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Fenomeni

Le proprietà ansiolitiche di 4 ristoranti

Tra i successi più inattesi e duraturi degli ultimi anni c’è il programma che mette a confronto quattro ristoratori di una stessa città. E la chiave della popolarità sta in un racconto positivo e rilassante.

Ad aprile 2020, durante il primo lockdown, mi capitò un incidente molto fastidioso: fui colpito da una colica renale. Da ipocondriaco quale sono, il fatto stesso che quel dolore lancinante fosse arrivato in un momento delicatissimo dal punto di vista sanitario fu un evento che per qualche giorno mi creò grande panico, per non parlare del male atroce che solo chi ha provato una colica ha ben presente. Per farla breve, se a sistemare la questione del dolore ci pensò il Toradol, per addolcire l’ansia mi affidai invece alla visione ripetuta e compulsiva di 4 ristoranti. E, posso confermarlo, funzionò. Non penso sia l’unico metodo garantito per superare gli attacchi di panico, ma sui miei nervi scossi la voce di Alessandro Borghese cascava benevola come gocce di tranquillante, sciogliendo le tensioni più coriacee al solo ascolto della frase di apertura “Quattro ristoranti in sfida, cinque categorie da votare”. 

Non era la prima volta che mi capitava di testare le proprietà ansiolitiche di questa trasmissione, ma certo questa era la prova del nove. Confrontandomi in giro, ho capito di non essere il solo a beneficiare di questo effetto calmante. Una volta un mio amico, che ospitai a casa per una notte, si sentì poco bene e la prima cosa che mi chiese fu di mettergli in streaming una puntata di 4 ristoranti: non una qualsiasi, ma quella ambientata ad Acqualagna nelle Marche. E lo capisco perfettamente, anch’io mi sarei comportato nella stessa maniera, chiedendo di poter assistere a una delle mie puntate preferite che, come porti sicuri, mi attendono per accogliermi nei momenti di sconforto fisico oltre che psicologico.

Replica infinita

Arrivato alla settima stagione, senza contare due edizioni a tema estivo, 4 ristoranti ha debuttato nel 2015 su Sky Uno per poi essere trasmesso, grazie al suo successo, in numerose repliche su Cielo e Tv8: proprio la continua riproposizione tende a far sì che una sola visione delle puntate non sia sufficiente per chi è veramente amante di questa trasmissione. Di solito io mi regolo in questo modo: la prima volta che assisto a una nuova puntata, me la guardo attentamente in televisione seduto sul divano. Poi, dalla seconda visione in avanti, ne fruisco sul supporto che capita e nei momenti della giornata in cui sento di averne necessità, talvolta anche come mero sottofondo mentre sbrigo altre attività. Mi sono accorto infatti che il mio organismo ha sviluppato una sorta di dipendenza da 4 ristoranti. Non credo esista un altro programma televisivo con altrettante proprietà tranquillanti: ho provato con Melaverde e Linea verde, programmi che contenendo la parola “verde” nel titolo, il colore più rilassante dell’intera gamma cromatica, potevano suggerire robuste iniezioni di calma e benessere. E invece niente da fare.

4 ristoranti è un inno alla speranza, al non arrendersi mai pur senza farsi venire l’esaurimento nervoso, ma semplicemente lavorando con dedizione e amore. Sono giunto a pensare addirittura che sia la voce stessa di Alessandro Borghese ad avere proprietà rilassanti.

Senza nemmeno ricorrere alla cromoterapia, 4 ristoranti compie su di me un vero miracolo: far risultare una competizione rilassante, e questo sarebbe già di per sé un ossimoro. Come fa una gara a essere rilassante? Da qualche anno a queste parte, la televisione ci ha per lo più offerto show dove il modello di competizione è spietata: parlo dei talent da X Factor in poi, passando naturalmente per MasterChef, dove l’ansia da prestazione in certi momenti sfiora l’insostenibilità. Ci si immedesima nei concorrenti e nei loro patemi d’animo, nelle loro speranze di cambiare la propria esistenza, come tanti possessori di un biglietto della lotteria che solo la magnanimità dei giudici potrà stabilire se sarà vincente o meno: in caso negativo, se ne torneranno tutti alle loro rispettive vite con il fallimento nel cuore. Personalmente sono un avido spettatore di MasterChef, ma mi faccio coinvolgere troppo dalla cappa di ansia che lo pervade e, nel giorno sbagliato, non sono disposto a sopportare la disperazione di un concorrente che si è dimenticato di mettere il sale nelle pietanze. 

Con 4 ristoranti questo non succede, anzi, me lo somministro come fosse un concentrato di serotonina. E allora torno al punto di prima: come può un programma che in fondo si basa sulla competizione, generare un simile stato di beatitudine? La risposta che mi sono dato è: grazie ad Alessandro Borghese, e alla bravura dei suoi autori. Nel mondo di 4 ristoranti i ristoratori – anche i più agguerriti e scorretti, le carogne o quelli veramente scarsi, chi serve cibo surgelato spacciandolo per fresco o altri che fanno i furbi sul conto – non sono mai demoliti da Borghese: casomai, con grande nonchalance, può capitare che ne segnali i difetti in termini costruttivi, per dare modo al ristoratore di turno di correggersi e migliorarsi. Nelle prime due stagioni del programma, ogni tanto capitava che il suo giudizio fosse tranchant, e dicesse chiaro e tondo che un ristorante lo aveva deluso, ma dalla terza stagione in avanti i commenti sono diventati più sfumati: se qualcosa non lo ha soddisfatto, che sia il servizio o il cibo, lui lo fa intendere con giri di parole di raro garbo, senza dimenticarsi mai di dire che comunque ha intravisto margini di miglioramento, iniettando così robuste dosi di entusiasmo. Per questo motivo 4 ristoranti è un inno alla speranza, al non arrendersi mai pur senza farsi venire l’esaurimento nervoso, ma semplicemente lavorando con dedizione e amore. Sono giunto a pensare addirittura che sia la voce stessa di Alessandro Borghese ad avere proprietà rilassanti: forse uno studio universitario sui neuroni un giorno lo potrà confermare ma nel frattempo io tengo per buona questa teoria.

