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Tendenze

Il panorama ribollente dello streaming statunitense

Netflix, Prime, Disney. Hbo Max, Paramount+ e i nuovi Fast. E poi la cable, e i vecchi network. Facile perdersi tra novità e cambi di rotta. Ecco allora lo stato dell’arte alle soglie di una nuova stagione tv.

Il panorama dei media americani continua a essere in subbuglio. La stagione televisiva 2021-22 è stata caratterizzata dall’esplosione delle piattaforme streaming delle major, sia per la crescita di abbonati, sia per il numero di titoli distribuiti o messi in cantiere. Questo però si controbilancia da qualche anno con una forte contrazione della produzione di titoli scripted per le reti via cavo, e ormai anche per i cinque network: Nbc, Cbs, Abc, Fox e The CW sono reduci da una stagione in cui la fiction, e soprattutto la sitcom, era meno presente nei palinsesti di prime time. La tendenza è confermata per la stagione attuale: a settembre, mese di solito affollato di debutti, le novità si contano sulle dita di una mano. Tuttavia l’anno scorso si è rivelato sostanzialmente stabile per i network dal punto di vista degli ascolti, mentre le reti via cavo, date per morte già due anni fa, hanno conosciuto qualche successo inaspettato. Tanti player minori e indipendenti, pur avendo per forza di cose allargato il business allo streaming, continuano a puntare sulla fiction e sul lineare, convinti di riuscire a ritagliarsi il proprio spazio.

Il mondo dello streaming, d’altro canto, è in rapidissima evoluzione, tuttora alla ricerca di modelli sostenibili: lo Svod puro inizia a mostrare qualche crepa dopo il tonfo di Netflix (il re dello streaming nel primo trimestre 2022 ha perso abbonati per la prima volta nella sua storia, con conseguente crollo del valore delle azioni, previsioni fosche e prossimi cambi nel modello di business), mentre gli Avod o Fast (free ad-supported streaming tv) sgomitano per il loro minuto di celebrità, percorrendo, ancora una volta, la strada della produzione di fiction originale.

Il contenuto pregiato passa in streaming

Le major spingono l’acceleratore sull’online in maniera più o meno estrema (vedi Disney), impegnate in una lotta all’ultimo sangue per far emergere la loro piattaforma e arrivare all’obiettivo più ambito: raggiungere e superare Netflix. Una delle conseguenze più evidenti degli ultimi mesi è il passaggio del contenuto pregiato in streaming. Diventa quindi scottante il tema del potenziale depauperamento dei network oltre che delle cable, perché le major tendono a traslocare alcuni brand di successo sulle piattaforme, rendendoli disponibili solo per lo streaming. Alcuni esempi possono essere il passaggio del talent show Dancing With The Stars da Abc a Disney+ nella stagione 2022-23, o la decisione di Nbc Universal di lanciare Bel Air, il reboot del cult anni Novanta Il principe di Bel Air, solo su Peacock, trasformandolo tra l’altro nel più grande successo della piattaforma dalla sua nascita.

Ancora più eclatante l’annuncio che tutti gli spin-off della serie di Kevin Kostner Yellowstone, enorme successo che ha rilanciato il genere western nella tv americana, andranno in esclusiva su Paramount+. In tempi passati un titolo con performance come quelle di Yellowstone sarebbe stato promosso dalla rete via cavo al network del gruppo. Invece, a breve sulla piattaforma, attualmente in espansione in Europa, si vedrà, tra gli altri, il prequel 1923, con Harrison Ford ed Helen Mirren. E Paramount+ non affida la sua offensiva solo al western: ci saranno i reboot in versione seriale di Attrazione fatale e Grease, lo spin-off australiano del procedural franchise NCIS (in onda su Cbs e tuttora serie più vista della tv americana) e il ritorno in grande stile di Sylvester Stallone nel mob drama The Tulsa King, firmato ancora da Taylor Sheridan, creatore di Yellowstone. Dall’estate 2022, poi, i titoli del canale premium Showtime (sempre parte del gruppo Paramount Global), fucina di serie di qualità insieme a Hbo, sono disponibili anche sulla piattaforma: questo significa Your Honor, Yellowjackets, Dexter: New Blood o Billions, solo per citare qualche successo recente, ma anche i prossimi sequel di American Gigolo e Gattaca. Questo lascia campo libero, in tv, ai competitor minori, appartenenti a gruppi più piccoli.

