Cartoline dalla pandemia vol. 1

I canali di Venezia limpidi


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          I canali di Venezia limpidi

C’è stato tutto un filone romantico secondo il quale la natura approfittava del lockdown per riprendersi i suoi spazi. Il senso di colpa cristiano, misto al desiderio di dare la colpa di quanto stava accadendo a qualcuno, ha comportato che il nuovo coronavirus, secondo molti, è da interpretare come una vendetta della natura. E si gioiva per i canali limpidi, per l’Himalaya visibile da lontano (dove prima non lo era per via dello smog) e per le volpi e i cinghiali che scorrazzavano ovunque. La necessaria ricerca di una responsabilità, sicuramente lo sfruttamento eccessivo delle risorse del pianeta come raccontato nel best-seller della pandemia, Spillover, si è tramutato nel solito tic religioso di dare un senso a qualcosa che ci sfugge. Ma poi, come al solito, se la natura proprio avesse voluto darci un insegnamento non avrebbe potuto essere più chiara? E siamo, poi, certi che, superato il Covid-19, il mondo sarà più rispettoso dell’ambiente? Perché ho il sospetto che il desiderio di ripartire più velocemente possibile ci renderà ancora mento attenti. Anche se in attesa della prossima lezione, si capisce.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Gli esports


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Gli esports

Il vero tracollo di ascolti lo hanno subìto le reti sportive. Con tutte le attività ferme, non restava altro che provare a rilanciare la nostalgia. Qualcosa, all’inizio, ha funzionato, ma alla lunga il gioco non poteva reggere. (Caso a parte Rai Sport che ha propinato repliche di eventi vecchi di quarant’anni fa, totalmente a caso, senza un minimo di cornice o aggiornamento, esperienze che potevano diventare davvero lisergiche tipo le ultime due ore della Sanremo del 1971 o il meeting di atletica di Rieti del 1987). L’unica cosa che ha trasmesso un po’ di vivacità sono stati gli eventi di giochi virtuali combattuti dagli stessi sportivi. È un mercato in espansione, ma adesso ci si sono avvicinati anche i non nativi digitali. I tornei di giocatori Nba e di calciatori europei sono stati notevoli. Ma la cosa più appassionante sono stati i Gran premi. Segnalo il video di un Lando Norris che urla furente perché mentre sta conducendo un Gran premio virtuale salta la connessione internet ed è eliminato. Ah, Leclerc sulla Ferrari ha anche vinto un paio di corse. A giudicare dai primi risultati, forse le uniche che vincerà quest’anno.


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Il tizio dell’Avigan


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Il tizio dell’Avigan

Il coronavirus ci sembrava così alla portata — se somiglia a un raffreddore, se dicono che è poco più di un’influenza — che le persone aspettavano che la cura arrivasse da Whatsapp o da qualche catena di Sant’Antonio sui social, e la spinta è stata tale che lo Stato ha dovuto avviare ricerche apposite per venire incontro ai gruppi Whatsapp nonostante questi raccontassero balle macroscopiche. Il caso più noto è stato quello del farmaco giapponese che, secondo il suo reclamizzatore poi perfino fondatore di movimento politico, stava assicurando benessere al Giappone. Sappiamo com’è andata. Ma sappiamo anche che chi credeva all’Avigan non è dovuto andare a nascondersi, né il tizio della bufala, né – molto peggiori – i vari mestatori televisivi che l’hanno rilanciata.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Travis Scott su Fortnite


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Travis Scott su Fortnite

I ragazzi hanno dovuto adottare da zero un metodo di insegnamento diverso. È vero che ci sono stati molti problemi e ingiustizie, per via dell’iniqua disponibilità di connessioni e dispositivi, ma per chi ne ha avuto le possibilità l’esperienza sarà di quelle che saranno raccontate negli anni a venire. Portare i professori in un territorio in cui non erano, la maggior parte, a proprio agio come in classe ha liberato moltissime energie. E poi quegli stessi device su cui al mattino ci si divertiva a chattare di nascosto diventavano nel pomeriggio luogo di incontro per giochi virtuali. L’esperienza di gioco comune è stata prediletta da molti anche per coprire la mancanza di contatti reali. Fortnite è stato uno dei giochi di maggior successo, ma in Italia persino il Risiko online ha vissuto un boom enorme. Nel bel mezzo della pandemia Travis Scott ha realizzato uno show virtuale su Fortnite, incredibile per cura e fantasia. E poi Epic Games (l’azienda di Fortnite) si è sentita tanto forte da poter persino litigare con Apple e Google.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

