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Intervista a Betti Soldati

Cosa pensa la responsabile delle comunicazioni per Maria De Filippi su sperimentazione e creatività, dal punto di vista di chi conosce perfettamente il mezzo televisivo.

È difficile riassumere in poche righe un profilo conosciuto e complesso come quello di Betti Soldati, attualmente responsabile delle comunicazioni per Maria De Filippi e il gruppo Fascino. Per sintetizzare dirò che chi lavora nel mondo della televisione italiana molto probabilmente conosce già Betti e il suo lavoro, in cui ha accumulato un’esperienza di più di vent’anni. Anche chi non lavora in tv – ma ha una passione per Twitter – può essersi imbattuto in lei o in qualcuno dei suoi leggendari dissing. Io l’ho conosciuta per lavoro e sono rimasta affascinata non solo dalla totale padronanza del mezzo, ma anche dalla forza con cui incarna un pezzo di storia e – ovviamente – anche un pezzo del presente della tv, nell’universo di Maria De Filippi. Ho pensato di farle qualche domanda sulla sua carriera e ne è venuto fuori un ritratto delle televisione commerciale, dagli anni Novanta a oggi.

Partirei subito dalla tua enorme esperienza televisiva. Qual è il primo lavoro che hai fatto in tv?

Ho cominciato a fare televisione come conduttrice, poi ho fatto una tesi all’Istituto Europeo di Design su Cinema e Televisione, con i fratelli Taviani. Nichi Grauso, allora uno dei più giovani imprenditori italiani, mi chiese di lavorare. Aveva un consorzio di reti private tra cui Videolina, l’Unione Sarda, è stato un grande editore. Ha inventato Tiscali e poi l’ha venduta a Soru.

Che programma facevi?

Facevo Viva la merenda, un programma per bambini con sfide tra scuole elementari. Si vinceva il cibo portato da una scuola o dall’altra, era carino. Si sfidavano in geografia, storia, materie scolastiche insomma, e io conducevo. Non si sa perché poi, per me era uno stress incredibile. Dopo ho fatto l’ispettore di produzione per un programma di Videolina, girato a Londra, Parigi, Roma, Milano e Berlino. Andavamo a vedere le tendenze nelle grandi città europee, e lì ho imparato un altro pezzettino di lavoro. Sapevo di voler fare televisione, ma non avevo idea di cosa volesse dire, non sapevo che ruolo volessi avere. Ero pazza di tv. Sapevo tutto di televisione, capivo che per me quel mondo era una calamita, irrinunciabile. Non pensavo a me davanti alla telecamera, mi vedevo semplicemente con un ruolo. Intanto studiavo legge (che purtroppo non ho finito, ho cominciato a lavorare subito)

Il primo lavoro importante?

La grande occasione è arrivata nel 1990, a Fininvest. Sono entrata al marketing di palinsesto e venni messa a fare ricerche qualitative: andavo a testare le zero dei programmi o i volti. In quel momento, a parte il lavoro di Publitalia che vendeva gli spazi pubblicitari, cominciava anche il lavoro di Rti dedicato al posizionamento del prodotto. Andavamo con la mia collega Cinzia Squadrone, ora direttore marketing della Rai, e andavamo con una macchina chiamata MPM, “Minuto per minuto”. Facevamo visioni con dei campioni scelti ad hoc tramite agenzie e poi gruppi motivazionali con loro. Da lì tiravamo fuori un gusto del pubblico, un sentimento, e cercavamo di capire cosa il pubblico provasse guardando un programma. Uno dei tanti che poi partì fu Buona Domenica con Cuccarini e Columbro, per esempio.

Quindi è lì che in un certo senso hai cominciato a formare il tuo intuito professionale?

