immagine di copertina per articolo La cazzimma di Jimmy Iovine
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La cazzimma di Jimmy Iovine

C’è anche chi non fallisce mai. O quasi. Profilo di un professionista, che ha saputo reinventarsi più volte proprio mentre l’industria musicale cambiava pelle.

L’industria discografica è da sempre un castello di carte. Schumpeter parla di “distruzione creativa”, quel nuovo modello che sostituisce completamente quello vecchio. Prima i vinili, poi le cassette, poi i cd e infine il download e lo streaming: in soli quarant’anni i modi di fruizione del prodotto musicale sono radicalmente cambiati. In questo panorama tanto dinamico il rischio di fallire, di essere mangiato dall’obsolescenza, è molto alto, e nemmeno il detto “sbagliando si impara” può fare da salvagente. Ma è possibile non sbagliare mai un colpo?

Bisognerebbe chiederlo a Jimmy Iovine. L’uomo che ha lanciato la carriera dei più importanti artisti internazionali, da Bruce Springsteen a Lady Gaga, passando per Eminem; che ha fondato una sua etichetta discografica nel momento del boom della vendita dei cd e che l’ha prontamente abbandonata quando, prima di tutti, ha capito l’impatto del peer-to-peer sulla musica. La vita di Iovine è un case study, e la grande lezione che si può apprendere dalla sua carriera è l’assenza di paura del fallimento, come se non esistesse. Oltre alla capacità di trasformare il timore in opportunità. “You have to go big to get big, trasforma la paura in un vento in poppa invece di un vento contrario”. La formula del successo di Iovine è una miscela di ossessione per il lavoro, lungimiranza e una buona dose di cazzimma, l’attitudine a cercare e trovare sempre il proprio tornaconto. Ma è davvero l’uomo che non ha mai fallito?

Tu vuo’ fa l’americano

Partiamo da dove tutto è iniziato, in una sala di registrazione newyorkese chiamata Record Plant Studio. Erano gli anni Settanta e Iovine (per gli americani “Aiovein”, tipo sistema operativo Apple) aveva 17 anni e lavorava lì, non come produttore ma come addetto alle pulizie. Il giorno di Pasqua del 1973 fu chiamato dallo studio per un’apertura urgente, e qui già si riesce a intravedere la sua futura ossessione per il lavoro: provate voi a dire a una madre napoletana (è figlio di immigrati ischitani) di non essere a casa il giorno di Pasqua, sicuramente non la prenderà molto bene. Ma l’urgenza effettivamente c’era. John Lennon, all’apice della sua carriera solista, doveva registrare l’album Walls and Bridges, e Iovine fu coinvolto nella produzione musicale dell’album grazie all’amico Ray Cicala, l’ingegnere del suono di Lennon, che gli insegnò a muovere i primi passi nel mixaggio. Passare dal mocio al mixer con Lennon fu il primo grande rischio di Iovine, ma d’altronde non aveva nulla da perdere, e infatti è stato il trampolino di lancio perfetto. Dal nulla diventò il producer più richiesto durante gli anni del rock, e sono seguite collaborazioni con Bruce Springsteen, Patti Smith, Tom Petty e Stevie Nicks.

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Iovine e Lennon

L’esperienza che più plasmò il carattere di Jimmy fu la registrazione di Born to Run di Springsteen. Bruce era un perfezionista e maniaco del controllo, e come racconta Iovine nel documentario di Hbo The Defiant Ones (sulla vita di Iovine e Dr. Dre, in Italia distribuito da Netflix), ha impiegato tre settimane solo per trovare il suono giusto della batteria, o ancora tredici ore solo per registrare le chitarre di Thunder Road. Aveva molto chiara la visione del wall of sound (la tecnica che consisteva nell’integrare ai classici basso, chitarra e batteria anche gli strumenti tipicamente orchestrali) e non smetteva di lavorare finché l’album non fosse stato perfetto. Questa maniacalità si rifletterà sui futuri lavori di Iovine, o meglio Jimmy Jail (come lo chiama Gwen Stefani), nel suo periodo da discografico. Jimmy inizia a sviluppare il suo fiuto da talent scout già agli inizi degli Eighties. Nell’83, durante l’US Festival, Jimmy incontra una band irlandese che cantava dei sanguinosi scontri tra l’esercito inglese e i manifestanti della città di Derry: erano gli U2 con Sunday Bloody Sunday, per cui produrrà l’album Under a Blood Red Sky. Ma soprattutto lavoreranno insieme per Beautiful Day, probabilmente il più grande successo della band.

