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Cultura digitale

Internet, la televisione trash e Mark Caltagirone

Fenomenologia dei programmi tv che sembrano fatti apposta per diventare meme. E menzione speciale per Pamela Prati e il suo fidanzato immaginario, coronamento di un lungo percorso.

Nel 1979, Cristiano Malgioglio scrive una canzone, Sbucciami, destinata a ritornare in auge quasi quarant’anni dopo sotto forma di cult. L’autore di Ramacca aveva già scritto brani rimasti nella storia – L’importante è finire cantata da Mina è uno dei tanti –, eppure oggi quando pensiamo a lui siamo più suggestionati dalla sua personalità televisiva, che ben si accosta alle sonorità del singolo con metafore a sfondo ortofrutticolo. Nel 1979, mentre Malgioglio compone hit con grande versatilità di registro, nasce Eliana Michelazzo, che nel 2009 occuperà molto spazio tra le sedute rosse degli studi di Uomini e Donne in qualità di corteggiatrice, e che tornerà in televisione solo nel 2019, su altre poltrone, come quelle avvolte dalla luce inestinguibile della verità di Verissimo. Sempre quarant’anni fa, Barbara D’Urso appare al fianco di Pippo Baudo a Domenica In, e incide poco dopo Dolceamaro che, guarda caso, nel 2019 reinterpreta proprio al fianco di Cristiano Malgioglio. Pamela Prati, invece, in quegli anni prepara la pista del suo decollo professionale posando per la copertina di Un po’ artista un po’ no di Adriano Celentano. Il fil rouge che lega questi personaggi è che hanno tutti in comune due cose: una carriera (consapevole) nello spettacolo, una carriera (un po’ meno consapevole) su internet. Né Pamela Prati né Cristiano Malgioglio avrebbero mai immaginato che nel 2019 si sarebbero trovati a essere colonne portanti di pagine Instagram dedicate al “trash” con milioni di follower, eppure oggi si ritrovano così, insieme a moltissimi altri che sarebbero stati altrimenti condannati all’oblio sui media.

È nato prima il meme o la gallina

Quando il concetto di social e di “popolo del web”, come piace definirlo al “popolo della televisione”, era ancora in fase di gestazione, all’alba del XXI secolo, c’era un momento che raccoglieva tutti i giovani davanti a Italia Uno. Mai dire Grande fratello – un programma ben testato dalle sue edizioni sorelle, tutti i vari Mai dire… – era il momento in cui ci si divertiva ad ascoltare tre voci narranti che prendevano in giro la trasmissione che aveva cambiato in modo radicale l’idea di televisione, foriera della grande sottocategoria allora inedita dei reality show. Se si pensa all’idea di base, ascoltare delle persone che commentano un programma, non c’è poi molto di allettante. Ma se metti non tre persone qualunque ma le più divertenti, la Gialappa’s, davanti non a uno show qualsiasi ma alla quintessenza della “tv spazzatura”, il risultato è invece impeccabile: cosa c’è di meglio di guardare un prodotto riconosciuto in quanto schifezza, legittimati da una chiave di interpretazione ironica che consente di fruirne senza sensi di colpa? Ma non finisce qui, perché ridere dell’Ottusangolo e di Patrick che vomita nella suite dell’amore genera anche l’esigenza di condividere questa esperienza. Lo commenti in classe la mattina dopo, con gli amici, con tuo fratello, con tua cugina. 