Assolutamente. È stata la mia vera base per capire il mezzo: il pubblico, le audience e la loro composizione demografica. Lavoravamo con le mappe di Gianpaolo Fabris e il nostro capo Gianni Pilo ci mandava in Cattolica o in Bocconi a seguire le lezioni con i grandi professori di comunicazione e semiotica del linguaggio. Cercavamo di capire se e quanto valesse per il pubblico un determinato pezzettino di televisione. È stata una grandissima scuola. Dopo oltre vent’anni, è ancora su quegli insegnamenti che lavoro. Il programma non è chi lo conduce: è la sua audience. Studiavamo tutto: i testi, la grafica, le evoluzioni che dovevano subire i format negli anni.

In seguito sei stata capo ufficio stampa di Striscia la Notizia per più di vent’anni…

Sì, Antonio Ricci è stato un altro grande maestro per me. Gli ho rubato tutto quello che potevo. Anche solo sentirlo parlare, capire come lavorava sulle notizie e sulle scalette è stato incredibilmente importante. Era un telegiornale, ma di stampo satirico, per cui c’era uno strano misto fra informazione e comicità, politicamente molto forte. Lì ho capito come è costruita la televisione. Insomma che la televisione è finzione, ognuno interpreta un ruolo. Ho potuto capire tutti i meccanismi che vanno a comporre un programma e l’importanza degli autori. A Striscia c’è sempre stato un predominio assoluto degli autori. Ricci ha dimostrato che il tg funzionava a prescindere da chi lo presentasse proprio perché era scritto. Forse in modo simile alla vecchia televisione di Antonello Falqui.

Hai vissuto anche un momento molto particolare, di rinnovamento per la tv italiana e forse soprattutto per Fininvest/Mediaset: gli anni Novanta.

Assolutamente. C’era grandissimo entusiasmo. C’erano Giovalli, Freccero e Gori, i tre colonnelli della tv… Studiavano, inventavano, testavano, sperimentavano.

In effetti Mediaset aveva una sorta di “anima sperimentale” all’inizio, se così si può dire.

Certo, ma anche più tardi. Ho assistito al primo Grande fratello, per esempio. O C’è posta per te che ha introdotto il people show e la narrazione così diversa di Maria De Filippi. Ma la stessa Striscia che Ricci nel 1994 rese quotidiana ha vissuto parecchie evoluzioni. Era un momento di grande crescita per la tv commerciale.

C’era la sensazione di stare facendo un lavoro pionieristico, per esempio, rispetto alla Rai?

Non ho mai avuto la fortuna, se vuoi, di lavorare in Rai, stando all’interno dell’azienda. Ho fatto le prime cinque edizioni de L’isola dei famosi con Simona Ventura, in un’atmosfera stimolante e dinamica. Però credo che la Rai abbia un archivio fantastico a disposizione e incredibili risorse umane in azienda. Trattandosi di un’azienda così politicizzata e controllata, ha paletti che noi non abbiamo. Mediaset era l’avanguardia. Era più libera, la gente a casa non la pagava, per la prima volta sceglieva se guardarsi un programma da una parte o dall’altra senza pensare all’appartenenza ideologica. Da quel poco che ho visto e vissuto, in Rai c’è sempre stata una forte sensazione di controllo. In Mediaset c’è più libertà di iniziativa, credo. Ancora oggi c’è la possibilità di sperimentare su tre reti abbastanza libere. Il fatto che Berlusconi abbia deciso di scendere in politica e staccarsi dalla tv ha dato la possibilità al figlio e al suo team di concentrarsi sul prodotto.

Tornando al presente, mi piacerebbe parlare del tuo rapporto lavorativo con Maria De Filippi. È una relazione professionale, naturalmente, ma ci vedo molta autentica passione nel tuo supportarla nelle comunicazione. Ho l’impressione che tu “ci creda”, ecco.