Il futuro della tv lineare

Mentre tutti sono impegnati a fare la guerra a Netflix, per emergere può convenire stare sul lineare. Società come A&E, Univision, Fox, Amc scommettono che, anche se i bundle per la pay tv continuano il loro declino, rimanere sul lineare possa essere ancora redditizio e fare da ponte tra un presente incerto e un futuro auspicabilmente più solido. Questo non significa ignorare lo streaming: Amc ha sia lo Svod Amc+, sia canali Fast su varie piattaforme, oltre a essere proprietaria di varie piattaforme tematiche; Fox ha acquistato l’Avod Tubi e lanciato il servizio di nicchia Fox Nation. Ma l’investimento sull’online non può essere a scapito della tv lineare, che rimane il core business. In effetti, nonostante le abitudini di fruizione dell’audiovisivo siano state stravolte, il tempo trascorso davanti alla tv “in diretta” rimane stabile, a fronte di una crescita esponenziale di offerte in streaming e di un calo degli abbonamenti alla pay. Per le cable, dunque, lo sport e, in misura minore, le news, permettono di distinguersi. Inoltre, le nuove tecnologie come la pubblicità addressable, che permette di targhettizzare gli spot, avvicinano la tv lineare alle possibilità di specificità offerte dallo streaming, mantenendo però un’ampia scala.

Quasi la metà degli utilizzatori dello streaming negli Stati Uniti afferma di sentirsi “sopraffatta” dall’enorme quantità di contenuti, e di faticare a scegliere o trovare ciò che gli interessa. Questo dato non sorprende visto che, per Nielsen, ci sono attualmente disponibili 817.000 titoli unici di programmi (serie, film, speciali, show, ognuno dei quali ha decine o centinaia di episodi) in streaming, con un incremento del 26,5% rispetto al 2019.

A&E Networks, per esempio, punterà sui canali food, nel momento in cui Discovery sposta quel tipo di contenuto sullo streaming. Fox è il network rimasto indipendente dopo il passaggio di 20th Century Fox a Disney, dunque senza una major alle spalle che produca programmi, e costretto a essere in parte dipendente da Disney, proprietaria ora di tutti i titoli 20th Century Fox ancora in palinsesto. Un paio di stagioni fa aveva davanti prospettive decisamente incerte. Invece se l’è cavata egregiamente e, ormai rodato a un palinsesto ricco di sport e eventi, può partire in vantaggio in questa stagione, in mezzo agli altri palinsesti che si ritrovano improvvisamente poveri di titoli, migrati online. 

Che fine ha fatto la peak tv?

Il boom dello streaming ha portato la peak tv a livelli impensabili. Il 2021 ha segnato un nuovo record per serie originali prodotte tra tv e online: 1.923 titoli. Ora sono i servizi Svod i committenti principali di programmi originali; nel 2021 per la prima volta hanno sorpassato le cable (i network erano già stati superati nel 2017). Oltre 900 i titoli prodotti dai servizi Svod, 200 in meno quelli delle cable, mentre i network si sono fermati a 207. A questi si aggiungono anche i servizi streaming free, con la produzione di 68 serie: una produzione totalmente inesistente solo dieci anni fa. La crescita esponenziale della produzione per lo streaming è alimentata proprio dalle cable, che hanno spostato sempre più asset online: gli Svod legati alle reti via cavo hanno distribuito 459 titoli originali nel 2021.

Oltre la metà di questi show sono unscripted, la cui produzione è cresciuta del 26% del corso dello scorso anno, trend confermato nel 2022. Le reti via cavo rimangono tuttora le maggiori produttrici di show unscripted, mentre il discorso cambia se si parla di fiction. Considerando solo i drama, lo streaming aveva già sorpassato le reti televisive nel 2018. Attualmente le serie di fiction disponibili online sono tre volte quelle in onda sulle reti via cavo, e oltre quattro volte quelle sui network. Nonostante l’incremento dell’intrattenimento, anche la produzione di fiction non si arresta, e il “picco” della peak tv, termine coniato qualche anno fa dal ceo di FX John Landgraf, e da lui ipotizzato intorno al 2018-19, è ancora di là da venire. Se nel 2021 gli originals sono stati 559, i primi sei mesi del 2022 fanno segnare un +16%. 

Le reti via cavo hanno ancora bisogno di titoli originali per giustificare gli abbonamenti (per reti premium come Hbo, Showtime e Starz) e per arginare il cord cutting nel caso delle basic cable. Gli Svod sono nel mezzo della battaglia per conquistare nuovi abbonati e rassicurare così gli investitori di Wall Street. I network possono sopravvivere solo grazie a un sapiente mix di originals ed eventi live. Se aggiungiamo l’ingresso nell’arena produttiva di servizi free come Roku Channel, Freevee e Tubi, è quasi certo che nel 2022 gli Stati Uniti sfonderanno il tetto delle 2000 produzioni originali.

