TikTok, Sorrisi & Canzoni

CorporateTok, la rivincita degli impiegati

Non di solo spettacolo vive la piattaforma: anche il lavoro, pubblico e privato, è visto con sguardo caustico e disincantato.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          CorporateTok, la rivincita degli impiegati

CorporateTok è il lato post-marxista di TikTok, un luogo virtuale dove gli impiegati si riappropriano della loro personalità contro lo svuotamento identitario che le grandi aziende multinazionali esercitano su di loro. Anche questa specie di lotta dall’interno all’economia turbocapitalista inizia con il lockdown, quando i lavoratori nel terziario si sono ritrovati a dover lavorare da casa, scoprendo che quello che prima facevano in 8 ore di ufficio poteva essere fatto in 15 minuti dal loro divano. Già in ufficio avanzava del tempo per lasciare qualche commento indignato su Facebook, ma con la pandemia il surplus di tempo libero è aumentato, motivo per cui in molti hanno deciso di scaricare la “piattaforma dei giovani”, mentre altri più intraprendenti si sono messi a fare i content creator. I video su TikTok a tema impiegatizio sono sempre esilaranti: ci si prende molto in giro, si fa il verso a certi roboanti post su LinkedIn scritti in piena estasi calvinista su cambi di carriera, nuove posizioni raggiunte, burn-out must have. In Italia, i tiktoker di riferimento che attingono dal mondo del lavoro sono due: l’ormai notissimo Frank Gramuglia, dal settore privato, e Alberico di Pasquale, con il mitologico posto fisso. 

Una volta a raccontare la frustrazione dell’impiegato c’era Franz Kafka, poi è venuto il ragionier Fantozzi. Frank Gramuglia invece è il classico millennial che ha preso il “pezzo di carta”, tanto agognato dai genitori boomer che sognavano un riscatto sociale. Ha un diploma da perito informatico, ma ammette di non saper usare il computer, ha la laurea in scienze politiche ma di politica non sa nulla. Finisce a lavorare nel settore alberghiero, ma da impiegato i lavori si somigliano tutti: riunioni che potevano essere mail e mail che non legge nessuno, stipendi miserabili, capi il cui tratto distintivo è l’incompetenza, colleghi che si vantano di fare straordinari non retribuiti. Gramuglia nei suoi video non ride mai, però suda mentre toglie le fette di prosciutto che ogni impiegato ostinatamente tiene sugli occhi, per non vedere quel che è: il lavoro in ufficio fa schifo. Troppo mal pagato e astratto per dare soddisfazione, troppo comodo per potersene lamentare davvero. Una macchina infernale generatrice di frustrazione perenne, di chi ha studiato troppo per fare lavori assolutamente inutili. È una comicità greve, piena di parolacce enfatizzate dalla erre moscia, che però non smette di far ridere: dice ad alta voce quello che tutti gli impiegati pensano del capo e dei colleghi, dei progress e delle call, dello stipendio misero e del biliardino nell’open space.

Alberico Di Pasquale, invece, dà una sua interpretazione personale alle gag sul posto fisso di Checco Zalone. Faccia paciosa, papà di una bambina con una piccola disabilità: invece di chiedere soldi e fare appelli online (come fanno altri), si è messo a fare video lievi e divertenti. Il suo lavoro è quello di tecnico informatico in una scuola, e nei suoi video parla di professori e bidelli la cui vita professionale converge sulla macchina del caffè, ma anche di impiegati comunali e tele-operatori dell’Inps. Conferma che i cliché sul posto fisso non sono cambiati. Quando il dipendente privato si ammala, va comunque a lavorare simulando abnegazione e sacrificio. Quando il dipendente pubblico si ammala chiama l’ufficio dicendo che prenderà 15 giorni di malattia, e saluta tutti aggiungendo “ci rivediamo tra un mese”. Alberico ne ha per tutti e spazia sui vari temi legati ai jobs: dagli ostacoli per andare in pensione, agli idraulici iper-richiesti che emettono quattro fatture in un anno. Ma quand’è che il mondo del lavoro è diventato così ridicolo? Almeno CorporateTok prova a riparare con ironia quella che sembra oggi un’insanabile frattura tra le parole “lavoro” e “dignità”.


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Le gemelline OnlyFans

Anche l’economia del content ha bisogno di soldi. E questi possono arrivare da profili hard, o da chi insegna a farlo.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Le gemelline OnlyFans

I content creator di TikTok, anche quelli con milioni di follower, guadagnano meno dei loro colleghi su Instagram, motivo per cui devono sviluppare business paralleli. Quelli più fortunati sono messi sotto contratto da agenzie di comunicazione e magari vanno a lavorare in una content house, iniziando un percorso nel mondo dello spettacolo fatto di ospitate, apparizioni lampo su copertine e instant book. Altri aprono una più tradizionale bottega, come Greta Santarelli e Rita De Crescenzo. Altri ancora poi aprono un account su OnlyFans. Non è così improbabile che creator famosi e molto amati dai giovani abbiamo un account su OF, piattaforma che “offre servizi d’intrattenimento tramite abbonamento”, spesso indicata con la doppia emoji 🤍💙, usata come sostitutivo della parola “OnlyFans” che TikTok banna in automatico. Ce l’ha Elisa Esposito, Sofia Crisafulli, Linda Stabilini, Denis Dosio e molti altri, ma hanno attirato l’attenzione della stampa nazionale due gemelle, Martina e Alessia, che hanno avuto l’idea di inventarsi una OF Academy. Si noti che la stampa nazionale è particolarmente attratta da belle ragazze su TikTok che si danno all’accademia, vedi il caso della “professoressa del corsivo”, parlandone come esempi di originalità imprenditoriale ma senza entrare mai nel merito. 

