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Sanremo

Tutto il pubblico (in platea) del Festival

L’impossibilità di avere spettatori o figuranti in platea, in questa edizione eccezionale della gara canora che blocca l’Italia, ci fa ripercorrere la storia del pubblico dell’Ariston. Con un po’ di nostalgia.

“Hai presente Vacanze di Natale? Nei primi anni il pubblico dell’Ariston era composto dai genitori di De Sica, mentre dagli anni Ottanta in poi anche dai genitori di Amendola. In mezzo a loro anche qualche esponente del Nord, quello che magari contesta Fazio, in stile Guido Nicheli”. Sono sempre fruttuose le chiacchierate con Eddy Anselmi, giornalista e autore, storico del Festival di Sanremo (recuperate la sua bibbia, edita da De Agostini). Di solito le facciamo a Sanremo, in sala stampa, in qualche bar o ristorante, nei concerti post-serata, e anche nelle varie case che negli anni abbiamo condiviso durante quella settimana. Una volta stavamo in una casa proprio dietro all’Ariston, nel cui salotto c’era una nicchia con inginocchiatoio e un affresco di Madonna con Bambino: pregavo quell’icona ogni sera perché le serate del Festival non fossero infinite. Sempre in quella casa, in uno sgabuzzino, abbiamo scoperto una botola, ma non abbiamo voluto sapere dove portasse.

Condividere gli spazi significa condividere un’esperienza. Succede così nella vita e in molti festival, anche di cinema: sono i momenti di contatto umano, professionale, creativo che fanno la differenza, tanto on stage quanto nel backstage. Sì, è vero, qualcosa si può fare anche online, ma la condivisione in presenza qui e ora porta ad altre cose. Condividere gli spazi poi, in un festival come Sanremo, significa anche condividere e far convergere i gusti musicali, contribuendo a certi risultati sul podio. Quest’anno io non scendo a Sanremo, è troppo complicato. Eddy sì. Quindi la nostra chiacchierata la facciamo via Zoom. Siccome però il senso del luogo è sempre importante, Eddy usa come sfondo una mitica cartolina anni Sessanta di Sanremo. E partiamo allora dall’assenza sulla scena del crimine di uno dei suoi protagonisti principali: il pubblico dell’Ariston.

La scomparsa del pubblico

Sanremo è un programma televisivo, ma siccome si svolge in un luogo ora chiuso per decreto, cioè un teatro, non può usare nemmeno i figuranti, come fanno altri programmi. Non entro nel merito di questa decisione degna di un Azzeccagarbugli (siamo in pandemia, non posso non citare Manzoni), ma intanto Eddy mi ha già dato una visione più ampia: “In Europa tutte le manifestazioni che decretano il rappresentante del Paese che andrà all’Eurovision – come ormai da qualche anno fa Sanremo – hanno avuto questo problema. E tutte lo hanno risolto creativamente. Così in Svezia si sono inventati un palco a passerella, che si snodava in lunghezza per tutto il palasport utilizzato per l’evento. Hanno creato coreografie e movimenti di macchina per sfruttare tutto questo e non far sentire l’assenza del pubblico. In Norvegia si sono collegati con le persone da casa: alla fine della canzone sugli schermi apparivano spettatori che applaudivano, spesso veri e propri gruppi d’ascolto familiari da casa. In Croazia su alcuni schermi mandavano una sorta di riunione Zoom con il pubblico collegato. Non so invece cosa si siano inventati o meno per l’Ariston”. 

Nei primi anni il pubblico in sala vota, ed ecco che i rotocalchi riportano che quell’anno le case discografiche cercano di procurarsi un gran numero di biglietti: “Il Festival era stato inventato come svago per i villeggianti, ma poi diventa una fiera campionaria del disco, con giri d’affari di centinaia di milioni di lire”.

La costrizione che libera la creatività: l’idea è portare il pubblico da casa nel teatro, in mancanza di quello in presenza, e così non rinunciare all’effetto raddoppio. Perché il pubblico dell’Ariston è uno specchio di quello da casa, è davvero un figurante, fa parte di uno show televisivo anche se è seduto in una poltrona di un luogo chiamato teatro. Un pubblico che serve a tutti gli artisti presenti sul palco, a vario modo e a vario titolo: da settimane mi chiedo come certe gag di Fiorello e Amadeus possano risuonare in una sala vuota. 

Un sorta di monolite insondabile, spesso vilipeso dalla stampa, questo pubblico di Sanremo. Un pubblico vintage, borghese, trash, immobile, inutile e invece spesso reattivo e sorprendente. Forse questo monolite riserva più sorprese se lo si osserva da vicino. Paolo Bonolis ci giocò molto nei suoi festival. Il pubblico di Sanremo è spesso l’applauso mainstream vecchio stile, che premia il già noto. Eppure vi ricordate i fischi per Crozza nel 2013? Il pubblico di Sanremo ha talvolta contestato anche il risultato del podio. Ma il vero salto di qualità si ha nel 1993, quando la cerimonia di premiazione è stata rovinata dai fischi della platea. Pare a causa dei fan di Renato Zero, mi spiega Eddy, arrivato solo quinto con la sua Ave Maria: “Un centinaio di sorcini interrompe più volte Baudo al grido di ‘venduti, venduti’ e invocando… l’intervento del magistrato Antonio Di Pietro. Rossana Casale, terza classificata, è incredula: quando arrivava quasi al podio erano solo applausi, quella volta arriva terza e si becca i fischi”.