La caccia al runner


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          La caccia al runner

Abbiamo cercato a lungo un capro espiatorio. Abbiamo usato, seriamente, la parola untore. Abbiamo convinto le persone a casa che abbuffarsi durante il lockdown fosse sano. Forse perfino più sano di fare un po’ di attività fisica. Abbiamo impedito ai ragazzini di uscire di casa per mesi, perché una passeggiata non era consentita. Abbiamo impedito ai professionisti dello sport di farsi una corsetta perché il clima di odio li sottoponeva a bordate di insulti dai balconi. Abbiamo letto quotidianamente di quanti erano beccati a forzare la quarantena (percentuali ridicole, ma ci indignavano). E per finire abbiamo creato un format di forze dell’ordine che inseguivano runner colpevoli di essersi allontanati troppo da casa. Sulla spiaggia, orrore! Poi, poche settimane dopo, quelle regole ferree sono saltate. Di colpo. Con ogni tipo di assembramento incontrollato nonostante i divieti. Le mascherine obbligatorie solo sulla carta. E tutta la severità, la forza e il rigore sono stati rimossi come solo un bravo analista potrebbe spiegare.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Andrà tutto bene


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Andrà tutto bene

Al di là dei numeri assegnati alle fasi della pandemia, esistono molte più fasi, personali o anche comuni, che abbiamo affrontato. Una delle prime è stata quella del canto dai balconi. Ho anche io il sospetto di Natalia Aspesi, e cioè che in realtà i canti dai balconi siano diventati pandemici per via dei social e dei media, ma in realtà il fenomeno sia stato più limitato. Eppure, è uno di quei momenti che faranno parte della nostra memoria anche se poi, a pensarci bene, qualcuno che ha cantato davvero non l’abbiamo visto o sentito di persona. Io no, almeno. E non conosco quasi nessuno a cui sia capitato. Di striscioni ne ho visti, invece, molti. Ancora in piena estate, prima della risalita, se ne vedevano spuntare diversi. Stanchi, stracciati, scoloriti. Incoraggiamenti spenti, non vessilli di vittoria. Riesce facile immaginare il genitore esausto che non ha il coraggio di dire ai figli di rimuoverlo. Fosse anche solo per evitare la conversazione. Possiamo star certi che qualcuno resterà fino a quando ce l’avremo fatta davvero, anche se chissà a quale prezzo. Alcuni detestano lo slogan perché lo trovano poco sincero. Non hanno torto. Però forse la confusione è dovuta al fatto che leggono nello slogan una pretesa profetica mentre anche loro, se stessero male, preferirebbero qualcuno che li incoraggiasse dicendo “andrà tutto bene”. 


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Gli stadi vuoti


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Gli stadi vuoti

Tra le polemiche dimenticate in fretta, c’è quella per cui far ripartire il campionato e le coppe sembrava un capriccio di pochi esaltati, preoccupati pochissimo della salute dei tifosi o di quella dei calciatori e molto di non perdere altri soldi. Invece la coda del campionato non sarà stata uno spettacolo esaltante, ma è scivolata via senza troppi patemi sul piano sanitario. A luglio, anzi, quando spiagge e discoteche si riempivano e la gente rinunciava alle mascherine, e passeggiando per strada sembrava quasi non fosse successo nulla, vedere gli stadi ancora vuoti funzionava come potentissimo ex voto. A ogni voce di calciatore e a ogni rimprovero di allenatore rimbombanti in uno stadio deserto non potevi che ricordare immediatamente quanto era successo e, nei migliori dei casi, dare perfino, finalmente, il giusto peso alla partita che stavi guardando. 