Tutto ciò è esattamente quello che succede sui social pochi anni dopo che Filippo Nardi voleva le sue sigarette, solo che invece di avere il compagno di banco con cui condividere il racconto del commento divertente ai momenti peggiori del Grande fratello, c’è un’intera community che ti ascolta. E se ti va bene ti fa persino diventare popolare per la battuta, o meglio ti rende virale. Arriva Twitter, arriva Facebook e siamo tutti Gialappa’s: ognuno può commentare quel pattume tanto vituperato che va in tv senza paura di essere giudicato perché lo si guarda, anzi forti dell’appartenenza a una comunità che si nutre di questo materiale, ma sempre per ridere. Non più solo clip sottotitolate e commentate da guardare la domenica sera, ma interi thread su Tina Cipollari e Gemma Galgani che si scontrano sul terreno fertile degli studi Titanus di via Tiburtina. Internet e i meme si nutrono di ciò che la televisione propone, rielaborando così il materiale altrimenti ingerito passivamente, dando una forma concreta a qualcosa che abbiamo sempre fatto davanti alla televisione: interpretare, ma oggi anche condividere, fare parte di un gruppo. “Coesione e differenziazione”, come Simmel definiva la tendenza, la moda, un trending topic

Meme. Valeria Marini che a Temptation island vip vuole le cotolette, Marco Carta che racconta a Barbara D’Urso della sua vicenda di taccheggio, Mara Venier che reagisce con enfasi materna e piaciona ai racconti dei suoi ospiti a Domenica in, Tina Cipollari con il famigerato “No Maria, io esco”, Francesca Cipriani che si lancia dall’elicottero per approdare a L’isola dei famosi, Eva Henger che si riscopre finanziera accusando Francesco Monte di possedere droga in un reality.

E The Lady fu

Uno dei primi fenomeni trash che hanno aperto le danze del commento web e dell’estrapolazione di contenuti per riciclaggio memetico si può individuare nella famosa webserie di Lory Del Santo. Nel 2014 i tempi erano maturi per fare sì che la collettività di internet si unisse nel rito di destrutturazione di un prodotto audiovisivo che per la sua natura a cavallo tra il naif e le atmosfere da intro di porno italiano – con tanto di ripescaggio di personaggi ormai tramontati come il primo tronista, Costantino Vitagliano – si prestava bene alla pratica idiosincratica e referenziale del meme. Ma The Lady, per quanto interessante come caposaldo, è comunque un prodotto nativo del web, non avendo sbocchi televisivi ma al massimo elementi presi in prestito dalla tv, a partire dalla mente creatrice, Lory Del Santo, che ha investito la sua popolarità mediatica in questo progetto pastiche a cavallo tra il ci è e il ci fa. 

Il vero punto cruciale di questo interscambio tra un contenitore e un altro, che si traduce in una sorta di Blob collettivo in cui ognuno individua un momento dalla forte potenzialità semantica, trova terreno fertile nelle trasmissioni che propongono molto più materiale di una semplice serie su YouTube. Lo scambio avviene attraverso tre forme che appartengono a tre realtà distinte ma collegate. C’è il commento testuale e personale, quello più in stile Gialappa’s, che avviene su Twitter in contemporanea con la messa in onda, supportato dal potere connettivo dell’hashtag. C’è quello per immagini – Instagram è il luogo per eccellenza, ma anche Facebook ha un ruolo – più prettamente assimilabile all’universo meme, che si compone di fotogrammi o brevi video che per la loro natura altamente espressiva diventano metafore visuali di concetti più universali. Infine c’è la forma più tormentone, quella da video YouTube best of o da canzone parodia che rappresenta la fase finale del processo di riconversione dell’immagine, dato che può persino ritornare alla tv sotto la sua nuova forma citata dai suoi protagonisti – Stefano Bettarini, Sossio Aruta e Valeria Marini, per esempio, citano in televisione i loro video virali di internet. Uomini e donne, Temptation island (vip e non), Grande fratello (vip e non), Ciao Darwin, C’è posta per te, L’isola dei famosi, Pomeriggio cinque, Verissimo, Domenica in e poi un picco di coinvolgimento a febbraio, durante Sanremo: tutte queste trasmissioni non restano confinate allo schermo, ma rinascono e raggiungono vette altissime di popolarità non in televisione ma su internet. 

