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Videogames

Fare videogiochi non è un gioco da ragazzi

Una filiera complessa e ricca di professionalità, produzioni ad alto budget e ad alto rischio. La realizzazione di un videogioco è tutt’altro che semplice, in un mercato dalla competizione senza freni.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 22 - Mediamorfosi 2. Industrie e immaginari dell'audiovisivo digitale del 11 dicembre 2017

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La creazione di un videogioco coinvolge numerosi soggetti che gestiscono i processi di ideazione, produzione, pubblicazione, promozione, distribuzione, mantenimento e aggiornamento (1)Aspetto essenziale per i videogiochi fruibili online, che in un certo senso non sono mai “finiti” ma si evolvono continuamente, sulla base del feedback diretto e indiretto degli utenti e delle prestazioni sul mercato. del prodotto. Tuttavia, la maggior parte di queste funzioni sono solitamente assolte da un unico attore, il publisher, termine tradotto – o meglio, tradito – in italiano con editore. Il ruolo del publisher videoludico è altamente diversificato: innanzitutto pubblica un gioco sviluppato da un team interno o esterno; lo promuove attraverso campagne di marketing; lo distribuisce nei negozi su supporto fisico, oppure online in formato digitale. Inoltre, svolge ricerche di mercato per valutare l’appeal di un nuovo progetto. Spesso copre interamente i costi di produzione, finanziando uno sviluppatore esterno (external developer) o interno (studio). Alcuni publisher di grandi dimensioni possiedono strutture di sound design, mentre quelli più piccoli noleggiano gli studi di registrazione. Altri si occupano direttamente della distribuzione, mentre i più piccoli si affidano a intermediari. Il publisher svolge altre funzioni chiave quali la negoziazione dei diritti di utilizzo delle proprietà intellettuali (licensing); la copertura dei costi associati al doppiaggio, adattamento e traduzione dei testi e dialoghi (game localization); la stesura, impaginazione e stampa del manuale di istruzione, nonché la produzione del packaging (box design) per tutti i prodotti in scatola. Infine, gestisce, mantiene e aggiorna un sito aziendale e le pagine dedicate ai singoli titoli. Queste ultime ospitano anche i forum ufficiali di discussione, amministrati da social media manager, che curano l’immagine del prodotto (e del brand tout court) su Facebook, Twitter, Instagram. La produzione di un videogioco ruota attorno alla figura del project manager o producer, che svolge un’importante funzione di supervisione. Nello specifico, fa da trait d’union tra il team di sviluppo e il management, monitorando i progressi e assicurandosi che la tabella di marcia sia rispettata. Il producer fornisce feedback continuo alle parti coinvolte. La gran parte dei videogiochi realizzati da un team esterno riceve un anticipo periodico sulle royalty. Il pagamento richiede che lo sviluppatore raggiunga fasi chiave dello sviluppo dette milestone. Tempistiche spesso irrealistiche e imprevisti di natura tecnica costringono i programmatori a lavorare a ritmi molto intensi (crunch time) (2) J. Schreier, Blood, Sweat, and Pixels. The Triumphant, Turbulent Stories Behind How Video Games Are Made, Harper, New York 2017..