Assolutamente sì. Non posso fare un lavoro senza che sia implicato anche il mio cuore, oltre che la testa. Da qualche tempo mi permetto di scegliere con chi lavorare, e la scelta è sempre andata verso chi mi portava anche un rapporto sentimentale, di amicizia. Quando fai il mio lavoro in genere rappresenti personaggi importanti, famosi. Parli e devi parlare la loro lingua. E quella loro lingua per parlarla devi comprenderla. È come appartenere a un partito. Ho creduto tantissimo in Antonio Ricci. Mi sono messa a sua disposizione per imparare, per recepire, per arrivare a raccontare qualcosa come l’avrebbe raccontato Antonio. Il valore che lui dava al suo prodotto era lo stesso che gli davo io. Così per Maria, Mike Bongiorno e tutti quelli che ho seguito.

“Maria è una grande lavoratrice. C’è sempre, nel bene e nel male. Se hai bisogno di lei, se devi comprendere qualcosa più a fondo prima di raccontarla ai giornalisti e agli addetti ai lavori, Maria c’è. Noi parliamo del suo prodotto perché è un credo vero”.

Come spiegheresti il successo di Maria nella tv italiana?

Maria è una grande lavoratrice. C’è sempre, nel bene e nel male. Se hai bisogno di lei, se devi comprendere qualcosa più a fondo prima di raccontarla ai giornalisti e agli addetti ai lavori, Maria c’è. Noi parliamo del suo prodotto perché è un credo vero. I talent, i people show che produciamo sono straordinari. Lo stesso Uomini e donne, spesso criticato, è uno show incredibile. Se vai in studio a vederlo ti emozioni, ti diverti. Il racconto è reale, Maria è se stessa anche dentro la scatola. Non la vedi assumere atteggiamenti diversi da quelli che ha in camerino o al ristorante o a una festa.

Questo è percepibile, credo sia una parte molto forte del suo magnetismo sul pubblico.

Assolutamente.

C’è molto scambio con gli autori e le altre figure? Lei partecipa al processo creativo?

Ha sempre un enorme scambio con tutti, dagli autori all’ufficio stampa, ai coach e ai ragazzi. Magari sui tronisti ha una redazione che lavora per lei nei casting, però poi segue da vicino il processo e conosce ogni minimo dettaglio. È sempre molto preparata, te lo fa capire anche il suo commento su Sanremo: ha detto che se l’è goduto poco perché ha passato il tempo a studiare. Questo nonostante il suo ruolo fosse limitato: le scelte artistiche le ha fatte Carlo, Maria doveva “portare Maria”. Ciò nonostante sapeva tutto, di chiunque salisse sul palco: chi aveva scritto il pezzo, chi dirigeva. Anche se erano cantanti che non presentava lei. È una abituata a essere molto preparata.

Di Amici mi colpiscono molto la facilità e naturalezza con cui sembra attrarre il pubblico dei giovanissimi, Sacro Graal delle reti generaliste. A parte rarissimi casi, fanno tutti molta fatica.

Perché Maria è vera, parla con loro. Non vive la tv come una star o una celebrità, ma come una persona responsabile che dà lavoro a tante persone. È uno degli autori più importanti della tv italiana. Non la vedrai mai leggere un gobbo in puntata, non ne ha bisogno. In parte perché è tutto assolutamente da lei pensato e calibrato in precedenza, ma anche perché lei sa che non deve fare altro che se stessa. C’è una consapevolezza, una conoscenza – anche della lingua italiana – ma soprattutto delle aspettative del pubblico verso di lei. È perfettamente conscia di cosa voglia da lei il suo pubblico, e lo fa. Non per calcolo, è la sua natura.

Ti occupi della comunicazione e dell’ufficio stampa. Come funziona la tua giornata?

Io seguo ovviamente anche Fascino – i cui prodotti sono triplicati negli anni – e Maurizio Costanzo, che impone una mole di lavoro identica a quella di Maria, ed è anche lui un comunicatore e un interlocutore molto attento. Il mio ruolo è: vedere tutto. In particolare modo negli ultimi anni, con l’ascesa dei social, che fondamentalmente sono incontrollabili, metà delle mie giornate è spesa a vedere cosa sia uscito. In ogni caso non sono le uniche persone che seguo, ci sono anche Alessia Marcuzzi, Alessandra Amoroso e diversi altri. E ovviamente ci sono stati J Ax e Fedez.

