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La televisione politica nell’era di Trump

Dopo anni passati a sottolineare il grande ruolo della comunicazione, e della tv, politica, ecco che Trump approda alla Casa Bianca. E adesso che si fa? La parola allo studioso.

[Tratto da Chuck Tryon, Political Tv. Informazione e satira, da Obama a Trump, minimum fax, Roma 2018, edizione italiana a cura di Fabio Guarnaccia e Luca Barra, traduzione di Chiara Veltri, pp. 277-297].

Quando ho consegnato la bozza finale del mio libro Political tv, Donald Trump aveva appena preso parte al primo dibattito repubblicano. In quell’occasione, com’è noto, ha insultato la conduttrice conservatrice di Fox News Megyn Kelly. Mentre gli opinionisti hanno quasi universalmente criticato Trump e cominciato a scrivere il suo necrologio politico, mi sono accorto della nascita di una dinamica molto più pericolosa, che avrebbe portato Trump alla Casa Bianca, anche se all’epoca non lo avrei previsto. Trump diceva qualcosa di offensivo – chiamava gli immigrati messicani stupratori e criminali, insultava il senatore repubblicano ed eroe di guerra John McCain, minacciava di chiedere ai suoi sostenitori di aggredire i manifestanti che protestavano contro i suoi comizi elettorali – ed era criticato severamente dai commentatori politici. A sua volta Trump usava questa pubblicità negativa per rafforzare la percezione che i mezzi d’informazione avessero un “pregiudizio” nei suoi confronti, e per estensione nei confronti degli “americani dimenticati” che sosteneva di rappresentare. Anche se spesso gli opinionisti di Cnn, Msnbc e persino dei network principali hanno condannato Trump, gli hanno anche concesso uno spazio esponenzialmente maggiore rispetto ai suoi rivali.

Nel frattempo, un’infrastruttura mediale conservatrice, guidata dal consulente di Trump e direttore di Breitbart Steve Bannon, che comprende reti all news via cavo, talk radio e soprattutto siti web politici ha contribuito a spingere la candidatura di Trump oltre tutte le aspettative iniziali. Trump ha sfruttato le divisioni politiche esistenti per vincere dapprima le primarie repubblicane e poi le presidenziali. Di conseguenza, molte delle mie conclusioni più fiduciose sulla televisione politica sembrano appartenere ormai a un’epoca completamente diversa. Per questa ragione, sono grato dell’opportunità che mi è stata offerta con questa Postfazione di ripensare e riconsiderare molte tesi fondamentali del mio libro. La presidenza di Trump segna una delle ere più cupe della storia statunitense recente e il fenomeno Trump più in generale ha portato alla luce molti limiti della televisione politica stessa, in tutte le sue forme.

Delineando le tendenze principali della tv politica nell’era di Trump, ho identificato alcune tendenze fondamentali. Innanzitutto, Trump ha usato il suo potere di presidente per appoggiare rinnovati tentativi di concentrare la proprietà e il potere dei media nelle mani di un numero selezionato di imprese e per danneggiare le aziende mediali che riteneva lo presentassero sotto una luce sfavorevole. In secondo luogo, i problemi legati al ruolo delle reti all news via cavo nella copertura delle notizie si sono soltanto intensificati. Trump ha sviluppato un rapporto simbiotico con la conservatrice Fox News, in particolare con il talk show della mattina in onda sul canale. Al tempo stesso, Trump ha attaccato la legittimità di altre emittenti di informazione. In effetti, Trump si è appropriato dell’espressione “fake news”, in passato usata nella lingua inglese per descrivere i notiziari satirici, programmi di satira politica come The Daily Show e The Colbert Report, trasformandola in uno strumento autoritario per criticare la copertura delle notizie che lo metteva in cattiva luce. Allo stesso tempo, abbiamo però anche assistito a una profonda intensificazione dell’interesse per le notizie politiche, misurabile nell’aumento consistente del numero di spettatori di Cnn e Msnbc. [1]Madeline Berg, “Donald Trump May Hate the Media But They Are Both Winners This Election”, Forbes, 10 novembre 2016.

