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Sui diritti internazionali delle serie tv turche si sta preparando una battaglia, in attesa dell’arrivo dei grandi gruppi globali. Una testimonianza.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 21 - Distretti produttivi emergenti del 05 giugno 2017

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Negli ultimi 10 anni, il valore delle produzioni televisive turche sui mercati internazionali è andato in orbita, passando da circa 10.000 dollari nel 2014 a oltre 250 milioni nel 2015. Il Paese è ormai secondo solo agli Stati Uniti in termini di esportazioni, e questa cifra è cresciuta ancora se si tiene conto che un adattamento della serie turca Suskunlar, intitolato Game of Silence, è andato in onda negli Stati Uniti su NBC, potenziando la Turchia nell’industria degli scripted format. Ma se le esportazioni di programmi raggiungeranno i 300 milioni di dollari entro la fine del 2016, le cifre in salute e i drama patinati nascondono però una realtà più sgradevole: una battaglia molto combattuta sui diritti internazionali e su tutti questi soldi arrivati di recente.

Scripted e unscripted

“C’è uno scontro in corso, e solo le case di produzione forti possono resistere ai broadcaster”, dichiara Ahmet Ziyalar, managing director di ITV InterMedya, il distributore istanbuliota di successi come 20 Minutes ed Endless Love. Timur Savci, CEO di TIMS Productions, società produttrice di Il secolo magnifico e Suskunlar, è d’accordo, e aggiunge: “Le società di produzione che cominciano ora, o che hanno una dimensione più piccola, non hanno molte possibilità di ottenere dai broadcaster il controllo dei diritti. Questo va contro le leggi turche sulla proprietà intellettuale e artistica. Ma, sfortunatamente, molte piccole imprese devono assecondare questa situazione e trasferire i propri diritti alle reti”. Di conseguenza, la maggior parte delle serie turche raggiunge il mercato globale mediante le strutture distributive dei network nazionali. La ragione per cui le reti sono così affamate di diritti è la stessa che vale altrove: i broadcaster pensano di assumersi tutti i rischi, e allora vogliono raccogliere tutti i frutti. La produzione indipendente in Turchia è inoltre un settore abbastanza giovane, secondo Ziyalar, e sta cercando di padroneggiare ora questioni industriali già risolte molti anni fa in altri mercati, come quello britannico.

Se le esportazioni di programmi raggiungeranno i 300 milioni di dollari entro la fine del 2016, le cifre in salute e i drama patinati nascondono però una realtà più sgradevole: una battaglia molto combattuta sui diritti internazionali e su tutti questi soldi arrivati di recente.

La produzione di serie in Turchia, inoltre, segue da vicino il modello della soap opera, anche per i titoli più pregiati, con episodi prodotti e messi in onda una volta a settimana. Questo costringe le società produttrici a un ruolo che è poco più di quello di fornitore di servizi per i broadcaster e i finanziatori, e ciò contrasta in modo netto con un sistema in cui le serie complete sono sviluppate, prodotte e consegnate prima che anche solo un episodio vada in onda. “Alcuni produttori mantengono i diritti o li condividono, ma solo se pagano loro stessi alcuni costi di produzione”, spiega Ziyalar, indicando i casi delle società di Ezel e 20 Minutes, Ay Yapim, e di Black Rose, Avsar Film, che hanno tasche profonde abbastanza da poter pagare per le prime puntate di una serie – e magari persino per rigirarne alcune – così da non chiedere risorse a una rete avversa ai rischi connessi a un atto di fiducia troppo grande.

Le cose però stanno cambiando. “Negli ultimi cinque anni la situazione sui diritti si è avvicinata agli standard del resto del mondo, facendo in modo che i veri creatori delle opere ottengano più diritti”, dice Savci. “Con la nostra società abbiamo prassi consolidate, anche dal punto di vista legale. Ideiamo progetti fin dall’inizio e, dal momento che siamo i creatori dell’opera, prepariamo naturalmente i contratti con noi come titolari dei diritti. In altre parole, licenziamo i nostri diritti ai broadcaster turchi così come facciamo con tutte le altre reti e piattaforme nel mondo”.

