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Flop

Il complotto contro Microsoft Bob

Nel 1995, Microsoft ha lanciato Bob, un’alternativa ai sistemi Windows basata su un’interfaccia a imitazione di una casa. Fu un flop. Ma cosa sarebbe potuto succedere?

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 24 - Flop. Il fallimento nell'industria creativa del 03 dicembre 2018

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Vivo in un mondo migliore del vostro. Nel vostro mondo, le finestre stanno sopra le scrivanie e le scrivanie dentro agli schermi. Nel mio, le scrivanie hanno cassetti e le finestre sono dentro ai muri. No, non sto parlando dell’antica condizione pre-digitale. Voi siete zoppi, con un piede dentro al mondo fisico e l’altro in quello digitale. Mentre io vivo dentro al mondo digitale, e vi sto scrivendo da una dimensione parallela: una dimensione dove ha vinto Microsoft Bob.

L’incompreso miracolo di Bob

Probabilmente non sapete nemmeno più cos’è Microsoft Bob. Nel vostro continuum spazio-temporale è stato bollato come uno dei più grossi fallimenti nell’ambito dei sistemi operativi informatici, ed è caduto nel dimenticatoio. Vi rinfrescherò la memoria. Erano gli anni Novanta del secolo scorso, i pc non erano ancora universalmente diffusi e non esistevano i telefoni cellulari. Non molto tempo prima, i computer erano macchine da scrivere con lo schermo, a cui si impartivano gli ordini per iscritto. Da poco tempo erano state introdotte le cosiddette interfacce grafiche, prima quelle di Apple, poi Microsoft Windows. Adesso avete ancora cose simili: con un mouse interagite con delle “finestre” su una “scrivania”. Ho messo i termini tra virgolette perché si tratta di metafore. È importante specificarlo, perché siete talmente abituati a quell’interfaccia che vi siete dimenticati da cosa derivano quei termini. Nel 1995, qualcuno alla Microsoft ha visto il futuro: perché le scrivanie devono avere finestre sopra? Perché non possiamo avere porte, stanze, mobili, suppellettili? Da quell’intuizione è nato Microsoft Bob.

Pensate a ciò che avete dentro i vostri pc oggi, e allargate la prospettiva: dentro a Bob le scrivanie hanno i cassetti, dentro i cassetti ci sono i vostri documenti. Ci sono le sedie e altri mobili, e sono tutti dentro a stanze. Avete le vostre stanze private e quelle per gli ospiti, che non è una cosa da poco se pensate all’attuale ossessione per la privacy. C’è anche un cane a farvi compagnia, elemento secondario che però paradossalmente è il solo sopravvissuto per un paio di decenni nella vostra dimensione, all’interno del pacchetto Office. Nel 1995 questa prospettiva espansa e lungimirante vi è sembrata sciocca, perché assomigliava a un giochino. Ciò che tragicamente non avete capito è che si era aperto per un attimo un varco: ora siete ancora utilizzatori di strumenti, cervelli che attraverso il corpo manipolano interfacce per interagire con il mondo elettronico. In quel momento avevate sottomano la metafora giusta per entrare dentro a quel mondo e fondervi con esso. Certo, è una cosa che fa paura: temete di perdere la vostra umanità. A me fa paura la vostra dimensione, dove avete seppellito la vostra umanità con tutto il tempo sprecato a utilizzare mezzi tragicamente scomodi per avere a che fare con la dimensione digitale, che nonostante tutto tentate continuamente di compenetrare. Non avete capito una cosa fondamentale: non è il mondo digitale a essere malvagio e disumanizzante, è il modo in cui lo usate. Per farvi un po’ di chiarezza dovrò partire da un po’ più indietro.