“Fedez già cantava, andava sul web, ma non era ancora riconoscibile. Ha il physique du role ed è una carta assorbente, impara velocemente. Dopo pochi mesi è arrivato X Factor, ma intanto avevamo selezionato gli appuntamenti con attenzione. Chiambretti, Floris, poi Anno Zero. Dovevamo mostrare che non era solo il Fedez che rappa, ma anche Federico, con un pensiero suo”.

Vi occupate anche di social?

Certo. Anche se non sono tra i malati di social.

Però ti piace usarli, lo so!

Sì, mi piace. Faccio i dati Auditel tutto l’anno. I weekend, le sfide importanti con Rai. Ancora oggi do una grande attenzione al dato. Monitoriamo il quotidiano su Uomini e donne, una bomba che ci assicura il pomeriggio, il preserale di Amici e i passaggi su Real Time, il Costanzo Show su Canale 5, il cui ritorno è stata una grande soddisfazione. Sono una che crede ancora molto nella carta. Sul web mi aggiorno, ma le mie mattine cominciano con la rassegna stampa cartacea generale.

Ti chiedo dei social anche perché mi piace il tuo stile, sei un po’ tutto il contrario del solito ufficio stampa un po’ asettico.

Scherzi? Sono un rapper del web!

Sei un rapper del web! Infatti hai anche i dissing.

È vero ho i dissing! (ride) Ma io sono così, mi ci diverto. Che posso farci. Poi li uso quasi solo per i dati Auditel, non è che intrattenga conversazioni di chissà che tipo. Ovvio che la mia formazione e il fatto di appartenere a una tv commerciale influenzano il modo dettagliato in cui guardo ai dati, i target differenziati e tutto il resto. Credo comunque che i target siano molto importanti anche per la tv di stato: il pubblico giovane, quello che comprerà le merendine o il telefono la cui pubblicità è passata durante il tuo programma, quello che ha valore per gli inserzionisti. La tv commerciale vive di quello, ma suppongo che anche Rai abbia bisogno di farci i conti, al di là del pubblico servizio.

Non posti mai nulla di personale?

Raramente posto cose che vedo o leggo che mi hanno colpito. Qualche tempo fa ho postato un bellissimo articolo di Aldo Grasso sul bullismo e Mia Martini che mi ha commosso. L’ho trovato straordinario. Poi, insomma, di base discuto di spettacolo: non opero a cuore aperto, non salvo nessuno, sarei ridicola se mi mettessi a fare discorsi seri.

(Betti si alza a controllare dei dati che sono arrivati a una sua assistente).

Vedi, noi siamo dei geni, vuoi sapere perché?

Certo.

Scriviamo tutto in anticipo. Anche i dati che non sono ancora usciti. Alle dieci meno cinque riceviamo i dati, al mattino, alle dieci e zero cinque siamo pronti a buttarli fuori. Perché ci prepariamo quello che chiamiamo un “farlocco Auditel”. Abbiamo una previsione di share, come se avessimo il risultato in mano. Facciamo gli exit poll come se fossimo sondaggisti, poi lavoriamo ovviamente sui dati reali.

Come gestite l’esposizione mediatica di un personaggio gigantesco come De Filippi?

Maria rilascia al massimo due o tre interviste all’anno. Parliamo di una persona molto sovraesposta in video, di conseguenza molto parca sui media. Giustamente si preserva. Sono strategie che elaboriamo insieme, lei viene da un’agenzia di comunicazione. Ha cominciato a fare tv solo dopo l’incontro con Costanzo. Ovviamente c’è un ragionamento sulle testate da coinvolgere, con alcune c’è un rapporto più solido e di fiducia rispetto ad altre. Comunque di base Maria fa un incontro collettivo annuale per Amici e poi, appunto, un paio di interviste singole al massimo. Il prodotto è mantenuto dal racconto che va in video. Noi facciamo un’attività quotidiana di comunicazione sulle attività del gruppo Fascino e in più prepariamo materiale per tutti i personaggi dei vari programmi, con foto e altre informazioni.

