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Momento nerd

Star Trek e la fantascienza come anticipazione

E se il futuro fosse già scritto nella fantascienza di 50 anni fa? Nella serie classica, Star Trek contiene le tecnologie e i grandi dilemmi della nostra vita quotidiana.

Cinquant’anni dopo, viviamo ancora dentro il mondo di Star Trek. Almeno, in alcune delle sue intuizioni tecnologiche diventate oggi materia della realtà: smartphone e tablet, certo, ma anche il Tricorder (la risonanza magnetica portatile) e il ponte ologrammi (la realtà virtuale immersiva). Senza contare i temi dell’intelligenza artificiale e del rapporto delle persone con lo sviluppo tecnologico: l’evoluzione del lavoro, l’inutilità del denaro, la forma e gli obiettivi della società in generale e dei singoli in particolare.

Immaginari (e influenze) di lunga durata

È innegabile che la serie televisiva, creata da Gene Roddenberry nel 1966 e chiusa dal network due anni dopo, abbia avuto anche una profonda influenza sull’immaginario della fantascienza americana. Creando un vero e proprio “culto”, i trekkies, e una lunghissima faida culturale con l’altro grande franchising di fantascienza nato pochi anni dopo, cioè Guerre stellari. È altrettanto innegabile però che, al di là degli aspetti più folkloristici, raramente si parla della capacità di una serie televisiva di fantascienza degli anni Sessanta di riflettere e addirittura in parte modellare l’idea della società e del suo futuro.

Per cominciare, la creatura di Roddenberry non si è fermata alle avventure dell’astronave Enterprise trasmesse per tre stagioni nella seconda metà degli anni Sessanta. C’è stata subito dopo una serie animata, poi i primi sei film con l’equipaggio di quella che viene definita “originale”, e poi ancora i sequel: Next Generation (dal 1987 al 1994), Deep Space Nine (1993-1999), Voyager (1995-2001), Enterprise (2001-2005) e poi la web serie Discovery che sarà lanciata nel 2017, con altri quattro film basati sull’universo di Next Generation, e ancora i tre film creati da J.J. Abrams che sono la base per il reboot della serie. Un intero universo.

La serie originale del 1966 è stata unica anche come prima lezione su nuovi modelli di successo nei network americani. Fin dall’inizio Nbc aveva voluto notevoli cambiamenti, dopo aver visto il primo pilota giudicato “troppo intellettuale”, lasciando solo l’alieno Spock (interpretato da Leonard Nimoy) a bordo della nave comandata  poi passata sotto il comando del capitano James T. Kirk (William Shatner). Tuttavia, il network aveva deciso di chiudere la serie alla terza stagione, sulla base di dati di ascolto non lusinghieri. Messo in syndication però il telefilm si era rivelato un asso pigliatutto, con ascolti tanto elevati e costanti da giustificare non solo la successiva serie animata (che dava un senso alle sceneggiature accumulate dal pool di autori di fantascienza americana chiamati da Roddenberry a scrivere i diversi episodi della serie), ma anche i primi film, che hanno registrato ottimi incassi al botteghino. E tutta una serie di spin-off: fumetti e libri inclusi. La missione quinquennale dell’astronave Star Trek è stata così istituzionalizzata, e l’universo si è allargato con una serie di telefilm di importanza diversa (il principale è Next Generation, che ha fatto da base anche a quattro film), per arrivare a una fase di stanca e all’ultimo reboot, cominciato da J.J. Abrams nel 2009.

Toccò a Roddenberry, veterano della Seconda guerra mondiale e poi sceneggiatore freelance che aveva cominciato a scrivere mentre lavorava come poliziotto a Los Angeles, l’idea per lanciare la fantascienza in prima serata con qualche elemento nuovo.

Fantascienza e televisione

La fantascienza statunitense aveva più volte provato a trovare spazio in tv, cercando di adempiere a uno dei suoi ruoli fondamentali, quello di immaginare e divulgare il futuro. La dimensione pedagogica era stato un primo obiettivo implicito del genere già negli esordi ottocenteschi e poi della prima metà del Novecento. Fumetto, cinema e altre forme di narrazione avevano attratto l’attenzione degli scrittori di fantascienza, che spesso avevano lauree in ingegneria o fisica e distribuivano elementi e problemi scientificamente corretti dentro a una narrazione non particolarmente sofisticata nella struttura delle trame o nella caratterizzazione dei personaggi (tanto che la fantascienza a lungo è stata definita “narrativa di idee”, per glissare sulla sua debolezza stilistica). Toccò a Roddenberry, veterano della Seconda guerra mondiale e poi sceneggiatore freelance che aveva cominciato a scrivere mentre ancora lavorava come poliziotto a Los Angeles, avere l’idea per lanciare la fantascienza in prima serata con qualche elemento nuovo.