Pensate a ciò che avete dentro i vostri pc oggi, e allargate la prospettiva: dentro a Bob le scrivanie hanno i cassetti, dentro i cassetti ci sono i vostri documenti. Ci sono le sedie e altri mobili, e sono tutti dentro a stanze. Avete le vostre stanze private e quelle per gli ospiti, che non è una cosa da poco se pensate all’attuale ossessione per la privacy. C’è anche un cane a farvi compagnia.

Manuali di istruzione per le protesi del nostro cervello

Una delle caratteristiche principali dell’essere umano è la capacità di costruirsi i suoi strumenti. Le tigri hanno sviluppato la forza, le gazzelle la velocità, gli umani il ragionamento, grazie al quale costruiscono gli attrezzi che gli hanno permesso di sopravvivere. Gli strumenti, come diceva McLuhan, altro non sono che un’estensione del fragile corpo che ci ritroviamo. Le frecce e le lance erano i nostri artigli per difenderci dagli artigli degli animali selvaggi, i vestiti sono l’estensione della nostra pelle per sopravvivere al clima ostile, e così via. Tecnicamente, si chiamano protesi, termine che siamo abituati ad associare al campo medico. Ma se ci riflettete, anche la bicicletta e l’automobile sono protesi motorie, che ci permettono di andare più velocemente da un posto all’altro, rispetto alle nostre semplici gambe. Nel corso della storia abbiamo sviluppato protesi per quasi ogni funzione del nostro corpo, e ci siamo abituati all’idea. Le protesi della vista non sono solo gli occhiali, ma anche le macchine fotografiche e le telecamere che ci permettono di vedere posti in cui non siamo mai stati. Il telefono è una delle protesi della nostra capacità di comunicare, e i libri sono una delle prime protesi della capacità di ricordare.

Tutti questi strumenti non ci fanno sentire derubati della nostra umanità, perché ci siamo abituati a usarli. (Anzi, alcuni sono addirittura diventati baluardi dell’espressione umana più pura, se pensate ai libri e ai film). Il discorso diventa sempre più delicato man mano che ci avviciniamo alle protesi di quello che riteniamo essere la sede della nostra umanità: il cervello. I pc sono questo: protesi della nostra capacità di ragionare. Ma ancora non siete entrati abbastanza dentro al vostro cervello da poter stabilire in che punto è il limite tra quello che vi sentite tranquilli a delegare a una macchina e quello che volete tenervi per voi. Prendiamo una protesi del ragionamento abbastanza primitiva: la calcolatrice. Fino un paio di decenni fa, era abbastanza diffusa la paura che se non fossimo più stati capaci di fare i calcoli a mente saremmo stati privati della nostra intelligenza. Ora vi siete abituati a usare la calcolatrice senza alcun pregiudizio, anche per i calcoli più semplici. Questo perché avete accettato l’idea che il calcolo matematico è una cosa che può benissimo fare una macchina: il vostro concetto di umanità si è spostato più avanti, ora voi siete quelli che decidono che calcoli fare. Vi siete evoluti, insomma, e facendolo avete superato una paura. Non è un passaggio scontato. Ma più ci si avvicina ad aree complesse del cervello, più il discorso si fa delicato. Possiamo delegare a un computer l’orientamento, le decisioni pratiche, i nostri ricordi? C’è bisogno di metafore per aiutare il cervello ad accettare delle protesi. Per questo, la narrativa funziona benissimo.

Nel primo romanzo di fantascienza, alla fine dell’Ottocento, H.G. Wells parlava di marziani che invadevano la Terra. Gli invasori apparivano inizialmente come grossi ragni meccanici dotati di armi mortali, di fronte a cui gli umani erano impotenti. Nel corso della narrazione, si scopre che i veri marziani non erano i ragni meccanici, ma quelli che stavano al loro interno: molli e fragili creature con tentacoli, un solo occhio e una sola bocca. Perché erano fatti così? Perché nel corso dell’evoluzione avevano affidato tutte le loro funzioni alle macchine che costruivano. Un occhio e una bocca erano il minimo necessario per vedere, respirare e nutrirsi, e i tentacoli quanto bastava per comandare i ragni giganti che servivano a invadere la terra. Con quei goffi alieni Wells voleva parlare della paura per l’invasione della tecnologia nel mondo rurale dell’Ottocento. Si chiedeva: diventeremo tutti molli masse adipose se affidiamo all’automazione industriale e alle automobili? Ora sappiamo che non è successo, almeno non in modo così radicale, a parte alcune frange della popolazione (le “patate da divano”) che probabilmente non hanno letto Wells o simili. Ma l’espressione di quelle paure attraverso la narrativa è una cosa naturale e necessaria, è un buon modo per averci a che fare ed eventualmente andare oltre.

