Combat format

Psycho-Format

Trova l’intruso. La talpa, il sabotatore, l’infedele è al centro di alcuni tra i format più appassionanti della storia della tv.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Psycho-Format

Non capita spesso, a dire il vero. Ma quando i format inseriscono la marcia in più della componente psicologica il risultato può diventare notevole. I modi in cui tale dinamica è messa in atto sono vari. Qui ci limitiamo a prendere in considerazione quello più comune: il meccanismo del traditore (o del sabotatore). Si tratta di riuscire a intuire, all’interno di un determinato contesto competitivo, chi è che “rema contro” di nascosto dal gruppo, per prendere adeguati provvedimenti. Che è poi il meccanismo alla base dello “storico” The Mole/La Talpa (1998), utilizzato anche in format recenti appartenenti a generi diversi, tra cui per esempio lo psycho-cooking americano Rat In The Kitchen, lo psycho-dating giapponese Is She The Wolf? e lo psycho-game coreano The Black Sheep Game. Ma soprattutto nel format più importante in assoluto degli ultimi anni: lo psycho-reality The Traitors.

Tanto per cominciare è un format olandese del 2021, che ha conosciuto il successo internazionale dopo le due localizzazioni “gemelle” (ambientate nello stesso maniero scozzese) britannica (per Bbc One) e americana (per Peacock). Nella classifica dei format con più “versioni attive” (ovvero ancora in onda) nel mondo nel 2022 è al quattordicesimo posto (con 18 mercati in tutto); il risultato acquista un significato ancora maggiore se si pensa che è – di gran lunga – tra i format più recenti. Non a caso si è aggiudicato anche il titolo di fastest moving format del 2022, ovvero quello che ha avuto più adattamenti in Paesi diversi nel minor tempo. Ha vinto inoltre (tra i numerosi altri premi) il Rose d’Or (un po’ l’Oscar dei format televisivi) nella categoria “Best Reality & Factual Entertainment” del 2022, ed è stato nominato “Format Of The Year” (sempre per il 2022) da K7

Ma, alla fine, cos’ha di così speciale questo format? Non sono tanto le regole, intriganti ma non originalissime. 22 concorrenti (nella versione inglese) vivono in uno scenografico castello nelle Highlands scozzesi; sono quasi tutti “leali” (faithful), ma tra loro si nascondono tre “traditori”, che hanno il compito di sabotare – senza essere scoperti – il gruppo, facendo fallire le prove quotidiane e addirittura “uccidendo” alcuni concorrenti nel sonno. La cosa davvero notevole è un’altra: forse per la prima volta in un prodotto del genere si raggiunge il perfetto punto di equilibrio tra il senso di realtà tipico, appunto, dei reality e la tensione e l’atmosfera di una (bella) fiction.


Combat format

Funny games

In tv si gioca sempre e da sempre. E mentre il mondo si fa via via più minaccioso prevale il desiderio di leggerezza.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Funny games

In televisione si è sempre giocato, in ogni modo e in ogni forma, sin dall’origine del mezzo. Si gioca con i quiz, che prevedono domande di cultura generale, più o meno difficili. E anche con i light quiz, che non si basano tanto sulla cultura quanto sull’intuizione (I soliti ignoti, Guess My Age); o con gli alea, in cui conta solo la fortuna (Affari tuoi); o con i “musicali”, che non necessitano di spiegazioni (Name That Tune). E poi con gli action, in cui bisogna superare ostacoli di vario tipo (Takeshi’s Castle, per dirne uno). La tendenza recente è confezionare “gioconi” da studio basati su un concept semplice e immediato, allegri e privi di qualunque tipo di tensione, adatti per tutta la famiglia. Le domande, se ci sono, sono facili e poco impegnative, le prove fisiche sono divertenti. Si tratta di giochi in cui si ride e si scherza, tutto è all’insegna della leggerezza, la scenografia è coloratissima, quasi da cartone animato. Insomma, sono game show perfetti per tenerci al riparo dal mondo fuori così carico di nubi, e cullarci per un’oretta nella loro bolla di tranquillizzante serenità.

