Stories di tv
L’insostenibile leggerezza di Mahmood
All’Eurovision Song Contest abbiamo di nuovo visto il lato sgangherato del cantante, contraltare a stile e pose.

Emma Marrone walked so Mahmood could run. Non è una frase davvero pronunciata da qualcuno ma l’adattamento di un meme che gira da anni su Twitter. Si usa per dire che spesso i grandi successi derivano dal duro sacrificio di chi ha aperto la strada tempo addietro senza essere compreso, una metafora particolarmente calzante con l’exploit dell’Eurovision in Italia negli ultimi cinque anni. Non è successo tutto all’improvviso, ci sono voluti almeno dieci anni e molti allineamenti di pianeti perché si arrivasse a questo punto; ma ciascuno, dai Maneskin a Nina Zilli, ha fatto il suo.
Di Emma all’Eurovision nel 2014 si ricordano le interviste in inglese, ritenute non all’altezza della sua performance e del suo innegabile talento. In Italia, in effetti, abbiamo una lunga tradizione di sfottò dei nostri connazionali che incespicano tra le parole anglosassoni. Eppure, quando Mahmood si è trovato nella stessa identica situazione della collega qualche anno dopo, non ha generato né indignazione né malumori. Mahmood intervistato all’Eurovision del 2019 – dove per molti, non solo italiani, quel secondo posto fu una vittoria mutilata – che regala al giornalista un pittoresco “Mi cabeza esta ciao!” non è provinciale, non è incompetente. È un campione di gaffe controllate, un perfetto mix di goffaggine e autentica coolness.
Anche durante l’ultima edizione, in coppia con l’animo più dionisiaco del duo, il giovanissimo e mai stanco Blanco, Mahmood continua a rendersi sempre più iconico, sempre più deliziosamente maldestro. Persino quando in conferenza stampa si lascia scappare un ruttino al microfono, convinto di non essere sentito, procede languido sul red carpet della sbadataggine funzionale. Un tratto estetico che cozza con la precisione meticolosa della tv – e delle apparizioni esteticamente impeccabili che lo contraddistinguono – ma che trova invece online una dimensione perfetta di accompagnamento all’istituzionalità più severa dello show.
Infatti, il vero dietro le quinte che tutti vorrebbero vedere non è tanto nelle varie declinazioni off dell’evento, ma nelle mani di Mahmood. Lui che, in piena notte, attaccato alle spalle del fidato compagno d’avventura, inforca un monopattino e gira per il centro di Torino cantando, con una diretta Instagram sgangherata che vale più di mille interviste. Spontanea, storta, complementare allo spettacolo marmoreo che regala sul palco. Una dualità, quella di Mahmood, che spiega bene anche il rapporto tra i due mezzi, nuovi e vecchi: non può esserci informalità senza formalità da spezzare.