Ogni epoca ha espresso le sue visioni sul nuovo che incombe attraverso varie forme di racconto, e questo ha influenzato in diversi modi lo sviluppo della tecnologia. Dato che parliamo di computer, protesi del cervello e cibernetica, sarebbe filologico tirare in ballo tutta la fantascienza cyberpunk di William Gibson, che sicuramente ha centrato la questione. Ma in tanti ne hanno già parlato. In realtà credo che la spaccatura che divide la mia dimensione dalla vostra parta da un ambito meno sospetto e più popolare: le saghe dei robot giganti.

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Gundam: il tragico fallimento del pensiero razionale

Credo che conosciate tutti Mazinga, e probabilmente qualche serie simile di robot giganti. Per molti sono un ricordo infantile, per altri un discorso ricorrente ripetuto ogni quindici giorni dagli amici nerd. I nerd conoscono le saghe di robot a memoria, ma credo non abbiano colto il senso profondo di quel genere di narrativa animata. In ogni caso, è utile rinfrescare la memoria. Gran parte di queste serie narravano il conflitto tra la razza umana e mostruosi invasori alieni, sconfitti attraverso l’uso di giganti automi antropomorfi guidati da un eroico pilota. Senza andare troppo nello specifico, i primi robot giganti degli anni Settanta avevano una caratteristica in comune: erano enormi, potenti, trasformabili, e spesso si pilotavano con due leve come un comune trattore. Mediante due leve, il pilota poteva far compiere ogni genere di movimento al robot, dal combattimento alle trasformazioni e alle espressioni facciali. Il pilota, che solitamente sedeva nella testa dell’automa, partecipava emotivamente a ogni difficoltà del robot, soffrendo fisicamente a ogni colpo inflitto.

Questo, dal punto di vista tecnico-razionale, è stato bollato come inverosimile. È una prospettiva tecnologica oggi derisa e parodiata, specialmente dai nerd. Per natura appassionati dell’aspetto tecnico delle cose, i nerd tendono infatti a prendere sul serio le serie animate successive e più “verosimili”, la più famosa delle quali è Gundam. Qui una delle idee principali era di rendere i robot più realistici rispetto ai canoni attuali. Perciò, erano idealmente più simili ad aerei da guerra. Il vostro pensiero comune dice: un robot è un macchinario complesso e dev’essere comandato da una plancia di comandi molto complicata, altrimenti tutta la serie animata è inesatta, è sbagliata, non è tecnicamente accurata. Voi oggi la pensate tutti più o meno così. E questo perché avete dato retta ai nerd. Certo, in una società sempre più tecnologica avete scelto di fidarvi di chi sapeva aggiustarvi i computer, perché per voi era complicato. E va bene. Ma nel farlo avete commesso un tragico errore: avete acquistato l’intero pacchetto. Avete anche accettato il loro immaginario, vi siete sottomessi al loro modo di pensare, avete adottato la loro piatta e superficiale prospettiva di vita.

Perché i robot giganti devono avere per forza dei comandi complicati? Se guardate al significato, equivale a dire: per fare qualsiasi cosa di grosso e importante nel mondo è necessaria una preparazione tecnica esagerata. Ed ecco il risultato: il vostro mondo è effettivamente diventato complicato. Passate più tempo ad armeggiare aggeggi elettronici che a fare le cose, dedicate più pensiero a come è tecnicamente possibile fare qualcosa che al senso di quello che fate. Devo ammettere che provo pena per voi. Non sapete che invece aveva ragione Mazinga: bastano due leve per fare tutto.