Fa parte di questo filone l’olandese Marble Mania, in cui alcune celebrity si affrontano in spensierate gare di biglie, caro ricordo d’infanzia per gli spettatori più attempati. Nell’anglo-giapponese Stacking It! i concorrenti devono cercare invece di fare pile più alte possibili di oggetti, in condizioni che si fanno via via più precarie. Più recente è The Big Bang (ancora dalle terre olandesi), in cui tre coppie di vip devono rispondere a semplici domande e simpatici problemi mentre affrontano un divertente percorso a ostacoli pieno di palloncini da scoppiare a più non posso: chi fa esplodere l’enorme pallone finale vince. Nell’israeliano Stuck! (non ancora in onda) i concorrenti cercano di far rimanere attaccato alle loro “tute appiccicose” quanto più denaro possibile, senza però rimanere attaccati a loro volta da qualche parte. Il caso più emblematico è però forse Upside Down (dall’Olanda, di nuovo). Come dice il titolo, tutto nello studio è letteralmente sottosopra e i concorrenti, anche in questo caso famosi, devono rispondere a domande e superare prove di vario tipo a gambe all’aria, o comunque tenendo conto di questo cambio di prospettiva. Non c’è alcun messaggio, ovviamente, se non quello di un sano e disimpegnato divertimento. Ma se ci fosse, questo sarebbe: il mondo è sottosopra? Giochiamoci su…


Combat format

Fa’ la cosa giusta

Dal clima alla moda sostenibile, anche i format aiutano a rendere il mondo migliore. L’importante è farlo divertendoci.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Fa’ la cosa giusta

Sotto questa etichetta, troviamo tutti quei format che trattano tematiche eticamente e socialmente sensibili come il cambiamento climatico, i consumi consapevoli, e quant’altro. È una tendenza recente, che si sta affermando anche se timidamente nell’ultimo periodo. Speriamo che cresca, ovviamente; ma, soprattutto, speriamo che trovi la giusta chiave capace di coniugare in modo efficace “impegno” e intrattenimento. Perché, diciamo la verità, per ora questi programmi sono un po’ sbilanciati sul primo termine. E se un format non assolve al suo compito principale, che è appunto di intrattenere in modo piacevole, tutte le altre sue caratteristiche passano inevitabilmente in secondo piano. 

Uno dei precursori del trend viene, non a caso, dalla Svezia. Un paio d’anni fa circa il servizio pubblico Svt ha messo in onda Climate Bootcamp, definito un “eco-format”, forse il primo in assoluto. Alcune celebrities locali si pongono una semplice domanda: quale aspetto della loro vita ha un maggiore impatto negativo sull’ambiente? Viaggiare troppo? Alcune cattive abitudini alimentari? Qualcos’altro? A questo punto, individuato l’obiettivo, si ritirano nel bootcamp del titolo per correggere – si spera in modo definitivo – il loro “difetto”. Simile nei propositi è il più recente celebrity green reality The Yurt. Sei vip (di origine belga, stavolta), non particolarmente attente all’ambiente, trascorrono 5 giorni nella yurta (la tipica tenda della Mongolia) del titolo, spinti oltre la loro comfort zone, fino a superare prove a tema ambientale e ad adottare uno stile di vita più sostenibile: il premio finale andrà a una associazione che si occupa di sensibilizzare su questi temi. Cambiando genere e continente, nel messicano Re-fashion si assiste alla competizione tra giovani stilisti che devono dare vita alle creazioni utilizzando unicamente vestiti riciclati recuperati in giro per il Paese, in nome del motto “recycling is glamorous”. E questa breve rassegna si conclude con il recente format francese Dressing Challenge, sempre a tema vestiario, come si può intuire. La sfida del titolo sta nel fare una selezione nei propri armadi e imparare a consumare moda in maniera più intelligente, rivolgendo l’attenzione verso abiti di seconda mano, con l’aiuto di una famosa ex modella e fashion consultant, il vero punto di forza del programma. Buoni spunti e ottime intenzioni, come si vede. Ma manca ancora quel quid che può rendere questi titoli davvero imperdibili.