Ammonimenti benevoli

Il momento del programma che preferisco è quando si procede con l’ispezione delle cucine: sono pochi minuti ma significativi. Borghese sa già dove andare a scovare le possibili magagne: la gestione del cibo disordinata nei frigoriferi, le vaschette senza etichettature, le cappe per l’aerazione non pulite, le griglie arrugginite, gli attrezzi in legno appesi quando da normativa non potrebbero essere più utilizzati. Su questi punti Borghese è fermo, come è giusto che sia, e spessissimo riscontra delle irregolarità. Ma anche quando le fa notare, il suo ammonimento è quello benevolo del maestro di scuola che sgrida l’alunno che non si applica ma che ha le capacità per fare di più. Io stesso, quando lo sento dire che la cucina deve essere sempre pulita e ordinata, percepisco in me una spinta irrefrenabile e corro subito a lucidare il piano cottura. Siamo ben lontani dal clima da retata poliziesca di programmi come Operazione N.A.S., dove ogni irregolarità nella conservazione degli alimenti equivale a un plurimo omicidio. In 4 ristoranti anche le cucine più disastrose beneficiano di un trattamento di clemenza, a dimostrazione del fatto che la salvezza e la redenzione esiste per chiunque.

Nel mondo di 4 ristoranti i ristoratori – anche i più agguerriti e scorretti, le carogne o quelli veramente scarsi, chi serve cibo surgelato spacciandolo per fresco o altri che fanno i furbi sul conto – non sono mai demoliti da Borghese: casomai, con grande nonchalance, può capitare che ne segnali i difetti in termini costruttivi, per dare modo al ristoratore di turno di correggersi e migliorarsi.

Un altro elemento su cui si basa il potere rassicurante del programma è proprio il suo format, granitico e fedele nel riproporre, puntata dopo puntata, le stesse situazioni che si generano ormai da anni durante il gioco: dai commenti negativi sull’arredamento, alla dubbia provenienza di un ingrediente, oltre all’immancabile momento del conto troppo clemente che fa scattare subito le accuse di strategia. Sono autentici pilastri della trasmissione che lo spettatore affezionato conosce bene e che, al loro verificarsi, suscitano un senso di rasserenante familiarità. Nonostante poi gli screzi siano parte integrante del programma e i concorrenti non manchino di sferrarsi colpi bassi e critiche, si resta quasi sempre nei limiti di un’educazione invidiabile rispetto ad altre trasmissioni. Infatti, quelle poche volte in cui un ristoratore si lascia andare a commenti decisamente offensivi, lo sgarbo fa subito notizia, come nel caso della puntata ambientata nell’astigiano durante la settima stagione, quando un concorrente ha sostenuto che gli agnolotti di coniglio di uno sfidante sapevano di “sudore di cane”. Il meccanismo perfettamente rodato di critiche incrociate salta solo quelle rare volte in cui si ottiene la magica quadratura del cerchio e cioè quando tutti i concorrenti sono gentili e ben disposti l’uno con l’altro, lodando le rispettive cucine e dandosi a vicenda voti altissimi di fronte a un soddisfatto Alessandro Borghese. Ecco, in queste puntate, io riesco a intravedere uno spiraglio di luce nell’affastellarsi delle turpitudini esistenziali: se maestri del pessimismo come Emil Cioran avessero assistito a queste scene avrebbero vergato paragrafi di sorprendente speranza verso il genere umano.

Ma la chiave di lettura del programma è custodita nel finale, quando si svelano i voti e Borghese pronuncia la frase “E come amo sempre dire, avete fatto tutto voi”: insomma, ci tiene a precisare che ciò che abbiamo visto fino a quel momento non prevedeva la sua intercessione, e con modestia fa un passo indietro per permetterci di assaporare nella sua interezza lo spettacolo dell’agire umano che si è dispiegato di fronte ai nostri occhi. Alla fine, ognuno ha portato a casa il proprio risultato: non ci sono stati grossi drammi, o incidenti gravi, i pasti sono stati serviti, alcuni buoni, altri meno. I dissapori inevitabili che si sono creati in questo delicato confronto durano solo qualche attimo, in attesa che Borghese riveli i suoi voti che possono “confermare o ribaltare il risultato”: è quindi a lui che ci si affida con cieca fiducia, abbandonandosi al suo giudizio senza opporre alcuna resistenza. Anche i concorrenti si comportano di conseguenza, e ogni attrito si scioglie nel catartico momento della classifica definitiva (almeno nelle puntate registrate prima del 2020), dove i ristoratori, compresi quelli che hanno totalizzato meno punti e con pessime figure alle spalle, mostrano comunque una parvenza di felicità sulle note della sigla finale. Al termine di ogni visione, non importa quante volte si abbia già macinato una puntata, l’animo si abbandona quindi a un senso di conquistata pace, e mentre sui titoli di coda ci apprestiamo a tornare alla vita reale, in testa ci continua a risuonare la voce di Borghese che, sibillinamente, sembra lasciare aperto uno spiraglio di speranza nel futuro: “Nulla è ancora deciso”.


Marco Prato

Laureato in Giurisprudenza con una tesi in diritto d'autore, attualmente vive a Milano dove lavora nel mondo dell'editoria. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su Effe e L'inquieto.

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