Per molti versi, i notiziari via cavo hanno prosperato sotto il profilo economico grazie al tumulto e alle controversie legati alla campagna di Trump, e persino i canali teoricamente liberal hanno qualche responsabilità della sua elezione per tutta l’attenzione che gli hanno dedicato. In terzo luogo, abbiamo cominciato a vedere la sostanziale inefficacia sia della comedy politica sia del melodramma politico come strumenti di commento alla cultura politica federale. Scrivere della televisione politica nell’era di Trump è un’attività molto rischiosa. È diventato un luogo comune, soprattutto tra gli attivisti politici, osservare che ogni giorno accadono eventi drammatici, e questo rende quasi impossibile prevedere con certezza dove porterà la presidenza di Trump. Ciò che sembra chiaro, però, è che a causa dell’intensità della posta politica in gioco, di rado in precedenza consumatori e cittadini sono entrati tanto in relazione con i media politici nel senso più ampio.

La deregulation dei media nell’era di Trump

La presidenza di Trump ha già dato inizio a una cancellazione potenzialmente pericolosa delle regole sulla proprietà dei media. La Federal Communications Commission (Fcc), guidata da Ajit Pai, designato da Trump, ha rovesciato le vecchie tradizioni che privilegiavano il localismo e la concorrenza in materia di telecomunicazioni. Questa iniziativa ha comportato per lo più l’allentamento delle regole sulla proprietà delle cosiddette emittenti affiliate, reti tv che hanno sede in una città o in una regione geografica specifica. Queste emittenti, nella maggior parte dei casi, siglano un contratto per trasmettere i contenuti di uno dei quattro network principali (Abc, Cbs, Fox e Nbc), che di solito comprendono i tg nazionali associati a quel network. [2]L’eccezione è il network Fox, che non propone un notiziario nazionale. Neppure molte affiliate di Fox hanno un notiziario locale. Ma, come spiegavo a proposito del Sinclair Broadcast Group, i proprietari delle affiliate possono anche incaricare le loro emittenti di mandare in onda i cosiddetti segmenti o programmi “essenziali”, in pratica costringendole a trasmettere alcuni contenuti, anche se non sono al servizio della comunità locale o addirittura se farlo non è nell’interesse economico dell’affiliata.

La Fcc ha eliminato una serie di altre norme, tra cui una restrizione che impediva alla stessa società di possedere un’emittente tv e un giornale nello stesso mercato, regola che garantiva che i cittadini di quella comunità potessero accedere almeno a due punti di vista diversi. Inoltre, la Fcc ha rescisso un vecchio obbligo per cui le affiliate locali dovevano avere uno studio nella comunità che servivano, regola nota come dello “studio principale”. Questo assicurava che le affiliate locali fossero presenti nei propri mercati mediali come nelle piccole comunità rurali protette. [3]Cecilia Kang, “FCC to Loosen Rules on Local Media Ownership”, The New York Times, 25 ottobre 2017. Vedi anche Andy Kroll, “Sinclair Could Be a Big Winner From the FCC’s Latest Deregulation Move”, Mother Jones, 25 ottobre 2017. Ha anche abolito una norma che impediva a un’unica società di possedere emittenti affiliate che coprissero più del 39 per cento delle case americane. [4]Michael J. de la Merced e Cecilia Kang, “TV Station Owners Rush to Seize on Relaxed FCC Rules”, New York Times, 1 maggio 2017. Tutti questi cambiamenti normativi hanno spianato la strada a società come il Sinclair Broadcast, che possono dominare i media locali in modi spesso invisibili al pubblico televisivo.

Come ha affermato Jennifer Holt, questi gruppi di emittenti più grandi si sono essenzialmente trasformati in “mini network”, ottenendo un peso sempre maggiore nelle scelte di palinsesto e nella realizzazione di programmi originali in first-run syndication. [5]Jennifer Holt, Empires of Entertainment: Media Industries and the Politics of Deregulation, 1980-1996, Rutgers University Press, New Brunswick 2011. Infine, ed è il punto forse più cruciale, la Fcc, nel momento in cui scrivo, sembra in procinto di revocare le norme che governano la cosiddetta “net neutrality” secondo cui gli Internet Service Provider (Isp) devono trattare tutti i contenuti allo stesso modo. Senza le norme che garantiscono la net neutrality, gli Isp, che solitamente offrono anche pacchetti di televisione via cavo, potrebbero bloccare o soffocare contenuti che ritengono sconvenienti o chiedere soldi in più ai “grandi” utenti. Di conseguenza, gli Isp potrebbero far pagare di più agli utenti appassionati di servizi di streaming video come Netflix o Sling Tv, concorrenti della tv via cavo. O potrebbero bloccare siti web a causa dei loro contenuti. Insomma, la Fcc di Trump ha aperto nuove strade ai conglomerati mediali per ingrandirsi di più e ottenere ancora più potere.

