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De Filippi’s Touch

Amici, Maria De Filippi e l’aria del tempo

È il momento di raccontare Amici per quello che è, senza snobismi né nobilitazioni, mettendo in luce la capacità unica che ha Maria De Filippi di creare miti.

Con i fenomeni popolari bisogna stare molto attenti. Il rischio che si corre a fare troppo gli snob, e a minimizzarne la portata, è di non cogliere la cornice in cui spaziano, e quindi di non afferrare l’essenza del mondo in cui viviamo.
Prendete gli antipatizzanti di certi talent show come Amici di Maria De Filippi (più numerosi di quelli di X Factor): la gran parte di loro pensa che il temibile avversario da additare, la cornice in questione, sia la tv generalista. Errore di una grossolanità imbarazzante. Al pari degli astronomi che ancora alla fine del XVI secolo immaginavano la terra immobile e cinta dagli altri pianeti, questi reazionari vedono nella tv un raccoglitore di bassezze in grado di annientare il gusto degli spettatori e di mutarne la circonferenza psichica.

Quando cinema ed editoria hanno tentato di contrapporsi alla retorica del basso di molti programmi televisivi sorti negli anni Novanta, il risultato non è stato esattamente in linea con il monito di Albert Camus: “L’intellettuale deve saper resistere all’aria del tempo”. Troppi paradisi di Walter Siti, per esempio, romanzo uscito nel 2006, era un libro bellissimo perché non riusciva a eludere mai, neppure per una pagina, il fascino rapinoso della trash tv, e tuttavia non tentava mai di nobilitarne l’esistenza. In dieci anni la situazione è però parecchio cambiata.

Lo puoi sentire subito l'interesse della De Filippi per le storie che racconta: io stesso, da adolescente, non mi sentivo preso in giro quando la vedevo in tv proprio perché se ne stava zitta ad ascoltare chi aveva davanti. Ascoltava perché era sinceramente interessata.

Ah, nobilitare! Era una pratica parecchio in voga negli anni Sessanta. L’esempio più eloquente è Per favore non mordermi sul collo, l’omaggio di Polanski alla disprezzata filmografia vampiresca che in Francia e in Italia fece gongolare i lettori dello Scherzo di Milan Kundera e pochi altri intellettuali raffinati. Venne preso come un gioco, da Polanski in primis. Perché, allora, da qualche anno i nobilitatori sono diventati un’orda minacciosa, prima con le serie televisive e poi spostandosi su certi talent debitamente selezionati come X Factor? E se si trattasse del tentativo di dare un valore alle cose che ci piacciono ma che, ingenuamente, noi italiani consideriamo ancora di serie B? Il problema è che, quando si tenta di conferire dignità a qualcosa, di base la si considera inferiore rispetto a un’altra. Negli anni Sessanta, e con Polanski, poteva avere senso. Nel 2016, e dopo il successo della scripted tv, no.

Il mio timore è da un po’ di tempo questo: il giornalismo culturale in Italia, per quanto reattivo, è comunque figlio dell’editoria e delle sue strane idee in fatto di target, per cui si crede che un prodotto basso interesserà un pubblico generalista, e uno più alto quello dei “lettori forti”. Vi faccio però un esempio che è una costante per chi come me fa la spola tra i diversi ambienti dell’editoria, del cinema e della televisione. L’editore dice all’autore: “Fammi una cosa molto realistica, concreta, la vuole il pubblico”. Due ore dopo, il produttore gli dice in merito a un altro progetto: “Fammi una cosa molto strana, basta con il realismo, non lo vuole più nessuno”. Gli italiani che leggono libri e quelli che vanno al cinema evidentemente non sono gli stessi. È poco plausibile.

La realtà è che, come in un romanzo di Murakami, l’indie e il mainstream non sono più scindibili: è inutile tentare di prendere una direzione rispetto a un’altra. Se esiste una nuova idea di qualità, è il condensato di ambedue le culture. E qui arriviamo al punto. Possibile che nessuno in Italia se ne sia accorto? Se n’è accorta, e in tempi non sospetti, Maria De Filippi. O meglio: la Maria De Filippi di Amici. Vediamo perché.