Storia e storie

Al primo festival il biglietto costa 500 lire, e si fa fatica a riempire i tavoli del Casinò, ma nel 1952 gli organizzatori portano il prezzo a 4000 lire: segno del successo della manifestazione. Ed ecco anche perché la platea del Casinò, e poi dell’Ariston, si riempie solo di un certo pubblico, benestante e di una certa età, visto che i giovani non hanno molti soldi. Nel 1954 il biglietto costa 10.000 lire e un operaio allora guadagnava in media 80.000 lire al mese. Il Festival inizia a prendersi la serata del sabato, e invita così all’abito elegante. Certo, c’è anche chi appartiene a classi sociali meno benestanti ma spende tutto per un sogno, per essere lì, mentre i suoi idoli cantano, facendo qualche sacrificio. Attenzione però. Nei primi anni il pubblico in sala vota, ed ecco che, mi fa notare Eddy, i rotocalchi riportano che quell’anno le case discografiche cercano di procurarsi un gran numero di biglietti: “Il Festival era stato inventato come svago per i villeggianti, ma poi diventa una fiera campionaria del disco, con giri d’affari di centinaia di milioni di lire”. E allora, vuoi vedere che il pubblico in sala a Sanremo è spesso stato davvero un figurante? Non solo, c’è chi è in platea perché è un professionista dell’applauso, carriera pagata che durava qualche decennio: “Nel 1963, le cronache raccontano di due ragazzi di Napoli fuggiti da casa e approdati a Sanremo per fare ‘gli applauditori’ insieme ai veterani della claque: Vincenzo Esposito, detto Belmondò, Antonio Marazito detto O’ Studente, Raffaele Esposito, detto O’ Papele e Giuseppe Guido, noto come Giuseppone”, mi spiega sempre Anselmi. Avevano i loro preferiti, in genere napoletani, ma anche Toto Cutugno era molto amato.

Nel 1993, quando la cerimonia di premiazione è stata rovinata dai fischi della platea. Pare a causa dei fan di Renato Zero, arrivato solo quinto con la sua Ave Maria: “Un centinaio di sorcini interrompe più volte Baudo al grido di ‘venduti, venduti’ e invocando… l’intervento di Antonio Di Pietro. Rossana Casale, terza classificata, è incredula: quando arrivava quasi al podio erano solo appalusi, quella volta arriva terza e si becca i fischi”.

Il pubblico è tante cose. E cambia nel tempo. Anche perché in una manifestazione come Sanremo, lunga settant’anni, tutto cambia perché passano gli anni, cambiano i tempi, le persone, le circostanze. Il sacro Ariston entra in scena solo nel 1977, prima c’era il Teatro del Casinò, e non c’è una vera scenografia, ma tende rosse e via andare. Nel 1990 Adriano Aragozzini, per il quarantennale, sposta tutto ad Arma di Taggia, al gigantesco Palafiori: il Festival di Sanremo non è tecnicamente a Sanremo e commercianti e albergatori non sono molto contenti. Nel 1991 c’è la Guerra del Golfo: nella prima serata due ragazzini liberano sul palco due colombe, simbolo della pace, mentre il timore di attentati aveva fatto rinunciare molti ospiti, come i Bee Gees e pare anche Stevie Wonder. Dopo l’attentato del Bataclan, anche il semplice passaggio davanti all’Ariston è diventato un continuo controllo con i metal detector. Insomma, banalmente: Sanremo si adatta alla Storia. Sperando che nel 2022 tutto torni a cambiare di nuovo. In libertà. Che poi è davvero quello che ci manca.
“Eddy, ma canzoni sulla libertà portate a Sanremo?” “Allora… Libero, cantata da Modugno nel 1960, e sempre Modugno nel 1972 con Un calcio alla città. Nel 1984 Libera, cantata da Donatella Milani. Ma per me più di tutte nel 2000 Sentimento degli Avion Travel (Diceva Ulisse chi m’o ffafà / la strana idea che c’ho di libertà) e nel 2018 Una vita in vacanza dello Stato Sociale (Per un mondo diverso/ Libertà e tempo perso)”.


Stefania Carini

Si occupa di cultura, media e brand. Collabora con il Post, la Radio Svizzera Italiana, il Corriere della Sera. Ha realizzato podcast (Da Vermicino in poi per il Post) e documentari per la tv (Televisori, Galassia Nerd, L’Italia di Carlo Vanzina). Ha scritto Il testo espanso (Vita e Pensiero, 2009), I misteri de Les Revenants (Sperling&Kupfer, 2015), Ogni canzone mi parla di te (Rizzoli, 2018), Le ragazze di Mister Jo (Mondadori, 2022). Il suo ultimo libro è Il coraggio di Oscar (Mondadori, 2024).

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