Il rilassamento delle norme sulla proprietà ha spianato la strada a società che inghiottono altre emittenti. Subito dopo le elezioni, basandosi per lo più sull’aspettativa che la Fcc di Trump avrebbe ammorbidito le regole sulla proprietà di affiliate, il Sinclair Broadcast Group ha annunciato un piano per acquistare il Tribune Media Group, mossa che gli avrebbe consentito di controllare oltre 230 affiliate locali e numerose reti via cavo, e c’è stato chi ha ipotizzato che Sinclair avesse un piano a lungo termine per lanciare un altro canale all news via cavo, potenzialmente più a destra di Fox News. Il piano di acquisizione di Tribune Media è il culmine di decenni di tentativi di abrogare o di annacquare i regolamenti che governano le telecomunicazioni, in termini sia di limiti alla proprietà sia di restrizioni ai commenti politici. Se la televisione via cavo, lo streaming video e altre forme di distribuzione online hanno alterato in modo decisivo il panorama mediale, la televisione via etere ricopre ancora un ruolo importante nell’informare il pubblico sulla politica locale e nazionale.

I sondaggi del Pew Research Center mostrano regolarmente che i consumatori si fidano dei notiziari locali più delle altre opzioni a loro disposizione, compresi le reti all news via cavo. [6]Michael Barthel e Amy Mitchell, “Americans’ Attitudes About the News Media Deeply Divided Along Partisan Lines”, Pew Research Center, 10 maggio 2017. E il Sinclair Broadcast Group è in procinto di erodere questa fiducia sia allontanandosi dalla comunità di cui è al servizio sia attraverso il suo uso considerevole di segmenti “essenziali” che promuovono idee politiche conservatrici, compresi alcuni che hanno visto la partecipazione dell’ex consulente di Trump e attuale analista politico senior di Sinclair, Boris Epshteyn. Nei suoi monologhi di due minuti, “Bottom Line With Boris”, spesso Epshteyn simulava equilibrio ma sosteneva invariabilmente la politica di Trump. Sinclair esige inoltre che le sue affiliate trasmettano i segmenti del Terrorism Alert Desk del commentatore conservatore Mark Hyman, che alimentano le paure della popolazione nei confronti dei terroristi islamici; una tecnica che offre una (falsa) giustificazione ai tentativi da parte di Trump di attuare un “travel ban” che impedisca a persone provenienti da Paesi a prevalenza musulmana di entrare negli Stati Uniti.

Come sostengo nel capitolo sull’informazione, Sinclair ha una lunga storia di sostegno ai politici conservatori, a partire dal 2004, quando ha impedito a tutte le sue affiliate Abc di trasmettere un episodio di Nightline in cui il conduttore Ted Koppel leggeva i nomi di tutti i militari Usa morti durante la guerra in Iraq. Il Washington Post ha riferito che durante le elezioni del 2016 il Sinclair Broadcasting ha ordinato alle sue affiliate locali di informazione di trasmettere una serie di segmenti “essenziali” che mettevano in discussione l’idoneità di Hillary Clinton alla presidenza, tra cui servizi incentrati sul suo stato di salute e sul fatto che aveva usato un server di posta privato. [7]Paul Farhi, “Here’s What Happened the Last Time Sinclair Bought a Big-City Station”, Washington Post, 8 maggio 2017. Non ci sono stati servizi paragonabili che abbiano messo in dubbio lo stato di salute o i documenti aziendali di Trump. Inoltre Sinclair produce numerosi programmi informativi di destra, tra cui Full Measure, condotto da Sharyl Atkisson, oltre ai segmenti “Bottom Line with Boris” che le affiliate sono costrette a trasmettere un minimo di nove volte a settimana.