Martina e Alessia (che a volte si fa chiamare Alexia) fanno innanzitutto leva su un’immagine molto fresca. La prima domanda che uno si pone quando si imbatte in loro è: ma sono minorenni? In realtà, sono ventenni che si tolgono qualche anno con i filtri: una fa la commessa in una cartoleria e su OF vende foto di piedi, l’altra è laureata in ingegneria e su OF offre situazioni meno scientifiche e più hard. Quest’ultima ha dichiarato di aver guadagnato circa 250mila euro in un anno, dopodiché le è venuta l’idea di fare dei corsi, per trasferire benevolmente le competenze acquisite e per aiutare a costruire una strategia di comunicazione a chiunque voglia cimentarsi con il business della “vendita di foto di piedi”. Come si sa, oggi c’è in giro più disponibilità di foto di piedi che di feticisti, motivo per cui serve un supporto strategico come quello di Martina e Alessia per attirare la clientela. Sponsorizzano i loro corsi con un linguaggio da consulente Accenture: spesso dicono “meet-up”, “business plan”, “strategie di coinvolgimento”, “come aprire la partita Iva”. Nella foto profilo di Instagram sono in posa con due MacBook, look black & white: la versione trash di due consulenti che lavorano per le multinazionali. 

In realtà, chi guadagna di più su OnlyFans spesso è già un professionista del settore, come Malena e Valentina Nappi. Gli altri content creator sono più venditori multicanale di se stessi: cercano di guadagnare follower su social network convenzionali come Instagram e poi TikTok, per poi portarli sulla piattaforma dove è possibile spillare più soldi in cambio di “contenuti esclusivi”. Gli stessi che mettono in piedi un giro di “link affiliati” e codici sconto, cercando di reclutare nuove leve per business che sono sempre a schema Ponzi. Rendono il tutto molto appetibile, mostrando lifestyle turbocapitalistici e vacanze sempre rigorosamente a Dubai. Alcuni tiktoker iniziano a pentirsi, tipo Elisa Esposito: dicono che avere OF è usurante psicologicamente, è un lavoro a tempo pieno che presuppone l’accontentare un pubblico con moltissima offerta a disposizione, e rovina la reputazione. Alessia e Martina, infatti, non sono così veramente apprezzate dalla community di TikTok, che senza troppi giri di parole le reputa due Wanne Marchi versione Gen Z. Fioccano video in cui commercialisti esperti debunkano i loro guadagni: i famosi 250mila euro l’anno non sono che un lordo a cui vanno tolte tasse e gabelle, affitti di location, vestiti di scena, fino ad arrivare ai 1.200 euro mensili finali. È una brutta notizia, ma no, non ci si arricchisce vendendo soltanto foto di piedi.


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Ruspando la palude e le hit di TikTok

Se un social nasce musicale, alla musica tornerà sempre. Creando successi inattesi e fenomeni sbilenchi studiati a tavolino


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Ruspando la palude e le hit di TikTok

TikTok e l’industria musicale vivono ormai in rapporto simbiotico, sono più in sincro di un balletto di Charli e Dixie D’Amelio. La musica scandisce il ritmo del content e amplifica il coinvolgimento dello spettatore con il video, TikTok invece fa da moltiplicatore esponenziale di hype, rendendo ancora più famose canzoni di band già sulla cresta dell’onda. Per esempio, i Måneskin, già sulla rampa di lancio del successo dopo la vittoria a Sanremo e all’Eurovision, sono riusciti a penetrare nell’impenetrabile mercato discografico americano con “Beggin’”, canzone tra le più usate in assoluto sulla piattaforma, e questo è valso loro un American Music Award. È il caso anche di “Running Up That Hill” di Kate Bush: tornata certamente alla ribalta grazie alla quarta stagione di Stranger Things, si è poi imposta come trend e usata in milioni di video; così una canzone del 1985 è tornata a essere prima anche nelle classifiche ufficiali di streaming. Per non parlare poi di “Povero gabbiano”, canzone neomelodica di Gianni Celeste del 1988, tornata a nuova vita sotto forma di meme e tormentone, per poi scalare la classifica italiana e arrivare al secondo posto, superata solo da “Brividi” di Blanco e Mahmood.

Insomma, una musica può fare hype e l’hype può fare anche una canzone che non esisteva. Arriviamo quindi a “Ruspando la palude”, hit della creator Eva Stella: apparentemente una cantilena nonsense per bambini con balletto annesso, che richiama alla lontana la più famosa “Ci son due coccodrilli”; in pratica un successo virale su cui la creator ha lavorato a lungo. È da qualche anno che Eva Stella posta regolarmente duetti e reaction con altri video TikTok, commentandoli cantando in freestyle, iniziando sempre con l’intercalare “Aspetta!”. Sembra un fenomeno virale nato per caso, invece dietro c’è attenta pianificazione creativa, un piano editoriale serrato, una certa cura dell’immagine. La creator compare spesso con un cerotto sul naso, che è sia un modo per darsi sicurezza, sia un modo per identificarsi e farsi riconoscere. Un buon lavoro creativo e di autopromozione, svolto in autonomia e senza passare per case discografiche, che aveva come unico obiettivo la viralità. 

“Ruspando la palude” è stata pubblicata in maniera totalmente indipendente, raggiungendo ottime cifre su Spotify e YouTube. Nella versione ufficiale è lunga quasi due minuti, praticamente il remix tunz-tunz di due frasi (“Sta ruspando la palude per cercare gli animali / Dove sono gli alligatori?”), molto simile a un altro remix di grande successo su TikTok, cioè “Io sono Giorgia”, cantata con lo stesso energico slancio. Preso atto degli innegabili successi e dei “numeri che parlano”, qui la strada si biforca come nelle storie a bivio di Topolino: c’è TikTok che da un lato salva l’industria musicale, dall’altro l’ammazza definitivamente. Da una parte, ben vengano i nuovi fan e la nuova platea dove giovani emergenti possono esibirsi e provarci senza passare per i talent show. Dall’altra, “Ruspando la palude” vent’anni fa non sarebbe arrivata in vetta a nessuna classifica, probabilmente non avrebbe neanche superato le selezioni per lo Zecchino d’Oro. Ormai sembra che i musicisti non si prendano più neanche il disturbo di scrivere un intero album, basta una canzone – anzi! – bastano 15 secondi di melodia da associare a un trend, a un video, magari divertente, che dà una micro-scarica di dopamina. Quel sample sarà così capace di evocare un ricordo positivo, non più associato alla prima cotta, a una festa, all’estate, ma a un content che ha attirato la nostra attenzione.