Cristiano Malgioglio non è più l’autore dei testi di Mina, né solo un concorrente del GF Vip: è un meme. Quando dice “Basta, io ho chiuso”, con i suoi occhiali tondi e quel piglio inconfondibile da regina della casa, fa un salto e passa da un mondo monodimensionale alla pluralità dell’interpretazione di internet. Valeria Marini che a Temptation island vip vuole le cotolette, Marco Carta che racconta a Barbara D’Urso della sua vicenda di taccheggio, Mara Venier che reagisce con enfasi materna e piaciona ai racconti dei suoi ospiti a Domenica in, Tina Cipollari con il famigerato “No Maria, io esco”, Francesca Cipriani che si lancia dall’elicottero per approdare a L’isola dei famosi, Eva Henger che si riscopre finanziera accusando Francesco Monte di possedere droga in un reality. Tutti questi frammenti di televisione trovano nuova vita, aumentando in modo esponenziale il loro significato se estrapolati dal contesto da cui provengono e che tutti conosciamo. Un gioco di immedesimazione e compartecipazione – unito alla fondamentale componente ironica, essenza di internet – espande un’immagine e un suono su un nuovo piano testuale, rendendo lo spettatore parte attiva del processo. 

Il cavaliere inesistente: il caso Mark Caltagirone

Uno spettatore demiurgo, dunque, che seleziona i pezzi di storia migliori partecipando attivamente alla composizione di un puzzle narrativo da mettere insieme su una piattaforma diversa da quella televisiva ma altrettanto solida. Non tanto un gioco di ruolo alla Bandersnatch ma una direzione compartecipata, forte della coralità della sua ricezione. In questo senso, la primavera 2019 ha regalato una trama da smantellare e ricomporre senza precedenti: Pratiful, come è stato ribattezzato, ossia il caso ai limiti con un racconto fantastico di Italo Calvino di Pamela Prati e Mark Caltagirone. Una vicenda che merita una dose massiccia di sospensione dell’incredulità per essere goduta appieno, perché contiene in sé talmente tanti punti incomprensibili e assurdi che se dovessimo metterci ad analizzarla per ciò che vuole sembrare – una storia vera e sensata – perderemmo il senno. 

È molto più interessante approcciarsi al caso Prati-Michelazzo-Perricciolo in quanto magnifica opera di letteratura popolare, come un racconto di quelli non scritti che si tramandavano ai tempi di Omero, in cui un uomo che non esiste diventa al contempo alleato e nemico, amante e nemesi di una donna alle prese con una lotta esistenziale, quella contro il tempo e contro l’oblio. Eppure, come tutte le grandi storie, senza un pubblico che ascolta non trovano legittimità di esistere, e così è stato “il web”, che ne ha divorato ogni centimetro rimanendo con il fiato sospeso per tutti gli allucinanti plot twist del caso trasformati in materiale per internet che ha allungato ulteriormente la catena del racconto. 

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Già partendo dai protagonisti del Pamelagate se ne intuisce il potenziale: Pamela Prati, stella del Bagaglino in corsia preferenziale sul viale del tramonto, sfrattata dalla casa del Grande fratello vip e fresca di collaborazione con il più amato dei suoi concorrenti, Cristiano Malgioglio; Eliana Michelazzo, corteggiatrice finalista al centro di un trono ad alta tensione, quello di Federico Mastrostefano nel 2009, che già all’epoca si era distinta per un’accesa querelle con Tina e per aver trovato rifugio tra gli spalti, fra le braccia di Danielona, con un percorso nella trasmissione all’insegna del “Maria io so’ fatta così”, del parlare di sé in terza persona (“Eliana è una che s’è fatta da sola”), delle carriere parallele da vocalist nelle discoteche e delle frangette à la Tatangelo; e poi l’elemento inaspettato, “Donna Pamela”, alias Pamela Perricciolo, quarantenne brizzolata con i capelli a spazzola e molti tatuaggi, di origini calabresi, attiva in un business di agenzie – Aicos Management è il nome di quella in cui lavorava anche Prati – di spettacolo e ristoranti a Roma, unica nel triangolo a non avere un passato sul palcoscenico ma solo nelle retrovie dell’intrattenimento. 