Combat format

Esperienze estreme

Molti reality portano sempre più al limite l’esperienza dei concorrenti, famosi e non. Dal carcere alle vette e al gelo.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Esperienze estreme

Push your limits! È questo il leitmotiv ripetuto (o più spesso sottinteso) in format il cui scopo è appunto di spingere i partecipanti oltre i propri limiti. È il fortunatissimo trend delle esperienze estreme, anche se questa definizione va un po’ stretta. Sì, perché nonostante sia quello lo scopo ultimo, ciò che rende il filone davvero interessante è la gamma infinita di modi con cui si persegue l’obiettivo.

Al “grado zero” ci sono i classici surviving show, con il solito gruppo di partecipanti, gettati in qualche angolo sperduto e selvaggio del pianeta, dove devono riuscire a cavarsela in qualche modo. Tra gli infiniti format che ricalcano questo canovaccio si può citare il tedesco 7 vs Wild che, dopo due stagioni di successo su YouTube, è stato acquisito da Amazon Freevee (il free streamer di Amazon): l’unico elemento di (parziale) novità è costituito dal fatto che i protagonisti sono 7 content creator che filmano in prima persona e senza filtri la loro stessa avventura, senza uno staff produttivo a supporto. Ci sono però altri modi per spingere oltre i propri limiti i partecipanti, spesso spettacolari. Per esempio, far affrontare a scalatori non professionisti arrampicate su picchi e vette mozzafiato (The Climb, prodotto e presentato da Khal Drogo – Jason Momoa, anche lui ottimo climber). Mettere dei vip su barche a remi, facendoli vogare da un capo all’altro della Gran Bretagna (Don’t Rock the Boat). Sottoporre le celebrities a una serie di sfide a temperature glaciali, sotto l’inflessibile guida di Wim Hof, a.k.a. “The Iceman” (Freeze the Fear with Wim Hof). O mettere i vip (ancora) in un carcere di massima sicurezza per un certo periodo (HMP). O addirittura chiudere i concorrenti in una casa dove devono superare una serie di prove fisiche e mentali senza dormire per sessanta ore di seguito (You Sleep, You Loose).

Il mio preferito è il finlandese Ultimate Escape. Una celebrity (e chi, se no?) è chiusa in un claustrofobico container, calato da un elicottero nel bel mezzo del nulla delle desolate e gelide lande lapponi. Un altro personaggio famoso ha 24 ore, 24 indizi e 24 chiamate a disposizione per riuscire a trovare il collega e tirarlo fuori di là, prima che il freddo diventi insopportabile. La corsa contro il tempo, abilmente costruita, e i meravigliosi panorami finlandesi rendono il programma davvero spettacolare, spingendo oltre i limiti sia il cercatore sia il ricercato.


Combat format

Travelling and cooking

Si viaggia anche attraverso i sapori, i piatti tradizionali, i bicchieri di vino. Esplorando nuove terre o ritrovando le radici.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Travelling and cooking

Il ragionamento è semplice. I programmi di viaggio, in genere, funzionano. Si vedono posti interessanti, c’è un pizzico di avventura, qualche curiosità locale, eccetera. Per non parlare di quelli di cucina: il cibo è l’argomento in assoluto più diffuso negli schermi di tutto il mondo, spalmato su tutti i generi e su tutte le reti e piattaforme possibili. Di conseguenza, unire questi due filoni – il travelling e il cooking – dovrebbe essere una strategia vincente: i format di “trav-cook” sono serviti. Anche lo schema base dei programmi è molto semplice. Una o più celebrities viaggiano in uno o più Paesi stranieri, facendo esperienze culinarie di vario tipo per riscoprire in questo modo un po’ anche sé stessi. Il cibo è uno strumento di conoscenza e di crescita personale (non molto originale, vabbè). Su questo schema le varianti sono due: o si viaggia per andare in posti nuovi, da scoprire attraverso le ricette del luogo; o si viaggia per tornare al proprio luogo di origine, da riscoprire attraverso le ricette locali.

