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Perché le serie tv falliscono

I network statunitensi si sono basati a lungo su un rischio calcolato: tanti insuccessi per scovare ciò che funziona. Ma con Netflix, cambiano persino le definizioni di flop…

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 24 - Flop. Il fallimento nell'industria creativa del 03 dicembre 2018

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Prima di esplorare perché i programmi tv falliscono, dobbiamo decidere qual è il significato di flop. Molti dei più grandi contributi all’archivio della narrazione e dell’arte televisiva contemporanea sono stati fallimenti commerciali, e molti successi commerciali hanno fatto davvero poco per allargare i confini creativi del mezzo. Esprimere le proprie opinioni sulla natura del fallimento creativo sta nel campo degli artisti e dei filosofi, mentre da studiosa delle industrie mediali sono più a mio agio nell’interpretare le cause dei flop commerciali.

Una sovrapproduzione intenzionale

Molte cause di fallimento sono fortemente legate alle strutture con le quali opera l’industria televisiva. Sono le condizioni prodotte dalle norme industriali, a partire da quella secondo cui i programmi servono soprattutto ad attrarre un’audience e a vendere la sua attenzione agli investitori pubblicitari, con intervalli regolari di spot inclusi dentro i programmi. Di conseguenza, chi crea non ha come obiettivo principale quello di raccontare una storia coinvolgente, ma di raccontare una storia coinvolgente che attragga l’attenzione, sia facilmente comprensibile ai nuovi spettatori, non irriti gli sponsor e così via.

Come si sa, è dato per scontato un alto tasso di fallimento. Ognuno dei quattro network americani commissiona tra i 50 e gli 80 script, e poi a malapena 20 serie giungono allo stadio di episodio pilota, con un cast e una produzione messa in opera. Di questi, forse un quarto si assicura un primo ordine iniziale di una mezza dozzina di episodi e riesce ad arrivare davvero al pubblico. Come se le chance di successo non fossero abbastanza poche, poi, un’analisi delle serie in onda dal 2002 al 2012 sulla tv americana ha mostrato che il 70% dei titoli nuovi non è andato oltre la prima stagione, e che un altro 11% si è fermato alla seconda. È un sistema di sovrapproduzione intenzionale, in cui il fallimento è accettato e atteso come parte essenziale di un settore in cui “nessuno sa” cosa avrà successo.

Le pratiche industriali che danno forma alle regole della produzione televisiva spargono anche altri semi di insuccesso. Gli autori si trovano davanti numerose sfide lungo lo sviluppo di una serie. Le case di produzione e i dirigenti delle reti commentano ampiamente bozze e sceneggiature. Talvolta sono suggerimenti preziosi, ma in altri casi vanno contro la visione dello showrunner e rischiano di sminuire proprio quella scintilla che all’inizio aveva attratto la loro attenzione. I limiti nei tempi e nei budget di produzione possono rovinare anche le idee migliori, se questi vincoli restringono troppo i processi creativi. Laddove la maggior parte dei settori mediali ha tempi rilassati e flessibili, la natura continuativa di una serie tv richiede spesso molta disciplina. A volte la necessità di finire un episodio entro la deadline porta a lavorare sotto-standard, e il pubblico se ne accorge. Ancora, i creativi sono spesso costretti a soddisfare più di un padrone, ciascuno con priorità differenti. Per esempio, se i ricavi dai mercati secondari sono diventati cruciali per coprire i budget di produzione, e ovviamente per produrre guadagni, gli autori sono costretti a tenere in considerazione sia i bisogni della prima visione sia quelli delle finestre successive. Cercare di bilanciare troppe richieste discordanti può però, ancora una volta, sacrificare la visione originale.

Ci sono poi pratiche industriali ancora più specifiche che spiegano un fallimento. I finanziatori di una produzione fanno in fondo da gatekeeper, cercando di prevedere le idee che possono avere più successo sulla base di una conoscenza di quello che ha funzionato in passato e di impressioni sul modo in cui lo si è raggiunto. Nel decidere cosa produrre, tentano di capire in anticipo le opinioni degli spettatori e finanziano alcuni episodi o una stagione iniziale solo quando il successo è plausibile. In gran parte dei casi, il pubblico vero non è coinvolto: l’unica rara eccezione sono i film per la tv poi sviluppati in serie (i cosiddetti back-door pilot) e gli spin-off da titoli esistenti. Molti programmi allora falliscono perché un intermediario ha interpretato male il comportamento del pubblico. Altre volte il concept iniziale non si traduce bene sullo schermo. O ancora, chi ha voluto la serie può essere stato licenziato, o aver cambiato lavoro, e chi l’ha rimpiazzato non lotta allo stesso modo per il progetto.

Nel contesto della tv lineare, la collocazione in palinsesto ha un’importanza fondamentale. Una serie può essere perfetta, ma fallire perché chi potrebbe apprezzarla non la trova. Senza promozione, le audience possono ignorare il programma, o provarne un altro; e una pubblicità sbagliata può impedire agli spettatori di sintonizzarsi su una cosa che potrebbero amare.

La prova del nove

Una volta che la serie va in onda, la sua capacità di proseguire è basata sulla risposta degli spettatori veri, anche se questa spesso non ha nulla a che fare con il programma. Nel contesto della tv lineare, la collocazione in palinsesto ha un’importanza fondamentale. I nuovi titoli traggono benefici enormi se trasmessi dopo quelli con grandi audience, indipendentemente dalla loro qualità, e basta un errore di programmazione a portare al fallimento. Finire sul canale “giusto” per il concept del programma è altrettanto importante, dato che ogni rete dà forma alle aspettative del pubblico e raccoglie spettatori con caratteristiche e interessi differenti. Una serie può essere perfetta, ma fallire perché chi potrebbe apprezzarla non la trova. Ancora, come e quando una serie è promossa può determinare il successo o il flop. Senza promozione, le audience possono ignorare il programma, o provarne un altro; e una pubblicità sbagliata può impedire agli spettatori di sintonizzarsi su una cosa che potrebbero amare.