Tutto ha inizio con un candido messaggio di Pamela Prati a un uomo che le è stato introdotto virtualmente, tale Mark Caltagirone, a cui la soubrette scrive “Buona primavera”, frase presa, impacchettata e riutilizzata sui social come ouverture di un generico rapporto sentimentale che presagisce un disastro emotivo. Pamela Prati, infatti, nell’inverno del 2019 annuncia al mondo televisivo il suo matrimonio imminente con questo misterioso imprenditore con un nome da attore porno in pensione, con cui vive un fidanzamento da sogno, condita da tatuaggi sul costato, bambini in affidamento e un meritato amore maturo. Solo che a puntare il dito sull’inesistenza di questo cavaliere riservato e schivo accorrono presto gli occhi indiscreti dei giornalisti, fino a far crollare il castello di sabbia in cui Pamela Prati aveva già sistemato il corredo nuziale. Insomma, Mark non esiste nella realtà come essere umano ma solo in quanto account che a lungo ha illuso Pamela, vittima a detta sua di una messa in scena architettata da un’altra Pamela – Perricciolo, sua agente e amica, e per i più maliziosi anche compagna della Michelazzo – in combutta con Eliana, che come nelle migliori telenovele regala a tutti un ennesimo colpo di scena: anche lei è stata truffata da un finto uomo dei sogni, Simone Coppi, di cui ha anche tatuato addosso il nome dopo una relazione lunga ben dieci anni, con tanto di interviste di coppia e cugino fidanzato di nientepopodimeno che Barbara D’Urso. Né Pamela né Eliana hanno mai visto – e di conseguenza consumato, come incalza Barbara D’Urso in un colloquio decisivo di chiarimento con Eliana che precisa “L’ho fatto virtuale”, altra frase subito memificata – i loro compagni, eppure, anni di parole, conversazioni, dichiarazioni, promesse tra i soggetti di queste storie romanticamente evanescenti si possono trovare sui loro telefoni, dove tutto è rimasto impresso. Donna Pamela, la mente diabolica dietro questa operazione di accalappiamento di donne in cerca di amore che coinvolge persino Manuela Arcuri, smentisce, glissa, dice e non dice, sostiene che le vittime fossero in realtà complici. 

La verità, ovviamente, è talmente tanto sommersa dalle pagine di questa sceneggiatura assurda che non ha nemmeno senso cercarla, perché è nell’essenza di questo racconto, quella che internet ha individuato molto bene, che risiede la sua particolarità. Mark Caltagirone non esiste ma contemporaneamente esiste: è un paradosso sofista. È l’idea platonica di un modello maschile che incarna tutte le caratteristiche che una donna di una certa età e certa estrazione culturale ricerca, e per questo non può essere reale se non in quanto frutto della mente di un’altra donna che lo gestisce come account. Un C’è posta per te ma con la tua amica tatuata dall’altra parte invece di Tom Hanks. Infatti, è proprio su questo sintagma narrativo che internet ha messo gli artigli, producendo infinite varianti paradigmatiche in cui Mark Caltagirone è la costante invisibile, l’elemento irreale che sottolinea la sconfitta esistenziale di ognuno. Per Pamela Prati è stato un marito inesistente, ma quanti si sentono di poter negare di non aver avuto a loro volta un Mark Caltagirone, una proiezione fantastica e perfetta di tutto ciò che avremmo voluto, un amico immaginario, una relazione fantasma. Ed è qui che il meme subentra, arricchendo la storia con un piano di lettura estensivo che coinvolge attraverso l’immedesimazione l’autore della storia e il suo lettore. 