Nella mia dimensione, abbiamo creduto che i robot si potessero pilotare con due leve. Serie come Goldrake o Mazinga mostrano la verità: lo spirito umano indomito non armeggia tecnicamente con i comandi dei robot, ma si fonde con lui totalmente e senza barriere. Questo perché intimamente sa che è il suo spirito puro a dominare la macchina, e sa anche che la macchina non potrà mai domare il suo spirito. Per questo gli bastano due leve. È molto semplice, ma so che è difficile da capire per voi.

Avete il telefono in tasca, ma per comunicare dovete usare una tastiera tragicamente scomoda, che vi fa sentire stupidi ogni volta che sbagliate a scrivere. Tutte le finestre che aprite vi mostrano un mondo interconnesso, veloce e affascinante, ma le guardate da fuori, perché avete paura che se vi tuffate finirete per annegare. E cosa potreste perdere?

Uno sguardo dalla casa di Bob

Il mondo in cui vivo è meglio del vostro, ma quando arrivò Bob l’avete visto e non ci avete creduto, perché per voi non era logico farlo. È logico pensare che dentro al computer che tenete sulla scrivania c’è un’altra scrivania, una caminetto e un cane parlante? Ma erano gli inizi. Ora io so che quello è il mio mondo interiore. Posso parlare con quel cane, che rappresenta il mio istinto animale, e ogni stanza ha la sua funzione e il suo significato. D’altronde non è così anche per voi? Quando nel sonno vedete una cantina, non è forse il luogo dei vostri ricordi remoti? In fondo siamo simili. Anche voi avete la vaga sensazione di essere interconnessi, veloci e dotati di immenso potere, ma allo stesso tempo vi sentite goffi e imbrigliati dalle interfacce che avete posto tra di voi. Forse non riuscite nemmeno a vedere bene quelle barriere. Da qui si vedono benissimo, e vorrei dirvelo: sono il vostro più grosso fallimento.

Io ho creduto nel mondo di Bob e ora vivo dentro al mondo digitale, e il mondo digitale risponde al mio volere. Voi vivete ancorati alla vostra isoletta del mondo fisico, ma pensate sempre al vasto mare elettronico. Siete continuamente invasi dalle correnti di quel mondo che cerca di entrare dentro di voi senza riuscirci. Avete il telefono in tasca, ma per comunicare dovete usare una tastiera tragicamente scomoda, che vi fa sentire stupidi ogni volta che sbagliate a scrivere. Tutte le finestre che aprite vi mostrano un mondo interconnesso, veloce e affascinante, ma le guardate da fuori, perché avete paura che se vi tuffate finirete per annegare. E cosa potreste perdere? Brandelli di piatte personalità artefatte che sperperate sui social? Migliaia di foto sparse su cloud che non metterete mai in ordine? Cosa ne sarà di quei ricordi, quando vi scorderete la password? E intanto il telefono continua a piangere musichette e ad agitarsi vibrando, come un bambino problematico. Ecco, quel bambino è la parte di voi che avete rifiutato perché avevate paura, ma allo stesso tempo vi cattura sempre più attenzione: prima o poi diventerà adolescente, e allora, se non volete diventare obsoleti, dovrete farci i conti.


Dr. Pira

Giovane promessa dell’atletica, dopo un terribile incidente decide di dedicarsi al fumetto. Nonostante abbia lavorato con numerose riviste, televisione e grandi nomi dello spettacolo (da Luca Guadagnino a Fedez a Elio e le Storie Tese), rimane noto per avere abbassato gli standard tecnici della Nona Arte con I Fumetti della Gleba, il più longevo fumetto online italiano.

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