Cortana per Microsoft ed Echo di Amazon, come nei prodotti allo studio di Google). Cosa si può fare già oggi con queste tecnologie? Parlare al microfono e far partire la musica, settare sveglie, alzare e abbassare la temperatura di casa o dell’acqua, accendere e spegnere le luci a distanza, accendere il forno, la macchina del caffè (americano) o la lavastoviglie. È il primo passo per l’automatizzazione della casa, che porta a risparmi sostanziali nei consumi e a una mole di informazioni consistente che permette di attivare cicli di ottimizzazione per le smart city.

Ma anche i grandi produttori di apparecchi tv si stanno impegnando su questo fronte: più timidamente ma ci provano. Le coreane Lg e Samsung studiano sistemi per rendere i propri televisori più smart e connessi alla casa, svincolandoli dal rischio di cadere sotto il controllo di Google come è successo per gli smartphone basati su Android. E dietro i coreani si muovono i cinesi, che stanno facendo shopping di marchi storici giapponesi di questo settore industriale per rilanciare la propria offerta da Pechino e Taipei. È una battaglia che probabilmente non vinceranno, ma che segna un ulteriore avvicinamento da parte delle industrie cinesi (con marchi come Huawei e Lenovo) ai big americani, giapponesi e coreani. E ci sono poi anche i produttori di infrastrutture di rete, soprattutto Cisco, che cercano di ipotecare il futuro della casa e di costruire un loro rapporto “speciale” con il televisore intelligente. Dopotutto è attraverso le loro apparecchiature che internet fluisce dentro e fuori le abitazioni. E ci sono i produttori di tecnologie che un tempo avremmo considerato secondarie ma che hanno un ruolo importante nella raccolta, analisi e distribuzione delle informazioni: LaCie, Qnap e Synology, per nominarne tre. Producono dischi di rete e sistemi di interconnessione per la casa che cercano di diventare la tessera principale nel puzzle della casa del futuro. Insomma, è un futuro che si gioca attorno al televisore e ai suoi piedi, dove giace – sempre connesso – il set-top-box.


Antonio Dini

Giornalista e saggista. Scrive di informatica e negli ultimi anni ha pubblicato libri e articoli sia per la carta stampata sia online. Dal 2002 ha un blog, Il posto di Antonio.

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