Tra gli esempi del primo gruppo si può citare Sabor de América. Il venezuelano Chef Yisus fa un viaggio coast-to-coast negli Stati Uniti alla ricerca dei cibi latini e della cultura della comunità locali a essi collegate, in un Paese straniero vicino e distante allo stesso tempo. Al di qua dell’Oceano, invece, il rapper e chef inglese Big Zuu gira per il continente europeo, accompagnato di volta in volta da amici vip, raccontando dodici ricette tipiche di altrettante città-simbolo europee: anche qui i piatti assaggiati forniranno la chiave per conoscere meglio i luoghi visitati e – al solito – scatenare emozioni; il risultato, in onda prossimamente su Itv, è il programma intitolato Big Zuu’s 12 Dishes in 12 Hours.

Nel secondo gruppo possiamo invece citare i due “programmi gemelli” Eva Longoria: Searching for Mexico e Stanley Tucci: Searching for Italy. I due attori fanno un viaggio nelle terre dei loro avi per scoprire, anche qui, la cucina e la cultura di quei posti (e un po’ anche sé stessi, l’ho già detto?). Soffermiamoci un poco sull’ultimo, giunto alla seconda stagione (la prima ha avuto ottimi riscontri). È un po’ tutto un “Oh my God!” e “It’s so good!”, brindisi con spritz e panciuti calici di vino, viaggi in gondola e peregrinazioni nelle pittoresche viuzze di deliziosi, piccoli borghi. In pratica, un lunghissimo spot del Bel Paese, di sicuro stereotipato, ma anche molto, molto efficace.


Combat format

La comfort zone dei reboot

Tutto torna, anche tra i programmi televisivi. E le reti e le piattaforme in tutto il mondo tirano fuori i classici dai cassetti.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          La comfort zone dei reboot

Nei momenti di forti cambiamenti come quello che stiamo vivendo, la cosa più semplice da fare è prendere una vecchia hit del passato e riproporla (quasi) uguale, nella speranza che funzioni ancora. Intendiamoci: il fenomeno è sempre esistito, da quando c’è la televisione o giù di lì. Però è indubbio che non ci siano mai stati tanti reboot come in questo periodo, molti dei quali fatti “resuscitare” improvvisamente dopo anni e anni di pausa (“hiatus”, come dicono gli anglosassoni). Si tratta di uno dei trend più diffusi in assoluto a livello globale. In Europa non c’è nazione che non abbia rispolverato i suoi classici, in dosi più o meno massicce. Negli Stati Uniti forse ancora di più, visto che hanno deciso di puntare – tra gli altri – sul vecchio “panel game” I’ve Got a Secret (data prima emissione: 1952), diciassette anni dopo l’ultima messa in onda, e sull’ancor più vecchio Candid Camera Show (la versione originale, anno di grazia 1948). Idem in Sudamerica (per esempio, il Messico ha rimesso in onda il game Password dopo oltre un decennio), Asia (in Vietnam dopo sette anni è riapparso Vietnam Idol), Africa (in Sudafrica il classico Clash of the Choirs è tornato dopo sette anni) e Australia (Gladiators verrà tirato fuori dal cassetto a distanza di ben 28 anni dall’ultima comparsa, se non si conta un brevissimo speciale nel 2008). La musica non cambia con le piattaforme, che pure, sulla carta, dovrebbero svecchiare un po’ lo schermo: Netflix ha riportato in auge La Talpa/De Mol, dopo 14 anni di hiatus e Prime Video ha puntato sull’ultra-classico Takeshi’s Castle (ben 34 anni dopo la prima edizione originale giapponese).