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FoodTok, o della rivincita del mappazzone

Cibo, cibo, ancora cibo. Ma lontano da quello delle cucine stellate. Nelle case dei tiktoker prevalgono irruenza e flemma.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          FoodTok, o della rivincita del mappazzone

I foodtoker si aggirano nella loro cucina con outfit da casa, mentre preparano pietanze amatoriali. La divisa è rimasta la stessa dai tempi del lockdown, quando sono passati dalla fame alla fama. Si dividono in due tipi: quello pacato, rilassante da vedere e da ascoltare, e quello irruento, che sbatte il pentolame, fionda le uova in casseruola, lancia i coltelli sul tagliere. Andriana Kulchytska, di origine ucraina, è la foodtoker irruenta più nota in Italia, una bella ragazza snella vestita con abiti pratici e magliette sbrindellate. Diventata famosa con il tormentone “sale certamente”, ha risemantizzato a modo suo gli ingredienti delle ricette: chiama le uova “pulcini sfortunati”, il forno è “il solarium”, l’acqua diventa “fonte di vita”. Le ricette sono tutte molto semplici, perlopiù a base di “signore patate”, che lei prende e scaraventa in casseruola, schizzando acqua sui ripiani della cucina, e schiaccia con utensili improvvisati tipo le bottiglie. Cucinare rientrando nell’inquadratura verticale di TikTok non è semplice, bisogna avere le giunture snodate per piegarsi in avanti e affettare le cipolle, sorridendo ogni tanto alla ring light. Dallo schermo del nostro smartphone non possiamo sapere che gusto hanno le patate al forno di Andriana, ma si riesce comunque ad avere un’esperienza sensoriale culinaria che coinvolge vista e udito.

Emily Mariko è invece la massima esponente del movimento foodtoker flemmatici. Non parla quasi mai, in compenso nei suoi video possiamo sentire in HD i rumori che fa mentre cucina. Ripetitività e gesti ieratici danno alla sua cucina un’aura ritualistica, riassunta nella ricetta che l’ha resa star mondiale con 12 milioni di follower: la ciotola di riso con salmone. Si tratta tra l’altro di una ricetta di recupero, fatta con riso bianco avanzato e un trancio di salmone del pasto precedente. Prende il riso freddo, lo mette in una ciotola; apre il freezer, prende un cubetto di ghiaccio e lo mette sul riso, poi copre tutto con carta da forno prima di mettere la ciotola nel microonde (sul cubetto di ghiaccio si è scatenato l’hype: perché lo mette? A che serve? Forse ad ammorbidire il riso?). Poi passa a schiacciare il salmone avanzato con la forchetta, lo mette sopra il riso, aggiunge salse tipo maionese e ketchup. A volte aggiunge mezzo avocado tagliato a fette, a volte lo mangia con dei quadratini di alga nori e kimchi (le verdure fermentate coreane). I video finiscono sempre con lei che fa una piccola smorfia di soddisfazione, un cenno di auto-approvazione con la testa, che scioglie la tensione che si accumula nello spettatore durante il video: è la rivincita del mappazzone

Il FoodTok ha contribuito senza dubbio all’ascesa mondiale di TikTok. Il cibo come content sulle altre piattaforme ha raccolto engagement e video views, ha fatto la fortuna di cuochi-influencer. Ma su TikTok aumenta anche il potere di convertire le views in persone che si precipitano al supermercato a comprare questo o quell’ingrediente di un qualche video virale: Baked Feta Pasta, per esempio, ha causato una carenza di feta di negli Stati Uniti. È l’insano mix di cibo casalingo cucinato con posture artefatte, i movimenti innaturali che accentuano i rumori di uova che si rompono, soffritti che sfrigolano, casseruole che rimbombano. Ragazze in formissima e cuochi iper-muscolosi rimestano intrugli orrendi, li assaggiano godendone, mentre noi non riusciamo a staccare gli occhi dallo schermo, sulla base del fatto che siamo esseri umani e saliviamo alla vista del cibo. 


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Se TikTok diventa il nuovo Zelig

Le imitazioni di tiktoker e le parodie dei tic più diffusi sulla piattaforma diventano la rampa di lancio per nuove star.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Se TikTok diventa il nuovo Zelig

Dovreste seguire Giulia Berettini detta @acapodelglobo, 18 anni compiuti quest’anno, una Virginia Raffaele in potenza, forse un’aspirante Paola Cortellesi. Sì, certo, ne dovrà ancora mangiare di cereali sottomarca, però con imitazioni amatoriali eppure efficacissime ha scalato i Per Te di TikTok, ben avviata verso il milione di follower. Se Virginia Raffaele imita Belen, Giulia Berettini imita Federica Scagnetti. E chi sarebbe questa Federica Scagnetti? Già citata nella cartolina “Vita in Palette”, Federica è un’altra di quelle tiktoker da milioni di follower, bella, bravissima a scuola, di buona famiglia, con uno stile di vita invidiabile fatto di vacanze in Costa Smeralda e shopping da Elisabetta Franchi. È diventata famosa grazie ai video-diari in cui sceglie gli outfit e si trucca un po’ convulsamente, e per la voce martellante con cui snocciola tutti i mille impegni della giornata (studio, palestra, amici, fidanzato, lavoro). Giulia Berettini ha saputo farne un’imitazione perfetta: sgrana gli occhi, dice “eh, ma oggi è tosta!” (una frase diventata tormentone) e poi inizia a picchiettarsi compulsivamente la faccia con la spugnetta per stendere il fondotinta, proprio come Federica. Giulia però vive in un paesino, ha una famiglia modesta, una cameretta piccola. La sua imitazione è un riscatto e una lezione: su TikTok puoi diventare famosa alla vecchia maniera, cioè come su Instagram, esibendo look impeccabili e stili di vita invidiabili, ma anche se abiti in provincia, grazie alle intuizioni giuste e alla creatività. Come quella di mettersi alle dita delle mollette per simulare le mani e la gestualità innaturale delle tiktoker con le unghie lunghissime, sottolineando l’assurdità di queste manicure esagerate ma buone per attirare l’attenzione. 

