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Divagazioni semi-serie

The Get Down

Serie tv e usanze religiose sono due perfetti argomenti di discussione. Ma cosa accade quando un titolo mette le due cose assieme? Baz Luhrmann e la religiosità hip hop.

In The Get Down vediamo un ragazzino rischiare la morte, mettere da parte una storia sentimentale e rinunciare a una soddisfacente carriera in favore della composizione di canti in rima. Usanze religiose? Gente che rischia di essere arrestata – o uccisa! – per scrivere il suo nome in maniera arzigogolata su mezzi di trasporto pubblico?

Non è male parlare di serie televisive a tavola: se ben utilizzate, forniscono un linguaggio comune per metaforizzare grandi argomenti. Ma quello che capita spesso è cadere nella valutazione stilistica o estetica: mi piace quello, e quest’altro no. Se si scivola su quel versante, una cena tranquilla può diventare veramente sgradevole. È proprio in quel momento che cerco di deviare il flusso, per arrivare a discorrere di piramidi e megaliti. Sono convinto che rimanga un diversivo sempreverde. Il campo d’azione è più ampio e variegato, ricco di teorie bizzarre e soprattutto scevro di giudizio: puoi litigare sul fatto che una serie tv ti sia piaciuta o meno, mentre non si può certo dire che la Piramide di Keope sia brutta o fatta male. In più, puoi spendere un paio di ore piacevoli a lambiccarti su come l’abbiano costruita e cosa ci combinassero dentro nei sabati sera egiziani.

Ma anche in questo genere di conversazione si incontra un grosso ostacolo. Tutto quello che non è spiegabile in termini pratici è buttato in quell’ampio sgabuzzino chiamato “usanza religiosa”. Perché sull’isola di Pasqua si erano messi a scolpire quegli enormi faccioni? Usanza religiosa. A un certo punto avevano abbattuto tutti gli alberi disponibili per tirare su quelle statue. Beh, usanza religiosa, aggiunta al fatto che erano scemi. Per i megaliti in Cornovaglia, stessa cosa. Perché sono andati a prendere quelle pietre 300 km più in là quando di sassi ce n’erano ovunque? Evidentemente le loro credenze religiose imponevano cose simili. Insomma, buttarla sull’usanza religiosa equivale a dire “non lo so, lasciamo stare”.

Tra tutti, il culto antico più inspiegabile è sicuramente l’hip hop. The Get Down è una serie televisiva che cerca di dare risposte antropologiche attraverso una ricostruzione storica piuttosto accurata. Era un periodo decisamente strano, che non trova raffronti in niente di quello che accade oggi. La prima cosa che colpisce è la quantità di persone che investivano quasi interamente il loro tempo nelle pratiche religiose, e la dedizione assoluta con cui ci si dedicavano. Difficile immaginarlo oggi, quando le nostre religioni ufficiali si limitano a chiederci al massimo un’oretta alla settimana per andare a messa. Nel Bronx di quei tempi la spiritualità pretendeva il tempo pieno, e ciò rendeva una qualsiasi prospettiva di vita professionale o sentimentale del tutto irrealizzabile.

Le pratiche erano variegate e complesse. Benché ci si potesse specializzare in una in particolare, era consigliato esercitarsi su tutte quante per raggiungere un buon equilibrio psicofisico e sociale. Queste erano: 1. scrivere il proprio nome in maniera indecifrabile su mezzi di trasporto; 2. mettere musica con i giradischi; 3. raccontare storie in rima; e 4. fare complessi balli acrobatici sui pubblici marciapiedi. Lo stile era vagamente codificato, ma era richiesto a ogni praticante lo sviluppo di una sua interpretazione personale per continuare a essere incluso nel culto – cosa che, naturalmente, porta vantaggi sia in termini spirituali che materiali, perché dopotutto si trattava di una cultura olistica. Da noi nemmeno i culti alternativi sono strutturati in modo così complesso. Se fai meditazione e yoga, raramente ti viene richiesto di ballare ruotando sulla testa o di parlare in rima. Visto dalla nostra prospettiva, l’hip hop è completamente incomprensibile: da noi più nessuno arriva a sacrificare tutto il resto per la vita spirituale.