Infine, oltre ad avere un’influenza smisurata sulla politica locale e nazionale, le affiliate dei network, comprese quelle di proprietà di Sinclair, possono chiedere compensi relativamente alti per la ritrasmissione ai provider via cavo e satellitari, e la pubblicità rimane fiorente, soprattutto negli anni delle elezioni, quando c’è molta più richiesta di slot pubblicitari. Negli Stati Uniti, i media locali continuano a essere uno spazio conteso, in gran parte a causa della loro smisurata influenza sulle comunità che servono. Questa perdita del controllo locale potrebbe rendere ancora più difficile per i consumatori l’accesso a notizie e informazioni locali affidabili. Quando parliamo di televisione politica, non dobbiamo separare il contenuto dal medium. E il medium televisivo non è semplicemente una conseguenza delle sue proprietà fisiche, ma è anche il prodotto di leggi, regolamenti, norme, convenzioni e idee condivise che lo controllano.

Trump, forse in virtù della sua carriera passata di venditore, ha capito meglio di tutti gli altri candidati nella storia recente che l’attenzione, come la politica, per usare un’espressione di Tim Wu, è un “gioco a somma zero”

Una delle tesi principali di Political tv era la convinzione che i notiziari satirici, come The Daily Show e The Colbert Report, contribuissero a promuovere innovative forme di alfabetizzazione mediale. Questi programmi, ho sostenuto seguendo l’opera di Jeffrey P. Jones, sono riusciti a svelare le tecniche narrative delle reti via cavo attraverso l’imitazione parodica. [8]Jeffrey P. Jones. Entertaining Politics: Satiric Television and Political Entertainment, 2a ed., Rowman & Littlefield, Lanham 2010. Ma se la comedy politica ha avuto una rinnovata visibilità nell’era di Trump, non è chiaro però se queste forme di alfabetizzazione mediale continuino a offrire una cornice entro cui criticare i fallimenti dei mezzi di informazione politica. Certo, i conduttori dei talk show di tarda serata sono incoraggiati a criticare apertamente Trump e le politiche del partito repubblicano in generale. L’elemento del commento politico segnala un cambiamento nei late night, che tendevano a evitare la politica di parte, in parte a causa della loro eredità storica e della loro relazione con l’obiettivo di attrarre un pubblico più vasto possibile. Durante l’era dei network, l’umorismo sull’attualità era gradito, soprattutto quando prendeva in giro le manie di personaggi pubblici, politici compresi (la passione per le donne di Clinton, la difficoltà di esprimersi di Bush). Tuttavia, nell’era post-network, persino i network possono prosperare con un pubblico di nicchia più piccolo ma più devoto, e in gran parte gli show di tarda serata sono diventati il territorio di un pubblico più giovane e liberal, che apprezza i commenti politici più affilati.

I conduttori dei late night contemporanei, come Jimmy Kimmel e Stephen Colbert, si sono rivelati in effetti sostenitori di cause cruciali. In particolare, Kimmel ha pronunciato un intenso discorso sull’intervento al cuore del figlio neonato e ha sottolineato che senza un’assicurazione sanitaria accessibile avrebbe dovuto contrarre un debito importante per pagare l’operazione. Il discorso commovente di Kimmel ha avuto un ruolo importante nel salvataggio, quanto meno temporaneo, dell’Affordable Care Act. [9]Mentre scrivo, il Congresso degli Stati Uniti è in procinto di approvare una riforma fiscale che comprenderebbe l’abrogazione del mandato dell’Affordable Care Act per cui tutti i cittadini americani devono avere un’assicurazione sanitaria. Analogamente, il suo monologo sulle leggi sulle armi da fuoco dopo la strage di Las Vegas è servito per un breve momento a mandare avanti la conversazione su questo tema. In entrambi i casi, Kimmel ha usato il suo personaggio da uomo della strada per invitare gli spettatori apatici a un maggiore coinvolgimento, chiedendo loro di chiamare il proprio rappresentante al Congresso o di impegnarsi in altre forme di attivismo. Invece Jimmy Fallon, conduttore di The Tonight Show su Nbc, ha subito pesanti critiche quando ha fatto il buffone insieme a Donald Trump, all’epoca ancora candidato, arruffandogli persino i capelli, dopo che nell’intervista aveva rilasciato molte delle sue dichiarazioni più controverse. Proprio quello stesso giorno, Trump era stato bersagliato per essersi rifiutato di dire che Barack Obama era nato negli Stati Uniti. Di conseguenza, Fallon ha visto crollare sia la sua reputazione sia gli ascolti del suo programma, mentre la popolarità di comici più apertamente politici come Colbert e Kimmel è aumentata, dimostrando forse una volta per tutte che la televisione non è più il medium di massa che poteva aspettarsi di raggiungere una larga fetta del pubblico americano lungo tutto lo spettro ideologico e non solo. [10]David Itzkoff, “Jimmy Fallon Was On Top of the World. The Came Trump”, The New York Times, 17 maggio 2017.