I tutorial di make-up di Giulia Berettini sono spassosissimi, e soprattutto illuminano su quanto siano ridicoli quelli veri. Motivo per cui è stata accusata dai fan di Scagnetti di essere “poco rispettosa” e di imitarla per l’engagement; praticamente come se qualcuno avesse detto a Virginia Raffaele di smettere di imitare Belen. Comunque, sempre con il sorriso e senza mai farsi abbattere dai call out, ha deciso di non imitare più Scagnetti, provando altri formati e inventando imitazioni altrettanto efficaci di altri tiktoker. Sta portando avanti il surreale business delle “mollette personalizzate”, fa splendidi disegni e cerca di fidanzarsi con un rapper: Rondo Da Sosa è il suo preferito benché abbia già una storia più o meno seria con un’altra tiktoker, la bionda e unghiedotata Gaia Bianchi. Giulia Berettini ha trovato un modo sano per reagire a una vita che a volte può essere un po’ stretta, per non soccombere a una certa idiozia dei social e non cedere al ricatto “dell’invidia sociale”. D’altronde, ha un illustre predecessore: anche per Khaby Lame è stato così; da zero a più di 150 milioni di follower, primo nella classifica mondiale dei tiktoker, sorpassando bellissime ragazze come la ballerina Charlie D’Amelio e la cantante Bella Poarch. 

TikTok è diventato il nuovo Zelig e non a caso Prime Video ha scelto di fare il reclutamento per la prossima stagione di LOL proprio tra i tiktoker, in collaborazione con la piattaforma cinese. I nuovi comici non fanno più stand up comedy in localini con mattoni alle pareti, ma nascono nelle camerette, spesso piccole, strette, con una macchia di muffa all’angolo, caricando video su TikTok e facendo meta-ironia cioè prendendo in giro gli altri contenuti della piattaforma. Le spassose “reazioni mute” di Khaby Lame a certi content senza senso l’hanno fatto diventare il tiktoker con più follower al mondo. Le surreali mollette alle dita hanno portato Giulia, come dice lei, “a capo del globo”.


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Booktok, fabbricante di bestseller

Passare tanto tempo su TikTok non toglie tempo ai libri, anzi. Ma ridefinisce mode e percorsi di lettura.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Booktok, fabbricante di bestseller

I booktoker leggono libri che li fanno piangere come disperati. A libro finito, devono uscirne squassati dalle lacrime, lo stomaco sottosopra, psicologicamente devastati. E il tutto deve essere come al solito ben documentato in video-reaction o possibilmente avvenire durante una live di lettura. Questo sconquasso di sentimenti, il torcibudella algoritmico, garantisce un picco di engagement dei loro video e il rialzo nelle vendite di Amazon. Libri dalle copertine in cui fluttua sempre una leggera nebbiolina, con farfalle-cuori-lucchetti circonfusi di stelle, schizzano nelle classifiche di vendite, fino ad approdare alla posizione numero uno. Una specie di miracolo editoriale: TikTok fa vendere i libri ma poi uno su mille ce la fa, come Erin Doom. A dispetto dello pseudonimo è una scrittrice italiana, “emiliana”, “sotto i 30”, che si chiama “Matilde”, appassionata di fanfiction su Wattpad, finché non ha deciso di condividere gratuitamente il suo primo libro Il fabbricante di lacrime (nomen omen), poi comprato, editato e pubblicato da Salani. Non si sa chi sia, l’anonimato le consente di vivere una vita normale con in più in saccoccia i proventi delle 250mila copie vendute (anche il suo secondo libro, Nel modo in cui cade la neve, è stato un altro successo editoriale). 

Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia era diventato famoso nei primi anni Duemila grazie al passaparola e a delle fantomatiche fotocopie che giravano tra le mani dei ragazzi di Ponte Milvio. Oggi al posto di Ponte Milvio c’è la piattaforma cinese d’intrattenimento e al posto delle fotocopie montagne di video. I booktoker non sono poi così diversi dai bookinfluencer di Instagram o di YouTube, anzi spesso sono rimasti gli stessi, cambiando piattaforma. Hanno smesso di fare foto in palette, con tazzone fumanti di tè e biscotti al burro; riproducono incessantemente i formati più adatti a descrivere i libri, che comunque non sono tanti: libri che dovreste leggere almeno una volta nella vita, libri che nessuno conosce, libri letti in un mese, libri che ti faranno scordare di star leggendo. Perlopiù suggeriscono libri con storie fantasy, le evoluzioni delle 50 sfumature e della saga di Twilight, fiction para-storiche (come la Canzone di Achille di Madeline Miller, o I leoni di Sicilia di Stefania Auci), genere young adult o classici del tipo Cime tempestose, Il grande Gatsby e Jane Austen. La classica booktoker è una ragazza con gli occhiali, un’Albachiara di Vasco Rossi, che si punta addosso lo smartphone con la ring light accesa, e si filma per ore mentre legge appollaiata su una poltrona, con librerie strapiene sullo sfondo, ordinate per colore. 

