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Radiofonia alternativa

Il mercato dei Podcast

Voci, racconti e fatti curiosi che ci arrivano direttamente alle orecchie. Alle radici del successo e del mercato del podcast, dove il radiodramma incontra il digitale.

I podcast sono ormai un old medium, nel senso che la tecnologia per la distribuzione automatica di contenuti audio su piattaforme digitali esiste da tredici anni. Se ragionassimo rispetto alla storia della radio, tredici anni dopo la nascita del broadcasting saremmo nel 1933, nel mezzo della sua età dell’oro. A tredici anni dalle prime trasmissioni televisive, la tv era già uno status symbol nelle case del mondo occidentale. A tredici anni dalla loro invenzione, il videoregistratore, il walkman, il compact disc erano tutte tecnologie affermate. New, messo accanto a media, è un concetto relativo, che varia in funzione dell’evoluzione storica. Lo streaming di un segnale audio, la tecnologia che ha permesso lo sviluppo delle web radio, festeggerà quest’anno 23 anni di vita. Anche l’mp3, il formato di compressione audio che ha sconvolto l’industria musicale, non è più tanto new, essendo anch’esso un’invenzione novecentesca.

Eppure i podcast non sono mai stati così new come oggi. Tutti parlano di Serial, di Invisibilia, di The Moth, come dell’ultima novità nel mondo dei media digitali, come del “Netflix dell’audio”. I podcast sono diventati la nuova frontiera dell’hipster a caccia di un nuovo bene di consumo che gli permetta di distinguersi dalla marmaglia del consumo generalista. Una volta che le serie tv di Hbo e Netflix sono state sdoganate dalla cultura mainstream, podcast come Serial, The Heart, 99% Invisible o WTF sono i nomi da tirar fuori per distanziare i propri consumi culturali da quelli del resto della truppa.

Una rinascita inattesa

Cosa è successo a una tecnologia che era stata data per morta fino a quattro-cinque anni fa? È capitato quello che avvenne ad altre tecnologie, come la trasmissione FM o l’mp3, che hanno avuto una traiettoria di sviluppo molto accidentata ma alla fine si sono conquistate comunque uno spazio di vita. Ma come è successo?

Proprio mentre i grandi giornali americani come il New York Times stavano smettendo di produrre podcast, intorno al 2010-11, per mancanza di interesse da parte del pubblico e per incapacità di generare introiti, sotto le braci stavano covando quelle ragioni che avrebbero poi portato alla successiva esplosione di interesse per il mezzo: la diffusione degli smartphone è andata crescendo esponenzialmente (e oggi il 72% degli ascolti di podcast avviene lì sopra, in mobilità, mentre si corre o si va a lavoro); molti show radiofonici americani che esistevano da anni e si erano costruiti il loro pubblico di fedeli iniziarono a produrre trasmissioni indipendenti, finanziandosele tramite campagne di crowdfunding o direttamente con la pubblicità, creando i primi aggregatori (network) di podcast americani, come Radiotopia, Panoply o PodcastOne. Terzo fattore, poi, il fenomeno Serial, una serie di giornalismo investigativo su un ambiguo caso di cronaca nera che ha incredibilmente ottenuto un successo planetario, simile alla popolarità delle serie tv. L’attenzione che Serial ha spostato sul fenomeno del podcasting ha fatto da traino a molti altri titoli che avevano già la loro nicchia di appassionati, permettendo a molti programmi di raggiungere nuovi pubblici in tutto il mondo, ansiosi di riempire il tempo passato insieme al proprio smartphone nei tragitti casa-lavoro.

I podcast sono diventati la nuova frontiera dell’hipster a caccia di un nuovo bene di consumo che gli permetta di distinguersi dalla marmaglia del consumo generalista.

Ma quello che è davvero incredibile è che, se guardiamo dentro a questi podcast, se ci mettiamo ad ascoltarli, se andiamo a smontarne il linguaggio e ad analizzarne i contenuti, scopriamo che sotto la patina di new digital media si nasconde la vecchia, rattrappita, stiracchiata, vituperata radiofonia pubblica, con i suoi generi classici, parlati e intellettuali. I podcast più scaricati nel mondo, quelli di cui tutti parlano, appartengono a tre macro-generi: storytelling (di qualsiasi cosa, dall’arte alle relazioni sessuali); fiction; giornalismo di approfondimento o investigativo. Nel primo caso si tratta di programmi condotti da host (conduttori) in grado di raccontare tutto (dalla storia della scienza a quella del design, vedi Radiolab e 99% Invisible) sotto forma di storie personali che seguono uno sviluppo narrativo. Nel secondo caso si tratta di vere e proprie serie finzionali, quelle che in Italia si chiamavano “sceneggiati” oppure “originali radiofonici” (per distinguerli dagli adattamenti di romanzi e fumetti). Non è un caso se uno dei podcast più scaricati nel Regno Unito sia ancora The Archers, un infinito sceneggiato radiofonico che va in onda sulla Bbc dal 1 gennaio 1951. E in Italia vanno fortissimo podcast come Ad alta voce (lettura di grandi classici della letteratura, prodotto da Rai Radio3), mentre tra i titoli più scaricati di Rai Radio2 ancora figura Alle otto della sera, un programma che non va più in onda dal 2009.