Fattori di rischio

La produzione di un videogioco comporta elevati rischi finanziari (3)Si veda A. Kerr, Global Games. Production, Circulation and Policy in the Networked Era, Routledge, London 2016; R. Nichols, The Video Game Business, BFI, London 2014; P. Zackariasson, T. Wilson, The Video Game Industry. Formation, Present State, and Future, Routledge, Londra 2012.. L’industria videoludica “tradizionale” è segnata dalla stagionalità: la maggior parte delle vendite (fino al 50%) sono concentrate in un quadrimestre (ottobre-dicembre), caratterizzato da un influsso di mega-produzioni (Tripla A). La compresenza di blockbuster ha determinato l’aumento vertiginoso dei costi di marketing. Considerando che, in media, gli utenti non acquistano più di due videogiochi a prezzo pieno all’anno, i publisher fanno di tutto per attirare la loro attenzione e, soprattutto, il loro portafogli. Un secondo fattore di rischio è il mancato rispetto della data di pubblicazione, un fenomeno comune a tutte le industrie creative, ma che affligge in particolare quella videoludica. Lo sviluppo di un videogioco Triple A prevede, in media, trentasei mesi e uno staff minimo di cento persone. La produzione di Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots ha richiesto un team di quasi cinquecento professionisti per quattro anni (2004-2008). In secondo luogo, l’incertezza legata alla difficoltà di prevedere con certezza la data di conclusione dello sviluppo ha ripercussioni dirette sull’eventuale successo commerciale, nonché sui costi associati alle campagne di marketing. Accumulare un ritardo di uno o due anni sulla data di pubblicazione annunciata è assai frequente. In molti casi, lo slittamento supera il lustro. Tra gli esempi eclatanti spiccano Duke Nukem Forever (14 anni), Aliens: Colonial Marines (12), Prey (11), Too Human (9), Team Fortress 2 (8), Alan Wake (6), Mafia 2 (6).

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Concentrazione e costi di produzione

Il comparto videoludico è altamente concentrato: nell’ultimo ventennio, la sempre più intensa competizione ha provocato l’uscita di scena di alcuni soggetti o il loro assorbimento all’interno di aziende più grandi. Tra i tanti, spiccano Acclaim, Ascii Corporation, Bbc Multimedia, cdv Software, Core Design, Cryo Interactive, Data East, Empire Interactive, Fox Interactive, che tra il 2000 e il 2010 hanno ammainato bandiera bianca. Per converso, negli ultimi dieci anni, aziende californiane come Activision Blizzard e Electronic Arts hanno rilevato numerosi studi, creando veri conglomerati del divertimento elettronico. Oggi, i publisher più blasonati sono quotati alla borsa americana. EA è presente nell’indice S&P 500 che accorpa le più importanti aziende americane: è entrata a far parte della prestigiosa lista Fortune 500 nell’aprile 2010. I principali publisher videoludici mondiali sono asiatici (cinesi, giapponesi, coreani) e nordamericani. Tra le aziende europee spicca Ubisoft (Francia). Il più importante publisher italiano è 505 Games, che ha sede a Milano.

Un altro fenomeno significativo è il considerevole incremento dei costi di produzione, che a sua volta ha causato una diminuzione dell’offerta complessiva, in termini sia quantitativi sia contenutistici. L’inflazione dei budget produttivi nell’ultimo decennio è riconducibile a vari fattori, tra cui le caratteristiche delle nuove piattaforme: per sfruttare la potenza tecnica delle console o dei pc di ultima generazione è indispensabile investire consistenti risorse umane, economiche e temporali. Per ottenere l’agognato fotorealismo – il Santo Graal del medium, per lo meno secondo le aziende driver – occorre coinvolgere un esercito di grafici e animatori capaci di realizzare personaggi dotati di un livello di dettaglio impensabile solo pochi anni prima; produrre texture per ambienti, strutture e spazi sempre più ampi; simulare comportamenti e movimenti degli oggetti (la cosiddetta “fisica” del mondo videoludico). Occorre inoltre assumere scrittori di talento, capaci di raccontare avvincenti storie interattive. Nel game design, pochi aspetti possono essere interamente automatizzati o esternalizzati. Questo spiega perché il budget medio di un videogioco per pc o console di ultima generazione (PlayStation 4, Xbox One, Nintendo Switch) oscilli tra i 15-20 milioni di dollari. Nell’ultimo decennio, molte produzioni hanno superato i 100 milioni.

Per minimizzare i rischi di fallimento, i publisher privilegiano generi, personaggi e meccanismi consolidati, preferendo aggiornare le proprietà intellettuali (IP) di maggior successo a cadenza annuale anziché perseguire la via dell’originalità e dell’innovazione. Questo fenomeno è evidente nei giochi sportivi (FIFA), nei racing games (Gran Turismo) e nei giochi action (spesso adattamenti di blockbuster hollywoodiani).