 Non c’è scampo ai reboot, che alla fin fine però non sono neppure in grado di garantire sempre quel successo tanto atteso: dati alla mano, infatti, in quasi la metà dei casi la magia non si è ripetuta. Cito per ultimo El Grand Prix del verano, rimesso in onda l’estate scorsa, dopo quattordici anni, sul primo canale nazionale dell’azienda radiotelevisiva pubblica spagnola. È un gioco in cui due squadre, che provengono da due piccoli paesini di provincia, si sfidano in divertenti prove fisiche e mentali. Ricorda qualcosa? Si tratta dell’adattamento del format francese Interville, che a sua volta deriva, per discendenza diretta, dal nostro storico Campanile sera, in onda dal 1959 al 1962 sul Programma Nazionale. È una soddisfazione.


Combat format

Nuovissime tecnologie

Realtà aumentata e intelligenza artificiale diventano meccanismi di gioco, tra verità e finzione, con uno sguardo al futuro.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Nuovissime tecnologie

In ambito fiction le tecnologie legate all’audiovisivo (Cgi, Vr, Ar, e così via) hanno avuto da sempre una larghissima applicazione. Al contrario dei programmi non-fiction che invece, fino a poco tempo fa, non ne hanno praticamente mai fatto uso, fatte salve rare eccezioni, tra cui il norvegese Lost in Time e il danese Too Shy To Date: Love Is in VR, che hanno avuto il merito di fare da apripista. Ma le cose sono cambiate improvvisamente: la tecnologia ha fatto passi da gigante, ed è soprattutto cambiata la nostra familiarità nei confronti delle tecnologie stesse. Sta di fatto che da due o tre anni questo trend ha preso piede. Con un numero di format ancora ridotto, ma titoli interessanti (anche se forse più per le potenzialità che lasciano intravedere che per il loro valore intrinseco…).

Ci sono per esempio game che utilizzano scenografie virtuali “cost-effective” ma di grande impatto visivo (l’israeliano Bingo Blitz, l’olandese The Connection), talent show con avatar come partecipanti (l’americano Alter Ego, l’olandese Avastars, il coreano Avatar Singer) e i meta-format ambientati, in toto o in parte, nel metaverso (il coreano Girl Re:verse). Più altri di difficile classificazione, come l’inglese Your Body Uncover, in cui pazienti affetti da determinate patologie, grazie all’augmented reality e alle HoloLens entrano nel loro corpo – letteralmente – per vedere dall’interno il male che li affligge.

E infine c’è l’intelligenza artificiale, e qui il gioco si fa duro. I format che ne fanno uso sono pochi, ma sono destinati ad aumentare, grazie anche a fondi speciali messi a disposizione dai grandi gruppi mediali. Uno dei più recenti è il dating spagnolo Falso amor, su Netflix, che utilizza l’“AI deepfake technology” per mettere alla prova cinque coppie. I dieci partecipanti prima sono divisi in magnifiche ville tropicali e poi sono sottoposti a tentazioni incrociate da parte di aitanti seduttori. Ok, tutto già visto, in fondo è come Temptation Island. Certo, ma con una novità. I video delle rispettive scappatelle possono essere clamorosi fake, utilizzando comparse a cui è sovrapposto il volto di uno dei concorrenti, generato appunto dall’AI. Qui si scherza, ma la possibilità di creare falsi personaggi, famosi o meno, con questa tecnologia è uno dei punti contro cui si battono gli attori americani in sciopero. Deep fake sì, ma le paure sono parecchio reali.