È più interessante approcciarsi al caso Prati-Michelazzo-Perricciolo in quanto magnifica opera di letteratura popolare, come un racconto di quelli non scritti che si tramandavano ai tempi di Omero, in cui un uomo che non esiste diventa al contempo alleato e nemico, amante e nemesi di una donna alle prese con una lotta esistenziale, quella contro il tempo e contro l’oblio.

Internet e tv, do ut des

Da quando i teenager non stanno più davanti a Mtv ma a swipare stories su Instagram, da quando le serie non si guardano su Italia Uno ma in una notte sola di abbuffata su Netflix, il terrore dell’ignoto incombe sul futuro della tv. In realtà, se come sostiene il saggio scienziato francese nulla si crea e nulla di distrugge ma tutto si trasforma, penso che possiamo dormire sonni tranquilli, perlomeno fin quando l’essere umano avrà bisogno di dire la sua opinione su qualcosa. I social pullulano di pagine trash in cui la materia televisiva si trasforma in materia di internet, e Instagram è forse il regno più fecondo per questo riciclaggio audiovisivo, proprio perché oggi a celebrità corrisponde anche account. 

Su Instagram Ezio Greggio ci informa che è a Ibiza con tanto di hashtag #èluiononèlui, Mara Venier lotta contro i gabbiani romani sul suo terrazzo vista Cupolone, Barbara D’Urso – che ha quasi due milioni e mezzo di follower ma segue solo un profilo, quello di Oprah – ci regala uno scatto della sua caprese davanti al mare di Sicilia, e Pamela Prati, passata la tempesta, posta video di tramonti romantici con lei sulla battigia a fare da sirena. Nel frattempo, le pagine che prontamente rastrellano tutto ciò che la tv offre si moltiplicano: Trash Italiano conta un milione e mezzo di follower su Instagram, Intrashttenimento 2.0 su Facebook più di un milione di like, Ghetto Trash quasi quattrocentomila follower, Trash Biccis intorno ai duecentomila. Poi ci sono quelle con intenti più elaborati e un livello di parodia più raffinato della sola riproposizione di frammenti rivisti in chiave ironica, come Very Inutil People, che si premura di raccogliere anche tutte le occasioni in cui i personaggi minori, moderni imbonitori di piazza, sputati fuori dal trash – la schiera enorme di influencer che bazzicavano gli studi di Maria De Filippi – inciampano in strafalcioni ridicoli durante le loro televendite di bibitoni miracolosi su Instagram. Internet, dunque, non si è preso proprio nulla, non ha tolto spazio ma anzi, al contrario, lo ha aumentato in modo esponenziale. Non ha decretato la morte della televisione ma ne ha semmai sancito l’inizio di una nuova era, perché per quanto la partecipazione nutre la narrazione, ci deve pur essere del materiale di partenza che si espande in modo univoco, senza dialogo con chi guarda. 
Il dialogo arriva solo in un secondo momento, quando diventiamo quelli che Barbara D’Urso chiama “i nostri amici dei social”, rimbalzando da mezzo a mezzo il contenuto che divoriamo. Perché una cosa è certa, l’uomo non placherà mai la sua sete di racconto, né di interpretazione. La televisione ha il potere di fornirci una rielaborazione della realtà impacchettata secondo strutture che ne simulano gli schemi ma ne aumentano certi aspetti, internet quello di dare a ognuno di noi la possibilità di fornire a un pubblico anche il nostro pezzetto di realtà, che sia un commento o una foto. Il meme, in tutto ciò, fa da ponte tra questi due mondi nutrendoli a vicenda; almeno per ora.


Alice Valeria Oliveri

Autrice e musicista, si è laureata alla Sapienza in anglistica con una tesi di teoria della letteratura. Scrive su diverse testate online di cinema, tv, serie televisive, musica e attualità. Ha collaborato con Dude Mag, VICE, Noisey, Motherboard, Prismo, The Towner e The Vision, dove è stata redattrice.

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