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Gli studi vuoti


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Gli studi vuoti

Si è sentito moltissimo quanto conti il pubblico in studio. Quanto i programmi abbiano una musica fatta dai tempi che impongono gli applausi, le risate, le reazioni. Invece i comici dovevano fare i conti con il silenzio (abituati a credere che il silenzio significhi inefficacia delle gag). I quiz non avevano il ritmo della suspense del pubblico. Tutto sembrava ovattato, come in un acquario. Pur se continuamente dileggiato, o comunque poco considerato, si è scoperto quanto, invece, il pubblico in studio serva sia ai conduttori sia agli ospiti sia al pubblico a casa (di cui è una sorta di specchio). Forse solo nei talk show più litigiosi veder scomparire la claque ha migliorato il risultato.


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Harry Potter


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Harry Potter

Giacché chi non aveva un cane poteva uscire solo per fare la spesa, mangiare e cucinare sono diventate le sole attività diverse e piacevoli in giornate che si ripetevano identiche. Molti si sono rifugiati nel comfort food per placare l’ansia. E nella stessa zona comfort hanno aggiunto i comfort movies. Ognuno ha i suoi, certamente, ma tra le poche occasioni sfruttate dalla vecchia tv c’è il successo di Harry Potter su Italia 1 (vincendo più volte la prima serata). I servizi di streaming potevano offrire cataloghi più vasti, ma solo la tv generalista può offrire ancora la possibilità di convogliare i discorsi sullo stesso evento (fosse anche una replica). In un momento in cui si cercava qualsiasi occasione per socializzare alla nuova maniera è un peccato che il successo di Harry Potter sia rimasto un exploit isolato.


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Il bollettino delle 18


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Il bollettino delle 18

Era diventato il nuovo rito nazionale e le giornate ruotavano attorno a quel momento, nell’attesa dei numeri. Solo quando l’appuntamento è saltato abbiamo capito che le cose andavano meglio. È stato notato che, durante la pandemia, la cosiddetta “stan culture” (fan tanto appassionati da assomigliare agli stalker) si è ulteriormente accentuata, ed è curioso che perfino alcuni personaggi che si alternavano nella conferenza stampa hanno costruito un proprio seguito di fan. C’era chi si disperava quando mancava Locatelli, e chi gioiva per l’assenza di qualcun altro. Ancora adesso, pur se il bollettino arriva a un altro orario e solo scritto, resta l’uso di definirlo il bollettino delle 18. Sapere che in altri paesi, dove arriva nel primo pomeriggio o più a ridosso di cena, o dove addirittura non arriva nei weekend, ci fa sembrare che manchi qualcosa. Che le 18 siano l’orario giusto. Non troppo a ridosso della cena, ma neanche che ti lasci l’ansia, in caso di cattive notizie, per tutto il pomeriggio.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Tiger King


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Tiger King

Esisteranno sicuramente dati affidabili per dimostrarlo, ma anche solo attraverso l’esperienza diretta in molti si sono accorti che, nel vuoto di programmazione della generalista e in quello offerto dall’improvvisa abbondanza di tempo libero, hanno prosperato i servizi di streaming. Magari non per vedere Tiger King, ma perfino gli anziani, ultimi giapponesi della generalista, hanno cominciato a prendere l’abitudine a scorrere i cataloghi svogliatamente, in attesa dell’illuminazione. Nelle bolle Il buco o Unorthodox l’hanno fatta da padrone, più probabilmente la nuova stagione di La casa di carta avrà fatto i numeri che piacciono agli investitori. Resta il fatto che per la vecchia tv poteva essere una grande occasione di riavvicinamento del pubblico, soprattutto quello più giovane, invece è stata fatta incetta di platea (tanta gente davanti alla tv non si vedeva da anni, pur costretta), ma possiamo tranquillamente escludere che si sia riavvicinato realmente qualcuno. L’assenza totale di novità, comprensibile ma poco giustificabile, si è accompagnata a una ben più grave assenza di empatia verso un pubblico spaventato dalle notizie e blandito malamente solo da repliche a getto continuo, senza alcun filo logico.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

La pubblicità Barilla


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          La pubblicità Barilla