Combat format

Il valore dell’inclusività

Le televisioni di tutto il mondo raccontano realtà sempre più diverse. E lo fanno con giochi, factual, ed emozioni.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Il valore dell’inclusività

“Inclusività” è – a ragione – una delle parole-chiave della contemporaneità. Ed è naturale che i format, che della contemporaneità sono lo specchio, nel migliore dei casi, riflettano anche questa tendenza. Si tratta di un mondo sfaccettato e complesso, che contiene al suo interno molteplici filoni eterogenei. Ci sono le tematiche Lgbtq+, i cui contenuti, comparsi nel panorama mediale relativamente di recente, si sovrappongono quasi per intero al trend “All You Need Is Love”, sul trionfo dei dating show. Uno dei precursori è I Kissed a Boy, annunciato come il primo dating show gay della tv. Dieci ragazzi single sono alla ricerca dell’amore, ma la novità è un’altra: “non appena si incontrano, si baciano. Niente chiacchiere, nessun flirt, solo un momento degno di una commedia romantica che potrebbe togliere il fiato”. Così Bbc ha annunciato il format, quasi un anno e mezzo fa. In seguito è arrivato Coming Out For Love, il primo dating show omosessuale femminile e infine, a giugno scorso, Love Allways, il primo “pansexual dating show”. Inizialmente circoscritto al solo ambiente anglosassone, il filone si sta ora consolidando anche in altri territori, come dimostra il caso di The G-List, un factual sudafricano che racconta la vibrante comunità queer di Johannesburg. 

Ci sono poi i programmi sulla disabilità, con una storia più lunga alle spalle. Format, per esempio, che hanno per protagonisti persone con la sindrome di down, con titoli che sfruttano in modo autoironico il gioco di parole (Upside Down, Down the Road, Down For Love), sono diffusi da tempo. Anche in questo caso, però, si sta ora assistendo a uno sviluppo importante, con titoli caratterizzati da un linguaggio privo di retorica e davvero inclusivo. Gli esempi sono molti: si va da Unbelievable Me, trasmesso anche in Italia con il sottotitolo “storie straordinarie”, a Sexy Hands, interessante dating per non vedenti; da How “Mad” Are You, che, come dice il titolo, ha come protagoniste persone affette da disturbi mentali, fino a Little Women, con le avventure di un gruppo di donne affette da nanismo. E c’è pure un piccolo classico: The Restaurant that Makes Mistakes. Quattrodici giovani protagonisti con varie forme di demenza aiutano un cuoco stellato a gestire il suo ristorante di Bristol, per poi dar vita a un loro business. Semplice e toccante. 


Combat format

Carissimi pet

Cani, gatti e altri animali: sempre più le tv mettono al centro le bestiole e i loro proprietari. Cercando il match perfetto.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          Carissimi pet

Prima della pandemia i pet show, molto semplicemente, non esistevano proprio. Al massimo c’era qualche speciale su prove di agilità canina sponsorizzato dai brand del settore. Ma erano casi rari e, diciamo la verità, abbastanza trascurabili. Poi c’è stato il covid, gli amati cuccioli sono entrati ancora di più nella nostra vita quotidiana e le serie su di loro sono letteralmente esplose, dando vita di punto in bianco a un fiorentissimo trend. Almeno in Occidente: Europa e Oceania soprattutto, un po’ meno in America, quasi per niente nel resto del mondo. L’interesse è dato dal fatto che è stato declinato in tutte le forme e in moltissimi generi: abbiamo il makeover (Pooch Perfect), il coaching/training (Puppy School, Underdog to Superdog), il medical (Special Need Pets), il thriller (Pet Detectives). Ci sono programmi che permettono ai padroni di ritrovare i loro cani smarriti (Lost Dogs: Live) e quelli per fare perdere peso ai cani stessi insieme ai loro proprietari (Dieting With My Dog). E via di questo passo canino.