Ci sono anche ragazze che riprendono solo le loro mani, con unghie lunghissime e decorate laboriosamente, mentre ticchettano su copertine Adelphi o sfogliano libri a cui hanno applicato un sacco di segnalibri e mini post-it colorati. Le unghie a tema Il fabbricante di lacrime sono un must, pittate in blu scuro e con farfalle applicate sopra. Un po’ si rifanno ai tiktok di scrapbook, video Asmr rilassantissimi, in cui si vedono mani che abbelliscono le pagine di quaderni ritagliando e incollando cartoncini, appiccicando sticker, passamaneria, perline, cospargendo il tutto di polverine glitterate, e aggiungendo alla fine piccole citazioni e frasi Tumblr, tipo “Non bastano gli occhi per vedere, serve un cuore in grado di guardare”, come recita il sottotitolo di Nel modo in cui cade la neve, copiando senza imbarazzo il mantra da Il piccolo principe. Sono pagine senza contenuto o meglio, esprimono un mood o l’aesthetic di “un giorno di pioggia”, “New York”, “l’autunno”. Un momento di relax prima di affrontare un nuovo libro che smuova le emozioni e faccia piangere “anche l’acqua del battesimo”.


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Che fine ha fatto “la prof di cörsivœ”?

Su TikTok, e fuori, la fama improvvisa legata a una trovata di successo può nascondere – con un filtro – tante difficoltà.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Che fine ha fatto “la prof di cörsivœ”?

Elisa Esposito, formalmente conosciuta come “la prof di cörsivœ”, ha vent’anni e già da uno è sull’ottovolante della popolarità grazie a TikTok. Popolarità ulteriormente accresciuta dopo una comparsa a Propaganda Live, chiamata a tradurre “in corsivo” un discorso di Giorgia Meloni. L’intento degli autori della trasmissione era una tiepida satira rivolta a quella che a giugno non era ancora la prima donna italiana Presidente del Consiglio; l’effetto è però stato quello di proiettare Elisa Esposito nella competizione tra famosi di serie C, con tutte le controindicazioni del caso, compreso il guadagnare tanti nuovi hater. Elisa Esposito è una bella ragazza e TikTok le ha dato il modo di mostrarsi e ricevere quell’attenzione che andava cercando, ma è anche una ragazza “con delle fragilità” – direbbe Federica Sciarelli – e TikTok non le ha sicuramente dato gli strumenti, né la protezione, né un’educazione, per resistere all’impatto con il diventare famosi di botto, senza nessuna qualità in particolare se non quella di storpiare le parole ed essere sufficientemente sexy. Delle sue fragilità sta iniziando a parlare lei stessa nei suoi ultimi video, ammettendo di usare FaceApp per abbellirsi i connotati o che stare su OnlyFans (app dove condivide contenuti “per abbonati”) è un’esperienza degradante, che rovina la reputazione e i rapporti con gli altri. In questi video le cade la maschera da sbruffoncella precedentemente indossata, quando invece si vantava dei guadagni che le venivano da OF e dove esibiva una certa spregiudicatezza “da grande” che poi nella realtà non ha.

La community di TikTok, benché composta da utenti giovani, può essere più severa di un genitore: non le ha perdonato il fatto che è considerata dai boomer “quella che ha inventato il corsivo”, quando invece lo ha solo reso popolare con il personaggio della professoressa procace. Non ha apprezzato la sua comparsa su una copertina di Vanity Fair dedicata ai “nuovi influencer”, dove compare senza i filtri di FaceApp e ha una faccia effettivamente sbattuta e spaurita, da cerbiatto in mezzo alla strada di notte: lei stessa ha poi ammesso di aver avuto una crisi di pianto prima dello shooting. “Prenditi la responsabilità di quello che fai”, le dicono nei commenti. O le rinfacciano di essere “ignorante come una capra”, dopo il video in cui le tendono una trappola e con cui si scopre che non conosce Dante Alighieri (ha poi ammesso che la sua carriera scolastica non è stata delle migliori). Che impatto può avere sulla psiche di una ventenne una piattaforma che ti dà attenzione e successo, ma anche umiliazione e degradazione? 

Chi non è su TikTok probabilmente non sa che Elisa Esposito ha anche un fidanzato tiktoker che rivendica continuamente la paternità della “prof di cörsivœ”, lasciando intendere che lei non sarebbe mai stata capace di inventarsi niente. Nei video che fanno in coppia propongono sempre lo schema “lui che la prende in giro, lei che abbozza”. Elisa sta allo scherzo, si capisce che è molto innamorata, forse dipendente da lui più del dovuto: però che strano TikTok che ti mette davanti una coppia di giovanissimi, rendendo chiari i contorni della loro relazione, che pretendono di avere in mano le chiavi della narrazione della loro vita (come le grandi coppie dello star system) e invece no. Dopo l’estate, Elisa e il suo ragazzo si sono lasciati per qualche settimana e l’hanno raccontato in una serie di video. Poi sono tornati insieme, lei dicendo che si erano lasciati per davvero, lui dicendo che era “un esperimento sociale per l’hype”. Forse non cogliendo che le cavie dell’esperimento sono lui, lei e la loro relazione, data in pasto a una piattaforma di intrattenimento per l’hype.


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Storia “svergognata” di Rita de Crescenzo

Dal passato equivoco agli spettacoli con la canzone virale e ai negozi brandizzati, un percorso eccessivo e formidabile.


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Rita de Crescenzo è diventata famosa su TikTok grazie a un’elaborata intro in cui annuncia se stessa, momento apicale nel festeggiamento di un compleanno o di una prima comunione, con un’inconfondibile voce dal proscenio che prelude al suo arrivo: “Chiappareeella… fiocco di neveee…”. È il momento in cui al bambino viene tolta la benda e lo vediamo che sgrana gli occhi, più dalla paura che dalla sorpresa, e poi appare lei, Rita “la svergognata”, travolgente forza della natura che sale su un palco improvvisato per cantare la sua hit: “O’ bacin / O’ culett / O’ tacatà, o’ tacatà / Po’ rion / Svergognata!”. La canzone, che si intitola “Ma te vulisse fa’ ‘na gara ‘e ballo?”, 5 milioni di visualizzazioni su YouTube e commenti disattivati, non solo potrebbe essere un ottimo esergo per il prossimo libro di Elena Ferrante, ma è anche un inno alla rinascita e al “ricominciarsi”, come dicono certe influencer che hanno piantato il loro business nell’empowerment femminile. Solo che Rita de Crescenzo è partita davvero dal basso del rione per trovare il riscatto su TikTok-Napoli, vera fucina di creatività e rampa di lancio per l’accesso alla notorietà nazionale. 

