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Naked tv

Nudi senza paura

Ricetta di una recente epidemia televisiva: si prendono i generi televisivi classici, tutti quanti, e si inseriscono concorrenti nudi. Funziona!

“Ho un’idea per un format. Tieniti forte: la ruota della fortuna. Ma – rullo di tamburi – con i concorrenti nudi!”. È una battuta scema, ma resta il fatto che da un po’ di tempo a questa parte la nudità è un sistema per rigenerare ogni genere di format. Dopo una lunga ricognizione, direi che il caso per eccellenza è quello di TLC che ha mandato in onda una stagione di Buying Naked, un classicissimo programma di compro/vendo casa però riservato ai nudisti. Ma in realtà, come è evidente a chiunque possegga un televisore, quello della nudità è un trend internazionale che anche da noi ha attecchito agevolmente. Per limitarci al nostro Paese, abbiamo chi si spoglia per il primo appuntamento (Il gioco delle coppie, ma nudi: Undressed); dating su un’isola deserta (Colpo di fulmine, ma nudi: L’isola di Adamo ed Eva); avventure in territori inaccessibili (Survivors, ma nudi: Nudi e crudi). “Tutti col coso de fori”, come urlava uno scandalizzato Mario Brega in Un sacco bello. Solo che ora non si scandalizza più nessuno in quella maniera lì. Non nel senso che siamo diventati tutti improvvisamente disinibiti come il Verdone figlio dei fiori col coso de fori, piuttosto perché siamo diventati “comprensivi” come il Verdone prete a cui Brega si rivolgeva in quella scena. (E infatti lui s’incazzava, più che per il nudo, per l’ipocrita comprensione del parroco da cui s’aspettava manforte. Se perfino la Chiesa non si indigna più vuol dire che è tutto finito e i genitori sono rimasti soli. Ma questo è un altro discorso). 

A grandi linee l’evoluzione del nudo nella tv italiana è coincisa con la storia della censura: dalle celebri limitazioni alle calze color carne, conquista dopo conquista, centimetro dopo centimetro, siamo arrivati a Colpo grosso e a Matrjoska – le due diramazioni possibili della nudità: due programmi che nel trattamento del corpo senza veli possono essere considerati i poli opposti –, fino all’incontro Taricone-Plevani del primo Grande fratello. Lì, è come se la storia del nudo in tv si fosse esaurita. Era accettabile e accettato. Da quel momento valevano solo le variazioni sul tema.

Mentre la generalista diventa casta, i nuovi canali, per compiacere il proprio target, circoscritto e soprattutto più giovane, stanno esplorando la nudità.

Oggi, nei discorsi, affascina molto la nudità delle serie tv, vedi le tonnellate d’inchiostro spese per i nudi di Lena Dunham o le discussioni sul nudo verosimile di Lena Headey nella scena dell’umiliazione pubblica di Game of Thrones. Ma la generalista è diventata casta. Come se avesse rispettato davvero, unica, l’idea che la storia doveva essere finita. Era stato mostrato tutto. Poteva far defluire le cose.

Forse per colpa delle polemiche politiche e di quel che ne è conseguito in termini di sociologia spicciola, e in buona parte per colpa del nuovo attivismo del pubblico che, punendo tutte le deviazioni dal politicamente corretto, ha imposto una limitazione alla creatività, la nudità è stata espunta dalla tv generalista. E mentre la generalista diventa casta, i nuovi canali, per compiacere il proprio target, circoscritto e soprattutto più giovane, stanno esplorando la nudità come fosse un esperimento sociale. 

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In casi del genere l’accusa è da manuale: con la scusa dell’esperimento sociale vellicate le fantasie più spicciole e gli istinti più elementari. Come quando assistiamo a una partita di tennis o calcio e lo streaker entra in campo di corsa: il gioco si ferma, tutti lo guardano, le televisioni sono costrette a inquadrare altrove perché se dessero la cronaca dell’accaduto non farebbero altro che stimolare l’emulazione futura di altri streaker. E anche perché se non staccassero l’inquadratura il pubblico non riuscirebbe a guardare altro che quel tizio nudo. Ecco, forse questo semplice paragone riesce a ridimensionare l’accusa. Non può essere così elementare. Tocca ripensarci. Un trend del genere non può essere ridotto a una reazione da cavie di laboratorio. Deve esserci qualcos’altro allora a suscitare la curiosità.

Tra l’altro, il rischio in cui già incorrono i programmi meno riusciti tra questi non è di certo quello di essere volgari o di scadere nel sessuale come si insinua, ma semplicemente quello di essere il solito dating show però nudi, o il solito primo appuntamento ma nudi, o la solita isola dei famosi in più nudi.