Mantenere i diritti di un drama costoso è una cosa, farlo per un programma unscripted è un’altra. In questo settore, spesso oscurato dal mondo più visibile delle serie drammatiche, le società indipendenti turche stanno ragionando fuori dagli schemi. Qui il tema non è solo quello di ottenere i diritti ma soprattutto, e in primo luogo, quello di riuscire a trasmettere lo show, vista la difficoltà per le reti turche di affrontare i rischi di un format non ancora sperimentato altrove.

Izzet Pinto, CEO di Global Agency, cerca di prendere due piccioni con una fava: produce da solo i video promozionali (sizzle reel), vende all’estero l’idea e poi la riporta in Turchia come format già testato di cui ha piena proprietà. “Vendo prima all’estero, così poi ha più valore”, dice. Chiaramente sta cercando di seguire questo modello per il suo nuovo talent show, The Legend, svelato lo scorso aprile a Cannes, al MipTV, a molti buyer impazienti. Questo modo di procedere capovolge il tradizionale modello di business per i format, per cui il successo domestico è parte di quello che il network straniero compra insieme alla licenza di un format. Ma è indicativo di ciò che i creativi turchi sono disposti a fare pur di mantenere il controllo delle loro idee. I 300 milioni di dollari potrebbero già essere sfuggiti, comunque. Ziyalar racconta: “Ora che le reti turche hanno capito il valore dei loro programmi sul mercato globale, non sono così sicuro che consentiranno ai produttori di diventare abbastanza ricchi da poter negoziare così i loro diritti”.

Entrare nel mercato

La questione in realtà va ben oltre il dibattito su chi si approfitta di più del boom in corso sui drama turchi, ma riguarda il modo in cui la comunità tv mondiale vede e investe nell’industria turca, e potrebbe persino danneggiare quest’ultima. Quando un paese è al centro di un forte impulso creativo, ciò che succede di solito è che giganti globali come FremantleMedia, ITV Studios ed Endemol Shine Group (ESG) adocchiano le società più innovative con l’intenzione di comprarle e che l’industria locale trae benefici dall’investimento, dal know-how industriale e dalla pipeline distributiva di chi compra. È successo in Gran Bretagna, in Olanda e in distretti emergenti come Israele e i Paesi Nordici. Queste fusioni e acquisizioni dipendono però dal fatto che le case di produzione possiedano i diritti dei loro programmi. Se non li hanno, i giganti globali hanno meno interesse all’acquisto, e usano una strategia diversa per entrare nel mercato.

Questo è successo quando ESG è entrata in Turchia nel 2008. Dopo aver cercato obiettivi adeguati per un’acquisizione, ha optato per lanciare da zero una propria casa di produzione, che inizialmente si appoggiava su format globali come Wipeout per Show TV e Grande fratello e Fear Factor per Star TV. Spostatasi nel mercato dei drama con tutto il peso finanziario del gruppo internazionale, Endemol Shine Turkey è riuscita a tenere i diritti dei suoi titoli. Il nuovo gruppo ha così sviluppato, prodotto e conservato i diritti internazionali di serie come Overturn per ATV, Winter Sun per Show TV, Broken Pieces e Sparrow Palace per Star TV e, più di recente, Intersection per Fox TV. Quest’ultimo al MipTV era il primo drama turco ad apparire nel catalogo di Endemol Shine International, mentre gli altri erano distribuiti all’estero da Eccho Rights e Global Agency.

Un altro tra i relativamente pochi player internazionali a entrare nel settore produttivo turco è stato il broadcaster mediorientale MBC Group. La sua O3 Production ha lanciato una sussidiaria turca, chiamata O3 Turkey Medya, nel 2014, e la società ha già realizzato alcuni titoli, compreso l’adattamento turco della serie americana Pretty Little Liars. Per spiegare cosa ha portato MBC al lancio di una società turca, Marina Williams, COO per le operazioni internazionali, racconta: “Abbiamo cercato di acquisire qualche società, ma abbiamo scoperto che le cifre erano troppo salate per aziende basate solo su pochi titoli-chiave. Allora abbiamo deciso che, con una gestione adeguata, saremmo potuti entrare nel mercato da soli”. Rispetto ai diritti, aggiunge: “Può essere difficile assicurarsi i diritti in Turchia, ma sviluppiamo le nostre intellectual properties da soli e poi negoziamo con una certa durezza”. Sicuramente possedere un braccio distributivo globale capace di offrire minimi garantiti o di produrre in deficit aiuta parecchio questa negoziazione.