Su di lei si sono fiondate Le Iene e Fabrizio Corona, si è già parlato di partecipazioni a programmi tv popolari. Ma Rita, prima di tutto e con estrema accortezza, ha re-investito il gruzzolo guadagnato con il social dei giovani aprendosi un negozio in Corso Garibaldi a Napoli che si chiama come il suo nom de plume, “Svergognata”, e per l’inaugurazione si è vestita di bianco e si è messa una corona in testa, definendosi “Queen di Napoli”. Nel negozio, tra l’altro, non vende nulla di diverso rispetto a qualsiasi altra influencer più o meno presentabile o rinomata di lei: assortimento di bigiotterie, lip gloss con luce al neon incorporata, patch labbra volumizzanti (che lei chiama “i bucchin”), diari e altra cartoleria per bambini, profumi che si chiamano “Fiocco di Neve” e – ovviamente – “Svergognata”, e altri prodotti che “arrivano da Milano” e sono “tutti in regola”, come rimarca con inusitata frequenza nei video. 

La prima cosa che prova a fare il tiktoker che riesce a racimolare abbastanza soldi e reputazione è aprire bottega. Come ha fatto Greta Santarelli, altra TikTok-star con quasi 3 milioni di follower, che a Roma ha aperto il vezzoso “Pink Babol”, brand di grande successo soprattutto tra le “amiche pink”, una community composta da casalinghe partenopee e ragazzine con molto tempo libero, che amano decorare la casa e sé stesse in total pink, e che si riconoscono perché vicino al loro nome hanno l’emoji “fiocco rosa”. Così ha fatto anche Rita de Crescenzo alla ricerca di riscatto sociale e legittimazione nazional-popolare. I suoi look eccentrici, una fisicità formidabile e una sguaiatezza che non si sentiva dai tempi di Wanna Marchi fanno di lei una grande regina del trash, riconosciuta dalle community amanti del genere, che l’hanno immediatamente innalzata a icona e meme. Così amata, che i social continuano a passare sopra certi piccoli fattacci del passato, un presunto spaccio di droga e i presunti legami con la camorra, per inserirla nel carnet di personaggi “buoni”, che non fanno male a nessuno e si prendono anzi cura degli altri, e forse proprio per questo motivo spesso finiscono tra le forche caudine di invidiosi, racchie, questori in malafede, nonché “di tutto il quartiere” che l’acclama quando tutto va bene ma non la difende quando le va male. La vita per Rita è “A gar e ball tu cu me nu può fa”, pura sceneggiata napoletana contaminata di pop e trash dei reality, grottesca, disperata ma vitale.


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Quegli strani video da Tiktok Cina

In mezzo al flusso inesauribile di content, a colpire l’attenzione può essere un misterioso squarcio sulle campagne cinesi.


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Ogni tanto nei “Per Te” di TikTok spuntano degli insoliti video ambientati in Cina o in altre zone dell’Asia. A volte sono ambientati in appartamenti, dove si aggira una giovane ragazza asiatica che interagisce con vari aggeggi e ammennicoli sparsi per casa, in una specie di esposizione interattiva di merce da comprare (come nel trend “What does Asian women do when her getting home from work”). Altre volte, i video sono ambientati in zone rurali e l’allure è la stessa di una puntata di Linea verde: si vedono agricoltori che promuovono prodotti locali, anziane signore che cucinano piatti della tradizione, ragazzi di bell’aspetto che zappano l’orto, ragazze ruspanti che si alzano all’alba per dare il mangime alle galline. Sono insoliti perché spezzano un flusso di contenuti all’Occidentale, come un salto al ristorante cinese nel mezzo di una settimana di dieta mediterranea. Di questi video, Limes aveva dato un’interpretazione geopolitica: sono destinati soprattutto a Douyin, la versione cinese di TikTok, e servono a rendere le campagne più appealing ai giovani e a rilanciare il lavoro artigianale e le tradizioni popolari; insomma, sono funzionali alla propaganda interna cinese. Molti di questi video però, finiscono anche su TikTok occidentale, dove il loro potenziale virale rimane inalterato, benché nel passaggio si perda il contesto. Infatti, non si capisce mai bene chi sia il content creator, se esista davvero o se sia solo un attore che si muove su un set. Gli stessi video poi compaiono su account diversi, per cui è anche difficile risalire all’originale. La carenza di informazioni, che si unisce alla curiosità, che si unisce a una certa indecifrabilità zen, catturano l’attenzione dell’osservatore occidentale che ne rimane un po’ perturbato, un po’ cringiato, ma molto rapito.

È il caso dell’account di Anh Hiệp, nessuna informazione personale in bio, solo un link che rimanda a YouTube (e rilancia gli stessi tiktok del profilo). Una sequenza di video con la protagonista che ripete più o meno sempre lo stesso schema: entra in casa (probabilmente è di ritorno da lavoro), appende la borsa a un gancetto, infila una presa della corrente in una ciabatta, accende un piccolo ventilatore, beve dell’acqua da una teiera sbeccata. Poi inizia a cucinarsi la cena usando un vecchio cuoci-riso arrugginito, con ricette che prevedono sempre abbondanti dosi di olio di semi, cipolla e peperoncino. Il viso della ragazza è imperturbabile: anche se apparentemente vive in un cubicolo di 5 metri quadri, non sembra crucciarsene troppo, anzi mostra solo una moderata soddisfazione alla fine della ricetta. A rendere ancora più strana la situazione c’è una canzone in lingua tedesca, sempre la stessa, usata come sottofondo; si tratta si “Aloha Heja He” di Achim Reichel, del 1991, a quanto pare molto famosa sul TikTok cinese, come certificato dal primo commento che un utente asiatico ha lasciato su YouTube: “non ne capiamo una parola, ma dalla melodia intuiamo sia un inno alla libertà”, anche se è una canzone in tedesco che parla di viaggi. 