La commozione, il bello di essere italiani, i canti dai balconi, il tricolore, torneremo ad abbracciarci, a un certo punto il confine tra messaggio politico, motivazionale e pubblicitario si è smarrito del tutto. Sono nate “le bimbe di Conte” e anche i più cinici si commuovevano per la scala di do della pubblicità della Barilla ritirata fuori dai nostri ricordi per l’emozione del momento. Come sempre il guaio è che anche fuori dalla retorica erano davvero le poche cose a cui potevamo aggrapparci.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Grafici


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Grafici

A un certo punto leggevamo il futuro nei grafici come fossero tazzine da caffè, pregando e sperando che la curva scendesse, parlando continuamente di picco, più picchi, curva in ritardo di due settimane e via dicendo. C’è stata un’esplosione di esperti di grafica, grossa almeno quanto quella dei virologi. Con la differenza che di virologia solo pochi si azzardavano a parlare, e con molte premesse. Di grafici, improvvisamente, sono sembrati tutti maestri. Perfino chi ha sempre parlato di necessità di dare la parola agli esperti si è inventato, d’improvviso, più esperto degli esperti. La paura gioca brutti scherzi. 


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Gli sfondi delle camerette


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Gli sfondi delle camerette

La difficoltà di avere ospiti in studio ci ha ricordato quanto conta la presenza fisica dell’ospite in studio. E perché i talk show non girano, in tempi normali, con i collegamenti. Così, in breve tempo, i collegamenti sono diventati l’occasione per sbirciare nelle case degli altri, più che un’opportunità per ascoltare qualcosa di nuovo. Sulle librerie di Cate Blanchett, Tom Hanks, Carlo d’Inghilterra e altri ancora si è sbizzarrito il New York Times, che ne ha approfittato con alcuni articoli dedicati all’analisi certosina dei libri che sbucavano alle loro spalle. Qui da noi, più volgarmente, abbiamo imparato a riconoscere gli scrittori o i giornalisti dalla posizione del loro libro nelle loro librerie, i cantanti dalle pianole (male) o dagli studi di registrazione casalinghi (bene) da cui si collegavano. Abbiamo imparato pure a invidiare chi faceva il lockdown in case molto più grandi delle nostre e poteva permettersi di immaginare che, in fondo, tutti avrebbero trovato occasione per riflettere un po’, invece di intuire che in molte case ci saremmo scannati (perlopiù in senso figurato). Molte star hanno preso come impegno quello di convincerci a restare a casa. Da principio, il pubblico ha apprezzato. Ma presto il sentimento è cambiato e la frustrazione da spazi stretti è virata in un più rancoroso e sincero “la fate facile, con quella casa sarebbero buoni tutti”. Senza essere populisti, si può dire che nessuno abbia riflettuto abbastanza su quanto le case degli altri fossero diverse dalle loro? No, non si riesce.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Instagram


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Instagram

Quando restare a casa è diventato obbligatorio in molti si sono presi a cuore il compito di intrattenere. Un po’ perché la televisione italiana ha incassato il colpo del lockdown senza reagire, un po’ perché i tempi sono questi e il protagonismo non è una smania solo degli influencer affermati, e un po’ ancora perché tenere compagnia e ottenere compagnia sono strettamente legati. Perciò c’è stato un boom di dirette Instagram e affini. Non si sono cimentati solo professionisti, ma anche molti curiosi, aspiranti, sperimentatori. Musicisti che rinunciano ad apparizioni tv da milioni di spettatori si concedevano a dirette Instagram da 8.000 visualizzazioni. Allo stesso tempo, giornalisti culturali elevati dai quotidiani a maître-à-penser si dedicavano a dirette da 2 visualizzazioni (non è sarcasmo, ci sono prove). È stato un momento di grande invenzione, ma tra i formati davvero nuovi, con un futuro, ci sono forse solo Tutti a casa di Francesco Lancia e The Orchite Show di Fabio Volo. O, su un altro genere, le Decamerette.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

DPCM


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          DPCM

A chi, nello zapping da reclusi, non è capitato di arrivare su un canale che trasmetteva vecchie repliche in bianco e nero di programmi dal sentore di naftalina già per i nostri genitori, e trovarci sovraimpressa la scritta “programma registrato prima del DPCM del 4 marzo 2020”? Che fosse un film di Matarazzo, una macchietta di Nino Taranto o una replica del quartetto Cetra non c’era scampo: la scritta c’era. Il potere della macchina dello Stato, delle scartoffie e della burocrazia da noi si misura anche così.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Il virologo