Maria De Filippi vs. tutti gli spettatori possibili

Maria De Filippi, va detto subito, non è un personaggio televisivo. Sarebbe scorretto annoverarla fra i tanti colleghi che, ciascuno in base alle proprie capacità, si conforma alla stagione del momento, alla specificità del proprio pubblico o agli stilemi del proprio carattere. Maria De Filippi, così a suo agio dinanzi alle telecamere da non apparire mai del tutto a suo agio, possiede il touch di una duplice direttrice d’orchestra capace di coordinare i concorrenti e gli ospiti, e allo stesso tempo di cogliere un substrato cognitivo su cui si innestano tutte le tipologie di spettatori possibili, dalla ragazzina di terza media all’universitario, dalla mamma di provincia al designer metropolitano, dal cattolico fervente al mascalzone di strada.

Almeno in apparenza, Maria De Filippi non instaura alcuna relazione con il pubblico. Al contrario, lo scruta imbarazzata, con lo stesso scetticismo con cui fu guardata all’inizio della sua carriera per quel modo così dimesso di maneggiare il meccanismo televisivo. Esempio: ogni tanto butta un occhio alla macchina da presa, ma lo distoglie subito. A volte si mangia una caramella, altre si gratta la testa seduta in qualche angolo dello studio. Ma soprattutto ascolta. Non c’è presentatore televisivo, a parte lei, che non interrompa l’intervistato di turno con i soliti mono- o polisillabi da professoressa di liceo: “Mmm… Sì… Mmm… Bene…”. La sincerità dell’interesse della De Filippi nei confronti delle storie che racconta viene individuata subito dallo spettatore di turno proprio nell’assenza di questi fastidiosi intercalari. Io stesso, da adolescente, nonostante nutrissi tutte le diffidenze possibili nei confronti di figure dall’aspetto autoritario (e lei lo è), non mi sentivo preso in giro quando la vedevo in tv, proprio perché se ne stava zitta ad ascoltare chi aveva davanti. Ascoltava perché era sinceramente interessata.

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Fonte: Wittytv

Maria De Filippi è perciò una persona che fa la persona davanti alle telecamere: in questo ha anticipato i social network. Ma è anche l’unica protagonista della tv italiana ad aver categorizzato con Amici una mitopoiesi sofisticatissima entro cui i valori mainstream del rispetto e dell’amicizia, della famiglia e della rettitudine vanno di pari passo con l’esuberanza individuale, con l’autodeterminazione, con l’abbattimento dei confini fra lo star system e il pubblico di provincia. Soprattutto ha lavorato da sempre, senza tentare di nobilitarli e con mano sicura, sulla commistione goliardica dei generi, dal musical al cantautorato, dalla danza alla recitazione teatrale, lasciando sconfinare i tempi televisivi e gli allestimenti scenici nel camp più manifesto. Film come La grande bellezza e Lo chiamavano Jeeg Robot sono figli legittimi del modo di fare televisione della De Filippi e del suo tentativo costante, forse naif, di riportare a galla le vecchie nicchie di mercato. Di standardizzare la qualità.

Maria De Filippi è anche l’unica protagonista della televisione italiana ad aver categorizzato con Amici una mitopoiesi sofisticatissima entro la quale i valori mainstream del rispetto e dell’amicizia, della famiglia e della rettitudine vanno di pari passo con l’esuberanza individuale, con l’autodeterminazione, con l’abbattimento dei confini fra lo star system e il pubblico di provincia.

Come nello sport, o come in un romanzo della saga di Harry Potter, i concorrenti di Amici di Maria De Filippi sono suddivisi in squadre predisposte in modo apparentemente casuale, la Bianca e la Blu. Quest’anno Emma ed Elisa sono le direttrici artistiche della prima, Nek e J-Ax guidano la seconda. Entrambe le squadre hanno una serie di insegnanti, più o meno gli stessi da una decina di anni a questa parte, che seguono i ragazzi giornalmente e li preparano al serale del programma.