Nel frattempo, Anh la ragazza asiatica del profilo strano, eviscera le anguille che si è evidentemente pescata da sola aiutandosi con una mannaia, su di un tagliere di legno che è tale e quale a quello che usa Giorgione. C’è un aggettivo molto specifico per descrivere tutto questo: lynchiano. Sono situazioni che sembrano familiari invece aumentano un senso di estraneità, accentuato dalla ripetitività dei gesti, dall’imperturbabilità dei visi, dalla quantità smodata di cipolle affettate e peperoncino usato, dalla colonna sonora bizzarra, dal dubbio che chissà quale trama geopolitica ci sarà mai dietro.


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Bepop e Bebe e l’estetica true crime

Una mamma, una bambina, e tutta l’estetica dell’inquietudine dei film americani. Trappola o realtà?


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“Se siete sensibili, continuate a scorrere!”. Così inizierebbe il video di uno dei tanti tiktoker che si occupano di true crime, prima di raccontare un caso di cronaca nera particolarmente truce ma ottimo da tenere in sottofondo mentre si sbrigano le faccende di casa. Questa è la storia di Bepop e Bebe, l’account apparentemente normale di una mamma e di sua figlia. La bambina ha le ciglia finte, i capelli scuri piastrati o raccolti in elaborate acconciature, le unghie ben pittate. La mamma ha i boccoli biondi, un punto bianco disegnato sul naso tipo sbuffo di cipria, indossa spesso salopette. Nei loro video non fanno niente di speciale, balletti, recite, lip synch neanche troppo accurati, e l’ambientazione è sempre la stessa, la cameretta della bambina arredata in puro stile americano. C’è un sovraffollamento di oggetti in sfumature di rosa e viola, moquette anch’essa rosa, peluche di animali esotici, coppe che si vincono ai concorsi di bellezza per bambini, cuscini colorati, lucine di Natale. L’intera struttura narrativa si regge su questa estetica, che rimanda ai complotti sul mondo Disney, ai film horror con i bambini, che loro interpretano con particolare efficacia, tra il creepy e il cringe

In virtù di questo, sono piombate al centro di una delle cospirazioni più inquietanti di TikTok, cosa che le ha portate a collezionare quasi 5 milioni di follower. Sono state rapite e costrette a girare video? Sono vittime del traffico di esseri umani? C’è un fratello cattivo che le tiene chiuse in casa? “Vestitevi di verde nel prossimo video se siete in pericolo!”, scrivono gli utenti nei commenti (solo che poi ce ne sono altri che scrivono “vestitevi di rosso/giallo/blu”). E Bepop e Bebe magari non si vestono del colore richiesto, però inseriscono l’emoji di un teschio e un cuoricino verde, fanno un gesto che potrebbe essere quello di aiuto, storpiano le parole di una canzone e invece di dire hey, forse dicono help. Suggestioni e rimandi che all’inizio erano involontari ma oggi lo sono molto meno. Per cui, capito che l’estetica true crime paga, ecco comparire nella stanza un armadietto a forma di bara rosa, ecco che la bambina recita la parte di una morta avvelenata.

Dopo YouTube e i podcast, TikTok ha dato un’ulteriore spinta al true crime; è il posto giusto per partecipare in prima persona alle indagini, dando contributi come: monitorare utenti sospetti, sgamare i fake account, scandagliare nel dettaglio video, audio e post alla ricerca di qualcosa da screenshottare e portare come indizio, se non come prova certa di qualche crimine in corso. Se c’è una cosa che ha insegnato questo genere di grande popolarità, infatti, è che la polizia non è mai capace di indagare come si deve, motivo per cui bisogna continuamente vigilare, anche per dare un senso e una giustificazione morale al consumo culturale di orrendi delitti. La sensazione è che Bebop e Bebe siano la versione tiktokkizzata della tragica storia di JonBenét Ramsey, bionda reginetta dei concorsi di bellezza per bambini, trovata morta nello scantinato di casa il giorno di Natale, e di sua mamma (bruna) accusata dell’omicidio, e poi assolta (è un caso ancora non risolto, senza assassino né movente, con milioni di ipotesi mai provate). Provate a risolvere il caso o altrimenti, se siete sensibili, continuate a scorrere.


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Carlotta Fiasella, la vita in palette

Piccole Chiara Ferragni crescono, e stavolta non si servono più dei blog e di Instagram ma dei video di TikTok.


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Se il nome di Carlotta Fiasella non vi dice nulla è perché non avete più vent’anni. Fa parte della nutrita schiera di giovanissime con milioni di follower su TikTok, insieme a Federica Scagnetti, Alessia Lanza, Valeria Vedovatti, Pamela Paolini e molte altre. Sono le cugine piccole di Chiara Ferragni che durante la pandemia, per noia e per passare il tempo, si sono puntate addosso la videocamera del loro smartphone e hanno iniziato a raccontare se stesse. Come Ferragni, anche Fiasella è bionda e con gli occhi blu, viso angelico, con in più una vocetta da bambina. Insopportabile per alcuni, rilassante per altri: accumula views sussurrando il racconto delle sue giornate, fatte di vestiti da coordinare, skin care, balletti e studio (studia Economia e vorrebbe diventare influencer manager). È stata benedetta dall’algoritmo, diventando un punto di riferimento per la generazione Z italiana, grazie a una rubrica ispirata a un trend americano, che consiste nello scrivere al partner di un’amica per scoprire se sia un traditore. Benché questi video abbiano attirato anche critiche, lei ha detto di farlo con lo scopo di “aiutare le persone a porre fine alle loro relazioni tossiche”.  