Tutti quei programmi a lungo vituperati perché troppo costosi da produrre improvvisamente tornano alla ribalta come nuova frontiera della radio. E questo perché la grammatica dell’ascolto di un podcast è intimamente diversa da quella radiofonica: in podcast funzionano quei programmi che richiedono attenzione. Un contenuto seriale, che posso ascoltare quando voglio, funziona meglio in podcast che in radio, dove, se non arrivo a casa in tempo, mi perderò la puntata. Il podcast ha restituito il controllo sui contenuti agli ascoltatori e ridato dignità ai contenuti parlati e accurati da un punto di vista produttivo.

Dal pubblico al commerciale

Tra i podcast più scaricati negli Stati Uniti, secondo la classifica di Podtrac – la prima compagnia a istituire un sistema di rating, di rilevamento degli ascolti del settore, nel 2016 – figurano programmi come This American Life (nato nel 1995 e condotto dal popolare Ira Glass) e Radiolab, entrambi trasmessi da emittenti di servizio pubblico americane. A ben vedere, molti altri show di produttori indipendenti, compreso Serial, sono riconducibili alla radio pubblica americana, visto che i suoi autori sono ex conduttori del servizio pubblico che, grazie alla formazione e all’esperienza fatta lì, hanno deciso di mettersi in proprio, mentre negli Stati Uniti si stava formando un mercato commerciale per il genere.

In tutta questa storia infatti, l’unica novità (e nemmeno tanto, come vedremo) non è né l’esistenza dei podcast, né i contenuti (simili a ciò che la radio pubblica produce da anni), ma il modello di business. Negli Stati Uniti sono nate piattaforme che aggregano podcast e finanziano la loro produzione tramite la vendita di pubblicità sotto forma di sponsor (la vecchia formula “questo programma è offerto da”) ed endorsement da parte dei conduttori. Sebbene il numero degli ascoltatori di podcast rappresenti ancora una piccola nicchia rispetto ai milioni di ascoltatori della radio americana, il messaggio pubblicitario nei podcast pare funzionare molto meglio della classica pubblicità radiofonica o televisiva, e quindi costa molto di più per gli investitori e rende molto di più ai suoi autori. Di solito, la pubblicità è un messaggio molto semplice, pronunciato dal conduttore del podcast a metà dello show, rispettando lo stile e il tono del programma. Considerando il modo in cui si ascoltano i podcast (in cuffia, mentre corri o sei in metropolitana o in treno), è molto più difficile saltare l’annuncio pubblicitario ed è molto più difficile distrarsi, visto che la voce del conduttore ce l’hai proprio nell’orecchio.

“Le persone sembrano davvero prestare attenzione alla pubblicità nei podcast”, ha affermato il guru del podcasting della rivista Slate (finanziatrice di Panoply). Gli ascoltatori si fidano del conduttore, gli prestano attenzione. Una ricerca di Midroll – una nuova società nata per la vendita di pubblicità all’interno dei podcast –, compiuta su un campione di trecentomila ascoltatori, ha scoperto che il 63% aveva finito con l’acquistare qualcuno dei beni o servizi sponsorizzati dal proprio conduttore di fiducia: una percentuale altissima. Cos’è più utile? Una pubblicità trasmessa a pioggia a milioni di persone che non ti prestano orecchio o un messaggio dritto nell’orecchio di poche migliaia di persone selezionate, con un livello di istruzione e un potenziale d’acquisto superiore alla media nazionale? È questo l’assunto su cui si fonda la nascita del nuovo mercato del podcasting commerciale americano. Un mercato che inizia ad avere il suo valore, anche se i numeri, paragonati a quelli di radio e tv, sono ancora molto piccoli. Ma quel che conta, per i podcaster americani e per gli investitori che ci credono, è il ritmo di crescita: nel 2016 sono stati investiti 167 milioni di dollari, il 48% in più dell’anno precedente, e secondo BridgeRatings le stime di crescita della pubblicità nei podcast si attestano intorno al 25% ogni anno fino al 2020, quando il mercato dovrebbe raggiungere i 395 milioni di dollari (contro gli attuali 17,6 miliardi di dollari del mercato pubblicitario radiofonico americano). La crescita della pubblicità va di pari passo con l’aumento degli ascoltatori mensili. Se nel 2008 erano il 9% della popolazione americana di più di 12 anni, secondo Triton Digital nel 2016 erano il 21% (57 milioni). Tra questi 57 milioni, secondo Podtrac i podcast di This American Life e Serial da soli hanno 4,6 milioni di ascoltatori al mese e Radiotopia, uno dei network più importanti, circa 2,9 milioni.

La cosa più interessante, però, è che c’è stata una vera accelerazione solo dal 2013, quando gli utenti di podcast erano ancora solo il 12% della popolazione. Inoltre, gli ascoltatori di podcast, anche se ancora minoranza, sono sensibilmente più istruiti e più benestanti della media della popolazione americana, e hanno più potere d’acquisto degli ascoltatori di radio e tv.

Il podcasting sembra quindi seguire lo stesso ciclo di sviluppo del broadcasting, anche se con numeri più limitati, almeno per ora. Anche nel caso del broadcasting fu proprio l’idea di vendere slot di tempo agli investitori pubblicitari che trasformò la radiofonia americana in un mercato commerciale, in cui le emittenti studentesche e amatoriali vennero spazzate via da chi (per primo, David Sarnoff della Rca) aveva visto in quella strabiliante forma di comunicazione a distanza un mezzo per trasformare gli americani in un popolo di consumatori accaniti e per fare soldi a palate.

Se i primi anni Duemila sono stati quelli dei podcaster amatoriali, ora finalmente potrebbe nascere un nuovo medium, con i suoi mercati e i suoi professionisti.


Tiziano Bonini

Professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena, si occupa di radio, social media, cultura digitale ed economia politica delle piattaforme digitali.

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