Fattori culturali ancora più grandi talvolta possono poi spiegare vittorie e fallimenti. La sfida centrale è individuare il giusto equilibrio di qualcosa che sia nuovo, ma al tempo stesso non troppo diverso. A volte le serie sembrano “in anticipo sui tempi”, o invece cercano di inserirsi in un sentimento che è già svanito nel momento in cui vanno in onda. Altre chiedono troppo a chi le guarda, pretendendo un’attenzione forte o frequente da chi vuole invece solo divertirsi.

Verso un nuovo modello industriale

Tutte queste cause di fallimento, insomma, innervano e sono indistinguibili dalle pratiche industriali consuete della televisione. Con una disponibilità ormai abbondante di programmi e con spettatori in grado di gestire le loro visioni tra registrazioni e servizi on demand, però, il palinsesto è ora uno strumento meno potente di prima, mentre la moltiplicazione delle scelte e la possibilità di controllare come e quando vedere un programma ha rafforzato la necessità di promuovere bene i contenuti.

La televisione non lineare, a partire da Netflix e dagli altri servizi che compongono cataloghi più che palinsesti, eliminano del tutto la programmazione, e insieme forniscono nuovi strumenti e nuove sfide promozionali. Riescono a offrire una comunicazione personalizzata, basata su quanto visto in precedenza, e questo consente una targettizzazione precisa e diminuisce la necessità di pubblicità generalista e a pagamento. Le preferenze degli spettatori sono registrate e prese in considerazione, dai generi e sottogeneri preferiti ai test A/B fatti sulle immagini che si visualizzano in anteprima.

Un differente modello di business crea forme di successo commerciale alternative al semplice radunare il maggior numero di spettatori per l’inserzionista. I servizi distribuiti su internet possono analizzare i dati dei loro utenti per capire cosa interessa loro e cosa li sprona a rinnovare l’abbonamento. Allora, le cause di fallimento sul non lineare sono diverse da quelle che hanno caratterizzato le reti basate sulla pubblicità. Cambiano anche le pratiche di sviluppo: molto spesso non serve un pilota, ma si firma subito per una stagione intera. Questo succede innanzitutto perché nei cataloghi lo sviluppo di un nuovo titolo non è un’operazione a somma zero: aggiungere una serie non implica toglierne un’altra. Il valore di una stagione intera, poi, deriva anche dagli accordi di licenza prescelti: invece di affidarsi a uno studio di produzione che finanzia la serie in deficit, e in fondo dà solo in “affitto” la prima finestra, Netflix sempre più spesso finanzia tutti i costi di produzione e trattiene i diritti globali dei suoi originali per dieci o quindici anni. Sta sviluppando un catalogo a lungo termine e non un palinsesto a breve scadenza: una stagione intera, anche quando non ha il successo sperato, mantiene comunque un qualche valore.

Nei cataloghi lo sviluppo di un nuovo titolo non è un’operazione a somma zero: aggiungere una serie non implica toglierne un’altra. Netflix finanzia tutti i costi di produzione e trattiene i diritti globali dei suoi originali per dieci o quindici anni. Sta sviluppando un catalogo a lungo termine e non un palinsesto a breve scadenza: una stagione intera, anche quando non ha il successo sperato, mantiene comunque un valore.

Infine, i dati raccolti dai servizi non lineari consentono decisioni più informate su cosa sviluppare. Netflix ha dati globali sui titoli che gli abbonati guardano per primi e sul tempo che impiegano a vedere altre serie. Con 300 milioni di spettatori, ha sviluppato cluster di gusto molto dettagliati, che può soddisfare con programmi “verticali” sapientemente calibrati o sottogeneri specifici. Il suo uso dei dati aiuta a comprendere i pattern di visione, portando il servizio a decidere in modo strategico e a promuovere bene ogni titolo. E questo riconfigura in modo radicale le opportunità e le metriche di successo, e al tempo stesso modifica le cause di flop. Mentre l’ecosistema televisivo si espande, cambiano le pratiche e le norme precedenti si riaggiustano. I servizi tengono segreti i loro dati e le loro strategie, per cui rinnovi e cancellazioni stanno diventando soprattutto un gioco fatto di ipotesi.

Gli strumenti della televisione distribuita su internet potrebbero diminuire radicalmente il “flop”. Se i canali lineari misurano il successo legandolo alle visioni in un dato periodo di tempo, una serie può invece restare utile a un servizio Svod – e quindi non essere un insuccesso – finché le audience non la trovano. Ogni aspetto dell’industria tv statunitense è in ristrutturazione: dal modo in cui le serie sono scelte a quello in cui sono prodotte, da come sono promosse a come sono rese disponibili agli spettatori, questi aggiustamenti cambiano tutte le condizioni di successo o fallimento ritenute valide finora. Nuove norme e nuove pratiche consentono definizioni differenti. Mentre resta da capire, in uno scenario che si sviluppa, quali casi sono stati davvero un flop e quali condizioni li hanno permessi.


Amanda D. Lotz

Professore associato di scienze della comunicazione presso l’Università del Michigan. Tra le altre cose, si occupa di industria dei media, futuro della televisione e distribuzione digitale.

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