È così che si diventa noti su TikTok: perché si riprende un trend e lo si interpreta nel modo giusto che lo fa esplodere. Le tiktoker, a differenza delle influencer di Instagram, non hanno corpi pazzeschi stile Kardashian, non sono ossessionate dall’inquadratura perfetta, risultano anche un po’ goffe quando si tratta di fare i branded content. Sembrano più state scartate da casting per una serie televisiva di Disney Channel e hanno tutte le unghie assurdamente lunghe e laboriosamente decorate per fare gli ASMR. Sono tutte brave ragazze di buona famiglia: si impegnano nello studio, fanno sport, hanno tanti amici e un fidanzato paziente, fanno le vacanze in Costa Azzurra o Smeralda. E hanno tutte la sindrome della cocca di papà: se faccio la brava, sarò amata. Vite sempre “in palette”, documentate da foto su foto e video su video. Così è anche Carlotta Fiasella, senonché tra un balletto e un lip-synch, un video di make-up e uno in cui fa vedere l’outfit per uscire con il fidanzato, ne può capitare uno in cui la tiktoker piange e si dispera, sempre adorabile, con gli occhioni azzurri gonfi di lacrime e il mascara sciolto. 

È il momento in cui la “vita in palette” va in frantumi e si intravedono scorci di realtà inaspettatamente cupi: la tiktoker confessa che non è tutto perfetto come sembra, che ci sono dei giorni in cui qualsiasi cosa le fa schifo e che è sempre sul punto di “ricadere nel problema”. La mania di controllo, l’ansia e il desiderio di essere amata da tutti si traducono appunto “nel problema”, cioè DCA: disturbi alimentari, anoressia, binge-eating. Parlarne su TikTok da un lato è la cura (che però assicura visibilità), dall’altro è una specie di ricatto nei confronti di commenti critici o semplicemente “non adoranti”. L’importante lezione che ne viene fuori è che, anche se nella vita si seguono in modo scrupoloso le regole dell’armocromia, non è possibile avere un controllo serrato. Né della realtà, né delle dinamiche social.


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L’epopea di Natasha e Jenny

Se Matt Groening scrivesse oggi i Simpson, forse prenderebbe ispirazione da una certa famiglia calabrese.


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L’imperscrutabile algoritmo di TikTok ha deciso che le regine social dell’estate 2022 dovevano essere due sorelle calabresi, Natasha e Jenny, con i loro tormentoni ripetuti a ogni video: “Oggi mio padre per colazione ha comprato…” e “A Jenny piace…”. Natasha, oltre a essere la sorella maggiore, è la voce narrante e la regista della saga dei Martino, una normalissima famiglia calabrese, di quelle che puoi ritrovarti come vicine di ombrellone e che tirano fuori la borsa frigo a mezzogiorno in punto. Di questa famiglia ci siamo fatti un’idea solo guardando i TikTok in cui Naty, cantilenando con le zeta sonore e le vocali aspirate, descrive cosa mangiano a colazione, pranzo e cena. Il punto centrale della serie è quindi il cibo, ma in chiave diversa, a smontare una certezza che ci eravamo costruiti in questi anni su internet, cioè che tutti gli italiani sanno cucinare e mangiare bene. I Martino cucinano male e hanno una dieta tremenda fatta di panini, insaccati, fritti e wurstel: sono l’incubo di ogni esperta Instagram di wellness, uno schiaffo in faccia ai superfood, ai grani antichi e agli avocado toast che ci hanno propinato per anni. 

I video in cui i Martino mostrano le loro ricette di famiglia sono un film dell’orrore: nessuno di loro si è preso la briga di vedere un tutorial online dove insegnano a fare la carbonara o la pasta al pesto. Semplicemente le cucinano “a modo loro” e per quanto li riguarda va benissimo così. Il pesto è basilico e olio frullato con il minipimer dentro una scodella, la carbonara una specie di spaghetti con frittata, a cui qualcuno aggiunge dopo del parmigiano o del salame piccante. Gli ingredienti chiave? Capicollo, provola e cringe. Gli utenti nei commenti escono pazzi, si pongono incessantemente delle domande: ma quanto spende al mese il padre di Natasha e Jenny per le colazioni a base di pizzelle, arancini e per i panini al mare? Ma la mamma non cucina mai? Ma saranno davvero calabresi? Il vero nome di Jenny è Gennarina? In più ci si preoccupa per la salute del terzo fratello, Salvatore, a cui non piace niente se non i wurstel che gli mettono ovunque, dentro i panini e sulla pizza fatta in casa.

La saga di Natasha e Jenny è magnetica. Nessuno riesce a smettere di guardarla, tutti non vedono l’ora di vedere quale sarà la loro dieta autunno-inverno. Parte del successo è dovuto alla voce di Natasha e al modo flemmatico con cui unboxa arancini e panini con capicollo e provola. Sono video estremamente semplici e amatoriali, con basi musicali scelte senza starci troppo a pensare. Su TikTok può diventare virale gente comune, normale, reale che però non era mai stata raccontata sui social. Trova quindi la sua rivincita e dignità anche una famiglia calabrese, che si commuove alla processione della festa di paese, che compra bibite gassate al discount, mozzarelle sottomarca, fettuccine ai funghi surgelate. È la rivincita di due sorelle che si fanno i tatuaggi temporanei in regalo con i Polaretti e le unghie dall’estetista vicina di casa. Alla fine invidiamo questa famiglia dove tutti collaborano, tutti si danno una mano, tutti vanno d’accordo e sorridono. La gioia nelle piccole cose è questa: non l’avocado toast, non una casa arredata sui toni del beige a cui è stato fatto decluttering e nemmeno i party a bordo piscina dove si sbocciano bottiglie di rosé. Sono i panini al capicollo mangiati in spiaggia, davanti al mare trasparente.