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Nel dicembre 2015, Slate ha pubblicato un pezzo di Mark Joseph Stern sull’assurdo aumento di spogliatoi singoli all’interno delle palestre. Le persone provano sempre più pudore per le proprie nudità e preferiscono cambiarsi in privato. Non amano farsi vedere dagli altri sotto la doccia, non sembra loro più naturale e richiedono spogliatoi privati. Come se non fossero mai cresciuti e come fossero ancora adolescenti con l’ansia d’essere dileggiati per il proprio corpo. Curiosamente o, chissà, proprio per questa ragione, di pari passo all’aumentare dell’esposizione in pubblico di corpi belli, di corpi perfetti e rifiniti, aumenta l’imbarazzo per il proprio corpo, la competizione con gli altri e l’insoddisfazione.

Simmetricamente la curiosità per il nudo in tv potrebbe allora non essere solo l’elementare pulsione da occhio che guarda dalla serratura, ma anche un modo per osservare altri che hanno superato quell’imbarazzo. Che hanno imparato a padroneggiare il proprio corpo a tal punto da farne elemento di vanità. E anzi, se consideriamo che il pubblico di questi show è un pubblico giovane, allora questo lato del discorso può perfino diventare centrale. Gli adolescenti e i ragazzi perdono l’imbarazzo per il proprio corpo e provano a diventare adulti diversi da quelli che non si spogliano in pubblico, cioè negli spogliatoi, e lo fanno guardando coetanei che si spogliano in pubblico, cioè in tv. L’esperimento sociale, come nel primo Grande fratello, diventa davvero esperimento sociale, non solo una scusa. Sarà l’abitudine più avanti a renderlo semplice voyeurismo, quando anche chi parteciperà avrà imparato a codificare la macchina e sarà in grado di guidarla.

Lo spettatore riconosce nel corpo di chi partecipa un corpo truccato e abbellito come quello dei film e delle pubblicità, ma comprende pure che non è abbastanza “perfetto” come quelli. Sono corpi con cui riesce a fare i conti. Con cui si sa relazionare. Alla propria altezza. Chi partecipa è solo più vanitoso di chi guarda perché lo fa in tv, altrimenti quella cosa sarebbe accettabile. Forse persino auspicabile.

È probabile che sia per ragioni analoghe che viene ampiamente indagato sia il mondo della body art (Skin Wars o Naked Vegas) sia, ancor di più, il mondo del naturismo (The Naked Village). Il naturismo soprattutto è in effetti, da anni, da molto prima che la nudità diventasse una cosa da indagare in tv, un mondo che suscita enorme curiosità agli occhi di molti. Appare come un mondo possibile in cui vige una buffa eppure più piena coscienza di sé. Da deridere e da ammirare al tempo stesso.

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A questo si aggiunge che in tv il naturismo è il link tra il mondo che conosciamo e l’unico genere di nudità a cui siamo abituati da sempre, e cioè il nudo etnografico, le popolazioni che fanno capolino nei documentari ricordandoci che il pudore a cui siamo abituati noi non è affatto “naturale” ma è frutto di codici di comportamento. E laddove i codici di comportamento sono diversi lo sono anche le pudenda.

Ma parlare di nudo etnografico ci riporta, allo stesso tempo, a quello che, dal mio punto di vista, sono i più riusciti tra gli show di questo filone, se così possiamo definirlo, e cioè le avventure “da nudi”. Nudi e crudi, Naked and Afraid, Ed Stafford: Naked and Marooned, Naked Castaway. Gruppi, coppie o singoli protagonisti abbandonati come mamma li ha fatti in luoghi dimenticati da Dio. Sono praticamente dei nudi etnografici imposti. Infatti in questi programmi il nudo diventa totalmente giustificato perché, negli episodi più azzeccati, in poche scene gli imbarazzi e la vanità si perdono di fronte a una situazione reale: resistere alle avversità come uomini di altre epoche. La nudità allora scompare non perché ci si copra, ma perché viene dimenticata. La vanità e il narcisismo lasciano il posto alla fisicità e davanti al pericolo anche la sfera sessuale diventa trascurabile. E a quel punto il nudo resta, e potrebbe essere perfino non pixelato, perché è solo esempio della fragilità della condizione umana.


Arnaldo Greco

Nasce a Caserta e vive a Milano, dove lavora per la tv. Ha scritto per Il Venerdì, IL, Rivista Studio, Il Post, Il Mattino.

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