L’idea era quella di sfruttare i talenti di giovani autori di genere con idee nuove, e la capacità di inventare storie che facessero pensare, tecnologicamente sensate e che proponessero a ogni episodio un nuovo dilemma morale. Star Trek, nata sulla falsariga dei western televisivi come struttura narrativa di base dagli episodi autoconclusi, ha trovato nel dilemma morale (solitamente introdotto con una battuta all’inizio dell’episodio e poi sciolto o problematizzato alla fine, nella scena conclusiva attorno alla sedia del capitano sul ponte di comando della nave) e nelle nuove tecnologie i suoi veri elementi di distinzione.

Esposizioni universali e telefilm globali

Ancora oggi viviamo, dal punto di vista tecnologico, in un mondo pensato da Star Trek e dagli allestitori delle Esposizioni Universali. In particolare, le due fiere di New York del 1939-40 e del 1964-65, che avevano costruito la base per molti degli immaginari del Dopoguerra: dall’energia atomica alla televisione, dalle comunicazioni video a distanza al comunicatore personale. Senza contare robot e animatronics, che furono anche alla base del lavoro di Walt Disney per i suoi parchi a tema e soprattutto per il progetto Epcot, la comunità del futuro in cui effettivamente alcune migliaia di famiglie avrebbero vissuto oggi con le tecnologie di domani, che doveva fare anche da showroom per le innovazioni tecnologiche di prodotto delle grandi aziende americane dell’epoca. Dopo la morte di Disney, nel 1966, Epcot divenne un’attrazione del Walt Disney World Resort in Florida, ma la dimensione speculativa e pragmatica attorno alla tecnologia rimase a lungo intatta. Gli immaginari fantascientifici avevano messo piede in una società che da un lato cercava il suo spirito di frontiera per rinnovare le basi del sogno americano e dall’altro vedeva nella tecnologia la chiave per rivoluzionare la vita delle persone. Soprattutto rispetto alla realizzazione personale e al divertimento, al tempo libero e al piacere. La corsa allo spazio, cominciata negli anni Cinquanta contro l’Unione Sovietica, con Kennedy era diventata una nuova frontiera che avrebbe portato l’uomo sulla Luna.

Star Trek, con i suoi accessori indossati o utilizzati dall’equipaggio dell’astronave, addomesticava alcune delle tecnologie più futuribili rendendole quotidiane: comandi vocali al “cervellone elettronico” della nave, una specie di Siri all’ennesima potenza, oppure la possibilità di vivere esperienze in mondi di sintesi in modalità sia solitaria che “collaborativa”, cioè con altre persone, come sul ponte ologrammi della nave comandata da Jean-Luc Picard (Patrick Stewart), o analizzando la natura dei sentimenti e dell’idea stessa di vita in un androide, come l’ufficiale di plancia Data (Brent Spiner). Trovando però spazio per inserire, tra una tecnologia e l’altra, anche altri temi importanti: la relazione con il diverso, l’altro da noi, l’alieno (dall’intramontabile e “logico” Spock al responsabile per la sicurezza klingoniano Worf, interpretato da Michael Dorn), sino all’amore interrazziale, con il famoso primo bacio della tv americana tra un bianco e una nera: il capitano Kirk e l’ufficiale addetto alle comunicazioni Nyota Uhura (Nichelle Nichols).

La tecnologia diventa pertanto la chiave per leggere l’evoluzione della società, che si compatta grazie all’economia dell’abbondanza (realizzata grazie all’evoluzione delle macchine). La presenza degli alieni relativizza il ruolo centrale dell’umanità nelle narrazioni planetarie, permettendo di superare divisioni e conflittualità razziali e ideologiche della Terra, che nel franchise di Star Trek infatti non sono più presenti, sublimate e sostituite dalla relazione con l’alieno e la macchina (nel suo livello più pericoloso, i Borg). Senza contare i conflitti violentissimi con razze aliene, religioni esotiche, pericoli inediti. Cinquant’anni dopo, sono gli scenari maturati nell’immaginario di Star Trek ad attraversare ancora la cronaca della nostra società.


Antonio Dini

Giornalista e saggista. Scrive di informatica e negli ultimi anni ha pubblicato libri e articoli sia per la carta stampata sia online. Dal 2002 ha un blog, Il posto di Antonio.

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