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Il virologo

C’è stata una tale sovraesposizione di virologi, epidemiologi, infettivologi, medici vari che a un certo punto ho creduto, quasi allucinato, che tutti i programmi tv sarebbero stati virati sulla virologia. Niente più Masterchef ma Mastervirologo, una competizione tra studenti di medicina per trovare il virologo più talentuoso. Quattro laboratori: una sfida per trovare il miglior laboratorio, economico, pulito, con l’infermiera che non ti fa soffrire nell’effettuare un prelievo. Analisti da incubo, in cui esperti di statistica spiegano come realizzare un grafico efficace a chi si improvvisa esperto sui social. E via dicendo.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Gli addominali di Cristiano Ronaldo


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Gli addominali di Cristiano Ronaldo

Appena accanto al boom religioso c’è stato quello dello sport fatto in casa. I tappetini per lo yoga, adatti anche ai piegamenti domestici, sono il perfetto simbolo del connubio stretto tra queste due attività del corpo. Nonostante il governo italiano abbia fatto la guerra all’esercizio fisico e pubblicità a quel piccolo mondo antico familiare che si chiude in casa e non fa che mangiare – che bello, è finito il lievito! –, anni di abitudine all’idea che star bene sia muoversi non potevano evaporare in così poco tempo. I marchi hanno fatto sentire il loro potere invitandoci in ogni modo a comprare tapis roulant o vogatori o pesi o qualsiasi altro attrezzo che, lo sapevamo già, a breve sarebbe finito in cantina. Sfidandoci a raggiungere risultati simili a quelli che i loro atleti – rinchiusi come noi, ma in ville con palestra – stavano ottenendo. Ronaldo che guarda in camera mentre fa 120 addominali in quarantacinque secondi ci ha ricordato che, finalmente, ora avevamo del tempo a disposizione e con un po’ di impegno avremmo avuto addominali come i suoi. O, alternativa più semplice e gratificante, un prodotto marchiato simile al suo, ma che, addosso a noi, ci avrebbe fatto assomigliare a uova con uno straccio buttato sopra.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Il corteo di Bergamo


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Il corteo di Bergamo

È l’immagine della tragedia destinata a rimanere sui libri. Emotivamente ci siamo arrivati dopo un abuso sensazionalistico e irrazionale di metafore belliche. La lotta, la guerra, la battaglia, gli eroi, la trincea sono state tutte metafore che hanno invaso il racconto quotidiano e il nostro immaginario. Fino a farci credere davvero di aver imbracciato il moschetto e a invitarci a trovare nemici tra gli untori, i giornalisti, i medici allarmisti o minimizzatori. Quando sono apparsi i mezzi militari che scortavano i corpi senza vita fuori dall’obitorio abbiamo visto realizzata qualcosa che, fino a quel momento, era solo figurata. Ci ha spaventato ed è rimasta impressa per quello: credevamo di essere pronti, chiusi, nelle nostre trincee domestiche, con l’immagine mentale data dai paragoni con la guerra. E invece non lo eravamo affatto. Tuttora, e sarà così negli anni a venire, ogni volta che qualcuno, anche retoricamente purtroppo, proverà a dire che non possiamo dimenticare citerà questa foto.


Cartoline dalla pandemia vol. 1

Il Papa da solo


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Il Papa da solo

La coincidenza temporale della fase più dura della pandemia, almeno in Occidente, con la Pasqua ha fatto sì che questa foto, complice un ac- quazzone, rappresentasse allo stesso tempo la solitudine di ognuno e la disperazione per un mondo che non riconoscevamo più. La Chiesa, da sempre, racchiude più anime e la sua grande forza sta proprio in questo. Poteva biasimare tutti i figliol prodighi con un “ve l’avevamo detto”, e invece ha saputo mostrare una pietà bonaria: “lo sappiamo che alla fin fine, quando avete paura sempre qui tornate”. Con i luoghi di culto chiusi è diventato possibile misurare l’afflato religioso con lo share: gli ascolti del Rosario delle 18 da Lourdes trasmesso su Tv2000 lo testimonia.