Manca però – almeno per il momento – il format di punta, quello capace di imporsi sul mercato e di essere esportato in un numero considerevole di Paesi. Forse quello che più ci è riuscito, e che trovo più divertente, è il francese Dating With Dogs, format che si intreccia con un altro dei super-trend del mercato – All You Need Is Love – perché questa è la natura dell’intrattenimento, ibrido per definizione. In Dating With Dogs abbiamo una o un single (umano e incallito cinofilo), che cerca l’anima gemella attraverso la speciale app del programma. Quello che sceglie però in prima battuta non è il potenziale partner, che non può nemmeno vedere, ma il suo cane. Se piace il cane, infatti, dovrebbe piacere anche il padrone, no? Ma non è finita. Perché prima bisogna testare la compatibilità degli animali (quello del single e dei tre pretendenti selezionati), in romantici tête-à-tête al parco. Sulla base di questi primi incontri il single elimina uno dei potenziali partner senza neppure averlo ancora visto, perché tanto se tra le due bestiole non c’è feeling è inutile proseguire. Solo a questo punto il single, i due pretendenti rimasti e i rispettivi cani trascorreranno un weekend tutti insieme, per testare l’alchimia e le dinamiche di coppia. E finalmente il single esprimerà il suo verdetto finale, che tiene conto dei suoi gusti, ma anche (e forse soprattutto) di quelli del suo amatissimo amico a quattro zampe.


Combat format

All You Need Is Love

Da Stranamore in poi, le relazioni di coppia sono un formidabile meccanismo di gioco. Con taglio intrigante o ironico.


immagine articolo							                      							                      							                      							                      							                      							                      		                                                         	                                                          All You Need Is Love

Che l’amore e le dinamiche di coppia siano da sempre alla base di una quantità infinita di prodotti mediali – e quindi anche dei format – è persino banale. Ma, come nel caso dei reboot, è indubbio che non ci sono mai stati tanti dating show come in quest’ultimo periodo. Il perché è presto detto: è di gran lunga il genere unscripted preferito dalle piattaforme streaming, che lo usano per catturare il target più giovane. Oltretutto, godendo le Ott di maggiori libertà editoriali, possono permettersi contenuti un po’ più espliciti (non ditemi che non avete mai dato una sbirciatina a Too Hot To Handle su Netflix…). Le tv “classiche” (o almeno le più “illuminate”) cercano di stare al passo, e così i contenuti di questo trend affollano ormai gli schermi di (quasi) tutto il mondo.

Le variazioni sul tema sono pressoché infinite. Alcuni esplorano l’amore (e il sesso) nella terza età (il belga Hotel Römantiek); altri, ben più hot, affrontano invece quello delle coppie aperte (il britannico Open House: The Great Sex Experiment). Ci sono format che hanno come protagonisti coppie separate (il portoghese The Second Chance Ex-periment), o genitori single (l’americano My Mum, Your Dad). Ci sono dating collegati, anche dal punto di vista commerciale, a moderne app di incontri (lo spagnolo Climax, l’indiano Swap Ride) e dating che invece fanno “regredire” i partecipanti alla condizione animale (Love in The Jungle). Ci sono dating con imbroglioni (l’americano Fboy Island, il giapponese IShe the Wolf?) e altri con protagonisti che si vedono per la prima volta di persona dopo aver flirtato online (Love In the Flesh). E ancora: programmi con coppie di gemelli (Twin Love) o signore più mature (Milf Manor), che giocano sulla differenza d’età (Love For The Ages) o sugli ex (Ex On the Beach). La lista può continuare a lungo.

Ma possiamo concluderla con un dating tedesco, uno dei pochi che trattano il tema con un po’ di sana ironia (non a caso il programma è presentato da un famoso comedian). In Rate My Date un/a single deve scegliere tra dieci pretendenti. Questi però sono già stati valutati e “classificati” dai familiari e amici del protagonista, che hanno abbinato i dieci ad altrettanti premi di diverso valore (da 25.000 a 1€). Solo dopo che il single avrà fatto la sua scelta, scoprirà se con il nuovo/a partner partirà per una splendida vacanza alle Seychelles, o se si dovranno accontentare di un gelato in uno squallido autogrill.