Hai mai avuto altri impegni paragonabili, come mole di lavoro?

Certo, tra gli ultimi c’è stato Fedez, che è stato un impegno molto forte. Una bellissima esperienza di lavoro. Lui già cantava, andava sul web, ma non era ancora riconoscibile. È fortissimo. Ha il physique du role ed è anche una carta assorbente, impara molto velocemente. Dopo pochi mesi dalla nostra gestione è arrivato X Factor, ma intanto avevamo selezionato gli appuntamenti con attenzione. Siamo andati da Chiambretti, da Floris, poi Anno Zero. Si lavorava su contenuti che potessero mostrare che lui non era solo il Fedez che rappa, ma anche Federico con un pensiero suo. Tutti lavoravamo per dare una linea, poi ovviamente lui è stato bravissimo. È diventato un personaggio con un suo senso autonomo e che può parlare in modo credibile di politica, di web, di bullismo, di black block, di diritti, di legalizzazione. Ha costruito basi molto solide in quei primi anni di esposizione. È stata una grande scommessa vinta, grazie al fatto naturalmente che la materia vivente era fortissima. Quando c’è un bel gruppo compatto di ufficio stampa, autori, management e talent che lavorano tutti nella stessa direzione si arriva. Anche troppo presto! È scoppiato in pochissimi mesi! (ride)

Betti, ultima domanda, che torna un po’ all’inizio della nostra chiacchierata e al fatto che sono più di vent’anni che fai questo lavoro. Non sono tante le carriere lunghe come la tua in tv. Cosa serve per durare tutto questo tempo?

Come ti dicevo, in tv ho fatto un po’ di tutto, compreso l’autore. Ma la grande soddisfazione per me è arrivata quando ho cominciato a occuparmi di comunicazione. Il successo, se vuoi. Sono stata anche fortunata. Ho avuto personaggi da seguire che avevano già una grande forza, e io sono un’entusiasta, una passionale. Ci sono sempre, e mi piace pensare di aver portato alle persone con cui ho lavorato una ventata di gioia e di piacere di fare le cose insieme. Da Fiorello a Mike Bongiorno, Ricci, Simona Ventura, Giorgio Gori, Sandra e Raimondo, dodici Sanremo, Striscia, Maria: ho avuto la possibilità di lavorare con persone che sanno fare molto bene il loro mestiere. Ho potuto imparare e “abbeverarmi” di tutto ciò che mi ruotava intorno. Per quello che ho potuto, ho rubato segreti del mestiere a chiunque. E poi ho rischiato. Ho scelto di non prendermela comoda. Sapevo di avere un destino da battitore libero, di essere sempre stata io stessa la mia forza. E ho avuto la fortuna di fare dei grandi incontri sul mio cammino. Ancora oggi imparo. Non mi sento – pur facendo questo lavoro da tanto tempo – diversa da una persona che ha trent’anni e fa questo mestiere. Non credo di avere metodi troppo “antichi” per nessun prodotto. Sono ancora in grado di occuparmi di qualsiasi tipo di programma. Pensa che ai tempi il mio desiderio era di fare l’ufficio stampa in politica. È un lavoro molto stimolante.

Sei stata tentata?

Non ho avuto l’occasione. Il mio capo, Pilo, se ne andò in Forza Italia, diventando il sondaggista del dottor Berlusconi, ma io votavo altrove. Per me Berlusconi è un genio comunque, ma io votavo D’Alema! (ride) Ovviamente se sai fare il tuo mestiere devi saperlo fare per chiunque, ma credo ancora nelle affinità. Anche ideologiche.


Laura Tonini

Nata nel 1983. Autrice e sceneggiatrice. Inoltre scrive per Vice, Vogue Italia, Rolling Stone e Deejay Tv. Su Twitter è @lautonini.

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