Osservando meglio The Get Down, si intuisce che il protagonista della serie è contento di passare del tempo a scrivere delle rime. Prova sincera soddisfazione nel cantarle durante le celebrazioni. È più facile sacrificare una carriera in ufficio quando ci si diverte molto nell’ambito spirituale.

In The Get Down vediamo un ragazzino rischiare la morte, mettere da parte una storia sentimentale e rinunciare a una soddisfacente carriera in favore della composizione di canti in rima. Usanze religiose? È più facile capire, a questo punto, il trasporto di enormi massi per erigere i megaliti di Stonehenge, o il sacrificio delle vergini: si fa una volta e basta, dopo puoi portare a pascolare le pecore, o fare quello che vuoi. Gente che rischia di essere arrestata – o uccisa! – per scrivere il suo nome in maniera arzigogolata su mezzi di trasporto pubblico? Perché non scriverli in maniera più semplice, o trovare un più pratico mezzo di diffusione? Non possiamo spiegare questi comportamenti come sacrificio in nome di un’usanza religiosa. È un approccio miope e altezzoso, accusare di una tale ottusità equivarrebbe a svalutare un’intera civiltà. Tutto resta incomprensibile, se non ribaltiamo il nostro concetto di sacrificio.

Penso che il nostro errore principale sia lì. Siamo abituati a considerare le attività religiose come una noiosa pratica da espletare regolarmente per essere a posto con la società o con la salute. A certe cerimonie ci devi andare per forza, e fare un fioretto non è mai cosa piacevole. I rituali cambiano ma restano ugualmente noiosi, che siano messe o aperitivi di lavoro. Se fai yoga tutti i giorni stai bene, però è faticoso. Ma non potrebbe essere solamente un problema del nostro tempo, se i nostri culti religiosi sono così monotoni?

In effetti, non sarebbe più logico pensare che certe cose un tempo si facevano semplicemente perché erano divertenti? Osservando meglio The Get Down, si intuisce che il protagonista della serie è contento di passare del tempo a scrivere delle rime. Prova sincera soddisfazione nel cantarle durante le celebrazioni. È più facile sacrificare una carriera in ufficio quando ci si diverte molto nell’ambito spirituale. Anche dietro alla pratica di scrivere il proprio nome sui mezzi di trasporto probabilmente c’è qualche forma di piacere estetico.

Forse partendo dallo stesso concetto si possono spiegare anche una serie di altre pratiche precedenti all’hip hop. Non potrebbe essere che le faccione sull’isola di Pasqua facevano ridere? Danzare in cerchio nei cerchi di pietre di Stonehenge poteva essere una festa molto più matta di quelle a cui andiamo oggi, per quel che ne sappiamo. Probabilmente se ne scriveva poco nelle cronache di storia perché: beh, se non c’eri come faccio a spiegarti che balletti pazzi si facevano? E ne butto lì un’altra: forse tra tutti gli antichi egizi quello che veniva eletto faraone era semplicemente il più matto. Si vestiva con cappelli incredibili e faceva le danze più eccentriche alle feste. In una società con più giustizia e senso dell’umorismo, lui è quello che viene eletto a capo. Oh raga! Facciamo delle montagne triangolari in mezzo al deserto! Fa ridere! Chi non parteciperebbe a una cosa simile? Se ne parlerà per millenni. E nessuno ci capirà nulla: il più insondabile mistero racchiuso nelle Arche segrete dell’Umanità potrebbe essere proprio lo SVAGO.


Dr. Pira

Giovane promessa dell’atletica, dopo un terribile incidente decide di dedicarsi al fumetto. Nonostante abbia lavorato con numerose riviste, televisione e grandi nomi dello spettacolo (da Luca Guadagnino a Fedez a Elio e le Storie Tese), rimane noto per avere abbassato gli standard tecnici della Nona Arte con I Fumetti della Gleba, il più longevo fumetto online italiano.

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