Saturday Night Live (Snl), invece, si è allontanato dagli sketch basati sul personaggio per dedicarsi all’umorismo politico. Nato nell’era dei network, Snl vanta una storia di umorismo legato all’attualità ma politicamente neutro. Le imitazioni di un goffo Gerald Ford, di George H.W. Bush che non riesce a mettere insieme due parole e di un Clinton uomo di voraci appetiti probabilmente hanno influito sulla percezione pubblica di questi politici, ma con poche eccezioni queste parodie basate sulla personalità erano di rado apertamente politiche. In un certo senso, questo è cambiato con le elezioni del 2016 e con l’ascesa di Trump. L’imitazione di Trump proposta da Alec Baldwin – sia da candidato sia da presidente – è diventata un appuntamento televisivo per i fan della comedy politica. L’imitazione di Baldwin era talmente penetrante che ha persino spinto Trump a lamentarsi del programma su Twitter – la piattaforma che usa più spesso per attaccare i mezzi d’informazione – e a chiedere un “tempo pari” per la comedy di stampo conservatore.

Nel frattempo, l’imitazione di Hillary Clinton proposta da Kate McKinnon è riuscita a prendere in giro il comportamento da prima della classe della candidata e a renderla nello stesso tempo una figura profondamente empatica. La dolente performance di Hallelujiah di Leonard Cohen da parte di McKinnon/Clinton durante il primo sketch seguito alle elezioni del 2016 è stato uno degli sfoghi più intensi della sofferenza post-elettorale. A un altro livello, però, Snl ha riflettuto sui limiti di questa forma di satira politica. Dopo qualche tempo, l’imitazione di Baldwin ha smesso di essere divertente o penetrante, in parte perché le azioni di Trump erano spesso talmente crudeli o pericolose da superare la portata della satira politica. Come ha osservato Matthew Dessem di Slate, Baldwin ha continuato a ritrarre Trump come un buffone impreparato, anche durante la grave crisi umanitaria di Porto Rico, quando il passaggio dell’uragano Maria ha lasciato milioni di persone senza corrente elettrica e acqua potabile, anziché come un individuo capace di malevolenza. [11]Matthew Dessem, “Alec Baldwin Returns to SNL as Donald Trump, Who Is Letting People Die in Puerto Rico”, Slate, 1 ottobre 2017.

Altre forme di satira politica hanno faticato ad affrontare l’ascesa dei media alt-right. The Opposition with Jordan Klepper (2017), in onda su Comedy Central, ha cercato di confrontarsi con la tossica cultura mediale legata a estremisti di destra come Alex Jones e One America News Network attraverso l’imitazione di un teorico del complotto di destra. Seguendo la tradizione di The Colbert Report e della satira su Fox News, The Opposition deride lo stile retorico e la scenografia di programmi come Infowars. The Opposition usa quella che Sophia McClennen chiama la “satira nel personaggio”, in cui il performer incarna regolarmente un personaggio che diventa oggetto di ridicolo. [12]Sophia McClennen, “How Jordan Klepper will Win the Trump Era Satire Game”, Salon, 30 settembre 2017. Mentre Colbert prendeva in giro il sentito patriottismo di un opinionista di Fox News durante l’era Bush, però, Klepper ha cercato di far luce sulla cosiddetta alt-right, il movimento politico di destra guidato da Steve Bannon, Richard Spencer e altri, molti dei quali si identificano come nazionalisti bianchi. Jones e i suoi colleghi commentatori dell’alt-right prosperano grazie alla paura – in particolare dei musulmani, sudamericani e afroamericani – ma anche grazie al sospetto e al timore che i mezzi di informazione mainstream non ci dicano tutta la verità.