Tra i giurati dell’ultima stagione ci sono Anna Oxa, Loredana Bertè e Sabrina Ferilli. Sono tre personaggi che, guarda caso, nel tempo hanno subìto lo stesso percorso di nobilitazione di certi film di genere degli anni Sessanta, e del palcoscenico sul quale ora agiscono in veste di suggeritrici: da un lato Anna Oxa e la Berté, considerate signore dell’eccesso e troppo poco incasellabili, dall’altro Sabrina Ferilli, l’icona di un nuovo tipo di glamour, del trash instagrammizzato della Grande bellezza. Morgan è invece lo sguardo non-nobilitante su questi personaggi: da sempre capace di dare per scontata l’aria del tempo, di viverla con cognizione di causa. È un quartetto tanto perfetto quanto apparentemente ingestibile, non fosse che sotto l’egida di Maria tutti si muovono in piena autonomia ma senza mai strabordare. Al punto che l’accentuazione scenografica spetta a Virginia Raffaele, perché, come nei personaggi di Eschilo, a un certo punto c’è bisogno di qualcuno che sia consapevole della propria finzione per sensibilizzare il pubblico alla stravaganza dei personaggi reali.

Anche nelle famose “sfide” dei protagonisti della trasmissione la commistione tra i generi è una costante: c’è chi ha cantato Cuore di Rita Pavone, chi ha allestito la coreografia di Man in Black, chi ha cantato Shakira, chi ha ballato con le scenografie di C’era una volta in America di Sergio Leone o ha rivisto il Macbeth di Shakespeare. Il gusto per il divertissement, soprattutto considerando il modo in cui vengono riadattati molti classici, è spiccato. “E i famosi litigi?”, si chiederà qualcuno. Più che litigi, sono mancanza di moderatezza, contorcimenti improvvisi, guizzi di indisciplina in un contesto disciplinatissimo. Il che potrebbe far pensare a un format sempre sopra le righe. Invece il risultato è glamour, proprio perché Maria De Filippi sa come fare per rendere tollerabile l’eccessivo.

La sostanza indie sta tutta qui: è come se nell’ottica di Maria De Filippi lo scontro tra personalità forti e libere dagli schemi sia l’unico modo possibile di fare una televisione in cui un appassionato bacio gay tra il cantante dei La Rua e il suo chitarrista (un bacio vero, finalmente) si nasconde dietro quello che potrebbe anche essere un omaggio a The Rocky Horror Picture Show. Ma non si deve pensare al trash, piuttosto alla normalizzazione di un gusto diverso che va a danno della maggior parte delle trasmissioni concorrenti. Di fatto, la patina che ne emerge è un nuovo tipo di estetica impossibile da trovare altrove.

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Fonte: Wittytv

Stupid Tv

Anni fa, nel 2011, andai a cena da un amico milanese, un ragazzo intelligentissimo che ai tempi insegnava economia all’Università Bocconi, e dopo il caffè gli chiesi il permesso di accendere la tv per seguire una puntata di Amici, visto che stavo scrivendo un romanzo che ne parlava. “In questa casa non si guarda stupid tv”, tagliò corto lui. Ingaggiammo un duello verbale in cui era difficile capire chi dei due fosse il vero snob. Il mio amico leggeva i libri di Fitzgerald, si occupava di musica classica, ma soprattutto era succube degli aperitivi al Frida e, in alternativa, al Bar Basso. “Il massimo che potrei concederti è X Factor”, mi disse a un certo punto. Era incapace di resistere all’aria del tempo, e amava nobilitare una cosa alla volta. Forse è per questo che mercoledì scorso, dimentico della discussione di sei anni fa, mi ha mandato un sms: “Cena a casa mia alle otto e stupid tv”?

Che poi di stupid, in Amici di Maria De Filippi, non c’è proprio niente.


Alcide Pierantozzi

Ha esordito con il romanzo Uno in diviso (Halley, 2006) da cui è stata tratta l’omonima graphic novel. Ha scritto per Rizzoli i romanzi L’uomo e il suo amore (2008) e Ivan il terribile (2012). Nel 2012 ha partecipato all’antologia Le cose cambiano (Isbn-Corriere della Sera), progetto contro bullismo e omofobia. Nel 2015 è uscito per Laterza Tutte le strade portano a noi. A piedi da Milano a Bari. Scrive sceneggiature per il cinema e suoi articoli sono apparsi su Rolling Stone e sul Corriere della Sera. Per Bompiani è in uscita il suo nuovo romanzo, L'inconveniente di essere amati.

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