Sopraffatti dallo streaming

Ma questa bulimia produttiva corrisponde ad altrettanta bulimia nei consumi? Quasi la metà degli utilizzatori dello streaming negli Stati Uniti afferma di sentirsi “sopraffatta” dall’enorme quantità di contenuti, e di faticare a scegliere o trovare ciò che gli interessa. Questo dato non sorprende visto che, per Nielsen, ci sono attualmente disponibili 817.000 titoli unici di programmi (serie, film, speciali, show, ognuno dei quali ha decine o centinaia di episodi) in streaming, con un incremento del 26,5% rispetto al 2019. Il continuo aumento di contenuto disponibile corrisponde all’incremento del tempo speso in streaming: nel febbraio 2022 il consumo totale di streaming è stato di 169,4 miliardi di minuti, il 18% in più rispetto all’anno precedente. Nonostante la “fatica”, ben il 93% degli intervistati dichiara di voler mantenere gli attuali abbonamenti o addirittura aggiungerne di nuovi. La percentuale di persone con 4 (o più) abbonamenti è più che raddoppiata in tre anni (dal 7% al 18% degli abbonati allo streaming).

Dal punto di vista dello spettatore, il futuro dovrà passare dalla semplificazione e dall’orientamento. Inizia una nuova era dello streaming in cui gli utenti cercano “accessi semplificati”, mentre fra gli operatori si accendono le discussioni su bundling e aggregazioni. Il 64% degli utenti è potenzialmente interessato a un servizio bundle che permetta loro di accedere in maniera comoda alle varie piattaforme, purché sia possibile scegliere quali. Oltre la metà degli utenti americani (il 53%) paga almeno 20 dollari al mese per lo streaming, ed è disposto a continuare a farlo. Ma il pubblico ha scoperto che online si può anche fruire di contenuti gratuiti, e che tutto sommato un po’ di pubblicità non fa male…

Lo streaming cambia pelle

L’annuncio del calo del numero di abbonati a Netflix e il conseguente crollo in borsa è stato festeggiato da molti, ma non necessariamente dai naturali competitor come Disney+, Paramount+, Hbo Max. Infatti, potrebbe essere il segnale che il mercato dello Svod veleggia verso la saturazione, mentre nuovi modelli di sfruttamento dello streaming acquistano più forza. Chi ha investito nei servizi gratis supportati da pubblicità (Fast) pensa che sia arrivato il momento di gloria: Pluto Tv (Paramount) Roku, Tubi (Fox), Freevee (ex Imdb Tv, di Amazon) sono pronte a crescere e si sono buttate nell’arena della produzione originale, sia scripted sia unscripted. Tutti questi servizi combinano diritti tv, film (spesso provenienti dalle library del loro gruppo di appartenenza) e alcuni programmi originali, cercando di attirare spettatori facendo i “broadcaster sullo streaming”. Se Pluto tv continua la sua crescita (quasi 70 milioni di utenti attivi nel 2022) e Tubi si affaccia alla produzione originale nel solco di Fox, con le sue prime sitcom d’animazione alla Simpson, tra le novità più frizzanti ci sono Roku e Freevee.

Roku, produttore di device per lo streaming e piattaforma aggregatrice di vari servizi, compresi Netflix, Prime Video e YouTube, si è lanciato nel mondo Avod con il suo canale e, per avere subito contenuto originale pronto, ha acquistato il catalogo della fallita Quibi, trasformando alcuni titoli in successi che hanno già ottenuto l’ordine per la seconda stagione. Ha acquistato alcune serie straniere in esclusiva, ha fatto un accordo con Lionsgate per avere i contenuti Starz in seconda finestra, e ha annunciato i primi originals per il 2022. In pochi mesi, Roku Channel è entrato nella top 5 dei canali disponibili di Roku. Tanto che hanno iniziato a girare voci sull’interesse di Netflix ad acquistarlo. La piattaforma Imdb Tv dal 27 aprile 2022 ha cambiato nome in Freevee. Distribuisce titoli provenienti dal catalogo Amazon Worldwide, titoli acquistati ad hoc e titoli originali come lo spin-off di Bosch. L’audience è cresciuta in maniera esponenziale in due anni, e ora la piattaforma promette di aumentare del 70% il numero di originals. Nel frattempo ha siglato accordi con Nbc Universal e Disney per contenuti non in esclusiva.

Gli Svod sono nel mezzo della battaglia per conquistare nuovi abbonati e rassicurare così gli investitori di Wall Street. I network possono sopravvivere solo grazie a un sapiente mix di originals ed eventi live. Se aggiungiamo l’ingresso nell’arena produttiva di servizi free come Roku Channel, Freevee e Tubi, è quasi certo che nel 2022 gli Stati Uniti sfonderanno il tetto delle 2000 produzioni originali.