Poter rifiutare offerte di acquisto multi-milionarie è sicuramente un lusso, ma per la maggior parte delle case di produzione indipendenti turche è una situazione ancora molto remota, e la preoccupazione quotidiana è piuttosto quella di realizzare i programmi e di mantenere i diritti che è possibile conservare.

Un panorama troppo frammentato

Un ulteriore motivo per cui le case di produzione turche non sono comprate e vendute così come accade altrove nel mondo è raccontato da Ziyalar, di ITV InterMedya: “In Turchia molte società non sono aziende vere e proprie ma attività di famiglia o one man band. È la legge della giungla: se una società chiude, tutti i produttori e lo staff si spostano in una casa di produzione più forte”. Nonostante producano alcuni dei migliori drama al mondo, le società non sembrano ai contabili delle corporation globali quel veicolo per investimenti strategici che stanno cercando: sono troppo dipendenti da professionisti-chiave o da singoli successi, e comunque non hanno library di intellectual properties da sfruttare. Quando gli chiedo se ITV InterMedya potrebbe essere venduta a una società straniera che voglia rafforzare la presenza nella produzione e distribuzione turca, Ziyalar dice che lui e il suo socio, il CEO Can Okan, ne discutono sempre: “Tutto ha un prezzo, ma non venderemo la società: ci teniamo troppo e vogliamo tenerla per i nostri figli”.

Off the record, alcuni produttori turchi appaiono persino riluttanti, forse per orgoglio nazionale, a vedere il loro settore produttivo ingoiato da giganti internazionali, come avvenuto in altri territori dove le indipendenti sono ora proprietà di gruppi americani o europei. Altri sono preoccupati delle valutazioni economiche troppo alte date a certe case di produzione, dubbio condiviso da molti dirigenti stranieri che si occupano di fusioni: “Tutto dipende dagli obiettivi dei gruppi che decidono di venire fin qui”, dice Savci di TIMS Productions. “Se arriveranno aumentando i già alti costi di produzione, o con una strategia di acquisizioni aggressiva, firmando accordi molto superiori ai valori di mercato, questo destabilizzerà l’equilibrio del settore e farà male all’industria televisiva turca”. Poi aggiunge, e dato il successo globale dei titoli Il secolo magnifico e il suo sequel Kosem non è particolarmente sorprendente, che ci sono state discussioni su un’acquisizione della sua società. “Per varie ragioni, non si è realizzata. Nel frattempo, continuiamo a ricevere offerte, ma al momento una vendita non è in programma”.

Poter rifiutare offerte di acquisto multi-milionarie è sicuramente un lusso, ma per la maggior parte delle case di produzione indipendenti turche è una situazione ancora molto remota, e la preoccupazione quotidiana è piuttosto quella di realizzare i programmi e di mantenere i diritti che è possibile conservare. Forse ciò che serve al settore produttivo turco non è un’ondata di acquisizioni premature, ma un maggiore consolidamento domestico? Questo trasformerebbe un frammentato insieme di aziende familiari in un più piccolo numero di produttori forti, capaci di coprire da soli alcuni costi di produzione e sviluppo, e così di mantenere i diritti e dar vita a società che più avanti potrebbero non solo diventare obiettivi più preziosi per un’acquisizione, ma persino fare essi stessi delle acquisizioni fuori dalla Turchia…

In ogni caso, è difficile non essere d’accordo con le parole di Idil Belli, general manager della società basata a Istanbul che produce programmi unscripted come Dragons’ Den, Kazan Kazan e il nuovo format Q-Up. “I gruppi globali non hanno ancora acquistato le società di produzione turche data la struttura delle aziende, le fluttuazioni nel mercato e – soprattutto – le differenti aspettative tra i compratori e gli eventuali venditori. Ma, in fin dei conti, il mercato turco è troppo grande, troppo importante, e gli sviluppi internazionali delle produzioni turche sono così scontati, che è impossibile che le aziende straniere possano ignorarli ancora a lungo”.


Ed Waller

Giornalista esperto del settore media, è direttore editoriale di C21 e collabora con The Guardian, The Independent e The Sunday Times.

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