“You have to go big to get big, trasforma la paura in un vento in poppa invece di un vento contrario”. La formula del successo di Iovine è una miscela di ossessione per il lavoro, lungimiranza e una buona dose di cazzimma, l’attitudine a cercare e trovare sempre il proprio tornaconto.

Audio di alta qualità, compatto, portatile e poco costoso, negli anni Novanta scoppia la mania del cd. Jimmy percepisce in tempo le potenzialità del business: nell’89 abbandona il mixer e prende la strada del discografico, fondando, insieme a Ted Field, la Interscope Records. L’obiettivo era produrre una musica dal forte impatto, che facesse discutere, capace di dividere l’opinione pubblica al di là del genere musicale. Nel 1993 l’America era avversa all’hip hop, il genere era visto come “music that glorified violence and degraded women”, nessuna major discografica aveva il coraggio di produrre quel tipo di musica, il rischio era troppo grande. Ma Iovine andò controcorrente: aveva intuito che era esattamente il genere in linea con la visione della Interscope. Ed è in questo periodo che la sua strada si incrocia con quella di Dr. Dre, rapper e produttore musicale in cerca di una casa discografica, che aveva folgorato Jimmy con l’album The Chronic. I due iniziano a lavorare insieme, ed è l’inizio di un lungo sodalizio: è il periodo della Death Row, di Snoop Dogg, di Tupac e Suge Knight, dei Nine Inch Nails e di Marilyn Manson, dei No Doubt e di Eminem, ma anche delle crociate mediatiche contro la Interscope e la Time Warner, che nel frattempo era diventata una dei principali azionisti dell’etichetta discografica.

Jimmy produceva i due movimenti paralleli, due mondi completamente opposti, che congiuntamente hanno caratterizzato gli ultimi anni del ventesimo secolo: hip hop e metal, da un lato Tupac e dall’altra Manson. Ovviamente senza mai sbagliare un colpo, dato che i primi quattro posti della classifica di Billboard del dicembre 1996 erano occupati da artisti della sua scuderia.

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Eminem e Marilyn Manson

The Man with the Magic Ears

Iovine è un cecchino, e se punta un’artista valido da scritturare non se lo lascia scappare. Ha un modo particolare di approcciare gli artisti. Innanzitutto, è tremendamente insistente. L’ex moglie Vicky nel documentario di Hbo racconta come Jimmy sia riuscito a strappare i Nine Inch Nails alla Tvt Records: chiamò il loro manager ininterrottamente alle sei del mattino ogni giorno per un anno. Dopo una negoziazione di ben 96 ore, riuscì a reclutare la band di Trent Reznor. Anche l’incontro con i No Doubt nel 1990 non fu tra i più convenzionali: dopo un loro concerto si diresse da Gwen urlando “Tra 6 anni diventerai una star!”. Dopo un secco “Tu chi saresti?” della leader del gruppo iniziò la loro collaborazione, ed esattamente sei anni dopo la band raggiunse il successo planetario con Don’t Speak.

Ma lavorare con un perfezionista non è facile. “One More Song” è lo slogan di Jimmy, mai pienamente soddisfatto degli album, e questa ossessione maniacale deriva sicuramente dal periodo springsteeniano. Molte band non hanno retto lo stress dei suoi metodi stacanovisti, come i Die Antwoord, che dopo aver abbandonato l’etichetta discografica hanno attaccato il capo della Interscope con il brano Uncle Jimmy. “La mia abilità è di saper individuare le persone che lavorano bene insieme”. Così Iovine sintetizza il suo talento in un’intervista a Rolling Stone, che l’ha definito “l’uomo dalle orecchie magiche”. Il suo modus operandi è la collaborazione tra gli artisti della sua stessa scuderia. Solo per citare alcune collaborazioni, persuase Springsteen a cedere Because the Night a Patti Smith, lo faceva impazzire l’idea che una donna cantasse “perché la notte appartiene agli amanti”; con Trent Reznor ha inventato il personaggio di Marylin Manson; con Akon produrrà Lady Gaga e insieme a Dr. Dre lavorerà per l’album di Kendrick Lamar Good Kid, M.A.A.D City che lo lancerà nell’Olimpo dell’hip hop.

“La mia abilità è di saper individuare le persone che lavorano bene insieme”. Così Iovine sintetizza il suo talento. Il suo modus operandi è la collaborazione tra gli artisti della sua stessa scuderia. Persuase Springsteen a cedere Because the Night a Patti Smith, lo faceva impazzire l’idea che una donna cantasse “perché la notte appartiene agli amanti”.

