Schegge
La morte del commissario Cattani
Il primo finale di stagione di una serie televisiva italiana è stato un evento partecipato, discusso, criticato. Oggi quell’episodio ci insegna a riflettere su come è cambiata la narrazione seriale, insieme ai suoi obiettivi, e i suoi possibili finali.
Lunedì 20 marzo 1989 il commissario Corrado Cattani moriva su Raiuno davanti a 17 milioni e 200 mila spettatori. Prima del finale di Game of thrones – certo quest’ultimo seguito in contemporanea da milioni di spettatori sparsi per il mondo – ci fu, almeno per noi italiani, la morte del commissario antimafia interpretato da Michele Placido. I finali di stagione, e di intere serie, sono grandi catalizzatori di pubblico.
“Crimen meum, tuum, suum. Che sera criminale è stata quella di lunedì” suggeriva Oreste del Buono sul Corriere della Sera del 22 marzo. Impegno civile e successo di pubblico, La piovra è stato uno sceneggiato moderno per i tempi, capace di dare voce e forma a un tema (e un genere) della nostra realtà. Lontano da quelle agiografie storiche e letterarie di cui la nostra tv è sempre stata piena. La piovra non finisce con la morte di Cattani, va avanti.
E l’anno dopo c’è una polemica sempre sul “finale di stagione”. Un giornale mostra sulle sue pagine i due possibili finali che sarebbero stati girati, uno lieto e uno tragico: oggi sarebbe impensabile suggerire spoiler così evidenti. Dalle pagine de L’Unità il capostruttura di Raiuno Giancarlo Governi afferma: “Come stiamo ripetendo da oltre un mese, de La piovra furono girati due finali ma d’accordo con i coproduttori e gli autori ne fu scelto immediatamente uno: quello che è stato già montato nella quinta puntata e consegnato per la messa in onda già da diverso tempo. L’altro è rimasto in moviola e nessuno ha mai pensato di montarlo”.
Come andrà a finire una storia che amiamo è sempre materia d’interesse, ma oggi è come se ne fossimo ossessionati. Le serie americane dovevano andare avanti il più possibile. Il problema di finire – come, quando e perché – era un obiettivo da rimandare il più possibile. Lo scopo – economico, produttivo, narrativo – era durare il più possibile. Poi è cambiata l’estetica: linee narrative sempre più sviluppate su più stagioni tendono paradossalmente a una chiusura, perché è necessario rispondere a domande come “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, “Che cos’è l’isola?”, “Chi salirà sul trono di spade?”. Poi sono arrivate le cable e soprattutto gli streamer, con nuovi modelli economici: tanti titoli da vedere in binge-watching per mantenere gli abbonamenti. Meno puntate a stagione, meno stagioni, più enfasi sul finale. Come gli sceneggiati di una volta? Così, paradossalmente, c’è anche più delusione: ci si aspetta un’unica, solida, chiusura coerente e convincente per una narrazione seriale che nasce per essere potenzialmente infinita. Così, un finale “deludente” sembra cancellare tutto il percorso fatto precedentemente. Ma questa è la vera fine del concetto di narrazione seriale. Il cui scopo è il percorso, non la meta. Il cui scopo è continuare, sempre e comunque, anche se muore il commissario Cattani.