La prossima scommessa in questo campo è azzeccare la formula magica: contenuto totalmente free con molta pubblicità o mix di abbonamenti economici e minuti di pubblicità, in molte combinazioni. Sarà interessante quindi osservare l’evoluzione di Peacock, unica piattaforma appartenente a una major (Nbc Universal) che dall’inizio ha puntato su un modello ibrido, con e senza abbonamenti. Finora è stata la cenerentola del mercato, con contenuti originali che non hanno scaldato il cuore né del pubblico né della critica, “solo” 13 milioni di abbonati al servizio pay e 28 milioni di utenti mensili per la parte free nel primo semestre 2022. Gli altri Svod delle major continuano la corsa, ma in estate si è cominciato a parlare di razionalizzazione delle risorse e delle strategie. Come ha dichiarato David Nevins, ceo di Paramount, lo streaming è l’elemento chiave del futuro sistema dei media, ma non è certo il solo: la flessibilità e la capacità di lavorare sia verticalmente sia in partnership con altri player rimane cruciale. In effetti Paramount Global (ex Viacom Cbs), pur spingendo sul servizio Svod Paramount+, produce di più anche per la tv lineare, oltre a essere proprietaria dell’Avod Pluto Tv. Con 64 milioni di abbonati nel primo semestre del 2022, compresi i servizi Showtime e Bet+ (e 43 milioni senza), Paramount+ è al momento lo Svod più piccolo tra i grandi player statunitensi, ma è in rapida ascesa grazie all’imminente completamento dell’espansione europea: già presente in Regno Unito e Irlanda, sarà disponibile negli altri territori dove Sky è presente (Italia, Germania, Austria, Svizzera) e in Francia con Canal+. In tutti i Paesi sta già producendo serie originali. Nel resto d’Europa, Paramount lancerà SkyShowtime, in joint venture con Comcast e Nbc Universal.

Hbo, Disney e Netflix

Con circa 77 milioni di abbonati la piattaforma di Warner Media, Hbo Max, è poco più avanti, ma è già sbarcata da mesi in molti mercati internazionali. Grandi aspettative di un ulteriore balzo in avanti erano riposte nella futura piattaforma unica frutto della fusione con Discovery. Ma se è stato reso noto che la piattaforma combinata sarà disponibile negli Stati Uniti nell’estate 2023 e l’anno successivo in Europa e Asia, l’estate 2022 ha portato, oltre alla prevista spending review con tagli al personale, un’inversione di rotta in Europa, con cambio di strategia che appare ancora confusa. Il colosso americano ha sospeso le produzioni originali per Hbo Max in Scandinavia e Europa Centrale, con titoli già realizzati che saranno ricollocati sulla tv lineare e progetti in sviluppo rivalutati per un’eventuale collocazione sempre sul lineare. Sono state cancellate le nascenti divisioni produttive in Turchia e Olanda, mentre sembrano salve le produzioni in Francia e Spagna. Ma l’ulteriore espansione si ferma in attesa di lanciare la nuova piattaforma “allargata”: non ci sarà, per esempio, il lancio francese previsto nel 2023. I vertici hanno apertamente dichiarato che non tutto il contenuto Hbo sarà disponibile sul nuovo servizio e che nella maggior parte dei territori internazionali ci sarà contenuto locale d’acquisto, ma non autoprodotto. E mentre le azioni in borsa sono scese, film e serie hanno iniziato a sparire dal catalogo di Hbo Max in vari territori. Ci sarà più prodotto da vendere sul mercato internazionale, insomma.

Amazon e Apple giocano un altro campionato, perché trainate dai loro business principali. Ma mentre Prime Video è tra i servizi streaming più usati dagli americani (negli ultimi mesi era al quarto posto dietro Netflix, YouTube e Hulu e davanti a Disney +, per Nielsen), Apple è totalmente marginale, nonostante i titoli high end e i cast stellari. Netflix fino a metà del 2022 era il nemico numero uno, il benchmark da superare. Disney ha puntato tutta la sua strategia su questo ed è riuscita a farlo, almeno a livello internazionale: in estate Disney+ ha raggiunto i 221,1 milioni di abbonati nel mondo (compresi tutti i servizi in bundle come Hulu, Espn+, Star India), mentre Netflix è ferma a 220,67 milioni. Ma nel giro di pochi mesi la musica è cambiata. Il primo novembre partirà la versione di Netflix con la pubblicità, che probabilmente segna l’inizio di una nuova era. Ancora una volta Disney dovrà inseguire, dato che la sua versione ad-supported sarà pronta, negli Stati Uniti, l’8 dicembre. La stagione tv al via si annuncia pertanto ancora una volta foriera di cambiamenti rapidi e di evoluzioni impreviste.


Paola Ruggeri

Analista per l’Osservatorio Internazionale di RTI dove si occupa di ricerche sul mondo dell’audiovisivo e sulla fiction internazionale. È responsabile della selezione dei cortometraggi per i canali del Gruppo Mediaset e della programmazione dei corti per Il Cinemino. Insegna presso il master International Screenwriting and Production dell’Università Cattolica. È autrice di pubblicazioni sulla televisione europea e statunitense e sull’industria del cortometraggio italiano.

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