Le cuffie e la mela

Agli inizi del nuovo millennio, pur essendo al picco della carriera, era frustrato da due cose. La prima era che la musica digitale nel giro di pochi anni avrebbe cannibalizzato quella fisica; la seconda è che tutti ascoltavano la musica con auricolari di plastica. Napster era gratis, facile da usare e sorvolava su tutte le regole del copyright. Per Jimmy era chiaro che avrebbe creato una “distruptive wave” nel mercato discografico. Ma lo tsunami andava cavalcato.If you wait for this technology to fix your problems, it’s going to eat you, so I’m going on the other side”. Quindi corse dall’amico Steve Jobs per proporgli il lancio di una piattaforma di streaming musicale, ma in casa Apple erano occupati per l’uscita del primo iPhone.

Se a Iovine è sbattuta una porta in faccia, lui però entra dalla finestra. E la finestra era il mercato degli auricolari. Ed entrò proprio con Dr. Dre come socio, proponendo cuffie che fossero degli accessori di moda. Fino ad allora le cuffie erano praticamente regalate insieme a ogni prodotto di hi-tech, nessuno prima avrebbe mai pensato di venderle a 300 dollari. Ma, ancora una volta, non ha sbagliato. L’intuizione fu geniale. Nacquero così le Beats by Dr. Dre, enormi cuffie dai mille colori da abbinare a ogni outfit. Lo scopo era non passare inosservati, a partire dal logo che doveva essere ben visibile “perché i competitor non erano solo gli altri produttori di auricolari, ma Nike”.

Il successo non tardò ad arrivare, grazie alla grossa e spudorata campagna di product placement messa in piedi dai due: le cuffie erano in ogni video musicale degli artisti Interscope, alle Olimpiadi di Londra erano indossate da ogni atleta, nei due anni in veste di “giudice supremo” ad American Idol Jimmy le indossava sempre per renderle ben visibili ai milioni di spettatori settimanali. Ma il grande colpo fu messo a segno ai SuperBowl del 2011, dove i Black Eyed Peas si esibirono su un palco a forma di “b”, il logo delle Beats. Non si può dire che siano passate inosservate.

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Dr.Dre e Iovine

Nel gennaio 2014 arriva l’annuncio di Beats Music, piattaforma streaming musicale premium con un catalogo di oltre 20 milioni di brani, destinata a intaccare il monopolio di Spotify. Jimmy puntava sull’estrema personalizzazione del contenuto, su playlist tagliate su misura e modellate sull’emozioni dell’utente. Dopo pochi mesi ecco finalmente la chiamata da Apple: un accordo per 3 miliardi di dollari per l’acquisizione di Beats, e Iovine a capo del progetto di Apple Music. Lo stesso Jobs, scomparso tre anni prima, riteneva che Iovine fosse “one of the few people – if not the only person – who came out of software and made a piece of hardware successfully”. Apple era pronta al grande passo, passare dal modello pay-per-listen di iTunes allo streaming, e per farlo aveva bisogno di una figura ben inserita nel settore discografico come Iovine. Sotto la sua guida, in soli quattro anni, il servizio ha raggiunto una quota di mercato superiore al 20%, con 56 milioni di utenti contro i 96 pay di Spotify, che però ha alle spalle già dieci anni di attività. Sembra però che abbia altri progetti nel cassetto, dato che recentemente ha abbandonato la sua posizione in Apple, per passare da capo a un ruolo di consulenza.

Jimmy Iovine è per antonomasia il guru dell’industria musicale. Un self-made man capace di anticipare i trend del mercato discografico che, con ambizione e defiant attitude, è riuscito sempre a imporre la sua volontà, prima come ingegnere del suono, poi come produttore, come discografico e come capo di Apple Music. Un virus, come lo definisce Bono, che entra nel sistema senza esser stato invitato, si impadronisce dei tuoi organi e va al cervello. È possibile, quindi, che in qurant’anni di carriera non ci sia stato nemmeno un flop? Sicuramente no, avrà preso anche lui delle cantonate durante il suo percorso. D’altronde la sua prima produzione, un album dei Foghat, fu un disastro. Ma che si trattasse di fallimenti in affari o nel lancio di nuovi artisti, ha imparato ogni volta dai suoi errori.

Il segreto è nella perseveranza, vedere gli ostacoli come opportunità e abbracciare la paura come carburante per il cambiamento. Jimmy Iovine è un prestigiatore che ha sempre avuto la capacità di non far crollare il castello di carte, o meglio è riuscito a cambiare le carte senza farlo mai cadere.


Alessandro Laborano

Dall'ombra del Vesuvio a quella della Madunina. Laureato in Economia Aziendale, si è specializzato in Marketing Management presso l'Università Cattolica Del Sacro Cuore. Ha lavorato al Marketing Strategico di Mediaset prima e, oggi, in Warner Bros. Discovery.

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