Per minimizzare i rischi di fallimento, i publisher privilegiano generi, personaggi e meccanismi consolidati, preferendo aggiornare le proprietà intellettuali (IP) di maggior successo a cadenza annuale anziché perseguire la via dell’originalità e dell’innovazione. Questo fenomeno è evidente nei giochi sportivi (per es. FIFA, NB2K, Madden etc.), nei racing games (Forza, Dirt, Gran Turismo) e nei giochi action (spesso adattamenti di blockbuster hollywoodiani). Seguendo il modello di altre industrie culturali, anche quella videoludica è hit driven: una manciata di titoli riconducibile a franchise riconoscibili genera la maggior parte del fatturato annuale (4)La famigerata “coda lunga” discussa nel 2004 sulle pagine di Wired da Chris Anderson si è dimostrata fallace..

Nel settore console, le tre aziende manifatturiere (Sony, Microsoft e Nintendo) svolgono anche la funzione di publisher a tutti gli effetti. In altre parole, oltre a produrre hardware, sviluppano e commercializzano software dedicato. Questo modello tipico dell’integrazione verticale ha conseguenze dirette sul game design: qualunque publisher che volesse sviluppare giochi per una piattaforma ludica deve prima ottenere il permesso delle Tre Sorelle, acquistare un costoso kit di sviluppo, verificare che i contenuti del prodotto non violino la policy dell’azienda previa la rimozione perentoria dall’app store  (5)In alcuni casi, le policy sono deliberatamente vaghe e generiche: l’azienda può decidere in qualunque momento la rimozione di prodotti che ritiene inaccettabili sulla base di criteri opachi e discutibili. È il caso di Apple: l’azienda ha rimosso  giochi che ne criticano il modus operandi. Il caso più eclatante è Phone Story (2011), sviluppato dal game designer italiano Paolo Pedercini in collaborazione con Michael Pineschi, in arte molleindustria. o dai negozi etc. In alcuni casi, le aziende negoziano “esclusive” assolute o parziali per le proprie piattaforme con le terze parti (6)Per esclusiva assoluta s’intende che un gioco sviluppato da una terza parte è disponibile solo per una console, laddove per parziale s’intende che l’esclusività è temporalmente limitata a qualche mese/anno..

Nell’ultimo decennio, tuttavia, sono emersi modelli di business alternativi che privilegiano produzioni più “leggere” ed economiche, sfruttando gli effetti di disintermediazione introdotti dalle nuove tecnologie, e in particolare da internet. Il fenomeno degli indie game (videogiochi indipendenti) è stato facilitato dall’avvento di piattaforme online che hanno reso del tutto superflua la produzione di prodotti in scatola e la distribuzione nei negozi. La diffusione di dispositivi quali smartphone e tablet, inoltre, ha favorito l’avvento di giochi casual, meno costosi (per i produttori e i consumatori), rapidi (in termini di sviluppo e fruizione) e semplici (per le meccaniche) rispetto a quelli tradizionali. L’ecosistema digitale ha inoltre incentivato forme di marketing “algoritmico”, indubbiamente più economiche rispetto a quelle tradizionali e in molti casi più efficaci perché quantificabili.

Complessivamente, questi fenomeni hanno causato la ridefinizione dei ruoli e della natura del publisher videoludico. È lecito ipotizzare per i prossimi anni una significativa evoluzione di questa figura, e dunque delle dinamiche produttive, per via del rapido susseguirsi dell’innovazione tecnica e delle modalità di consumo di quella merce culturale “mutante” che è il videogioco.


Matteo Bittanti

Artista, curatore e accademico, investiga gli aspetti culturali, sociali ed estetici delle tecnologie emergenti, interessandosi soprattutto del rapporto tra arte e videogame. Insegna media studies e game studies all'Università IULM. Vive tra Milano e San Francisco.

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