Per molti aspetti, The Opposition è una parodia tagliente e intelligente di questi generi di informazione. Klepper sfoggia una comprensione appassionata dei tropi dei media alt-right, che incoraggiano e promuovono un uomo come Trump. Persino in un’epoca in cui la politica in stile Trump è in ascesa, il programma definisce ancora l’alt-right come “l’opposizione”, strizzando l’occhio alla retorica con cui molti leader del movimento si autocollocano al di fuori del mainstream, sia dei media sia del partito repubblicano. In uno degli sketch più ispirati del programma, un segmento dedicato ai continui tentativi del partito repubblicano di abolire l’Affordable Care Act (Aca) prendeva in giro i media conservatori fornendo allo stesso tempo informazioni fattuali su come Trump e altri repubblicani avevano agito per minare l’Obamacare. Il segmento si apre con Klepper – nei panni del teorico dell’alt-right – che finge di piangere il fallimento dell’ultimo tentativo di abrogazione e di lanciare la pubblicità. La telecamera zooma all’indietro. Sul set cala il buio. E poi, dopo una battuta, Klepper richiama la telecamera e annuncia orgoglioso che la lotta non è finita e si congratula con gli spettatori che hanno continuato a guardare: “Le persone che mi hanno creduto quando ho detto che stava per partire la pubblicità? Non sono intelligenti come voi. Voi siete pronti per la verità. Questa è una trasmissione che solo voi potete conoscere. Questa è “tra noi”“. I media di parte si sono sempre occupati di costruire un senso di comunità, per quanto illusorio. Klepper mostra come i media dell’alt-right intensificano questa sensazione che le cose siano fuori controllo e che forze invisibili “ci” stiano minacciando.

Come i migliori sketch del Daily Show e del Colbert Report, informa gli spettatori e allo stesso tempo rivela una verità più grande sui media conservatori. Tuttavia, malgrado queste tattiche, è difficile capire se davvero lo show proponga una maggiore comprensione dei media conservatori rispetto a quello che già sappiamo. In un certo senso, il personaggio di Klepper è vittima dello stesso problema che affliggeva l’imitazione di Trump proposta da Baldwin: la nostra realtà politica ha raggiunto tali livelli di pericolo che è quasi impossibile trovare dell’umorismo nella presa in giro del comportamento di Trump. Questa sfida è stata espressa con forza in un segmento di Full Frontal with Samantha Bee (2016), in cui la conduttrice ha intervistato un ospite convinto che esistesse una possibilità tra il trenta e il cinquanta per cento di una guerra con la Corea del Nord. A quel punto Bee ha lasciato cadere i suoi appunti sul pavimento e ha affermato impassibile: “Queste battute non fanno più ridere”.

In gran parte, anche il melodramma politico è stato eclissato dalla realtà della politica di Washington. Melodrammi riscaldati come Madam Secretary e serie melliflue come Scandal hanno potuto fare ben poco per uguagliare la posta in gioco reale della presidenza di Trump, in cui le storyline della guerra nucleare, delle elezioni truccate e altrie minacce sono diventate materiali dei titoli dei giornali e non fantasie degli sceneggiatori di Hollywood. Se una serie tv ha colto lo Zeitgeist politico, non si è trattato di un tradizionale melodramma politico ambientato nella capitale della nazione. Ma è stata The Handmaid’s Tale, una serie distopica di fantascienza distribuita su Hulu e tratta da un romanzo scritto nel 1985 dall’autrice canadese Margaret Atwood. Invece la distopia più realistica di House of Cards, su Netflix (tralasciando qui le accuse di violenza sessuale rivolte alla star della serie, Kevin Spacey), sembra del tutto benevola se confrontata con la realtà dell’amministrazione Trump.

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Le notizie politiche nell’era di Trump

La presidenza di Trump ha rivelato ed esacerbato molti problemi insiti nei media politici americani. Ha anche evidenziato che abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio, in particolare per parlare dei mezzi d’informazione. Anche se molti osservatori continuano a lamentarsi di quelli che ritengono due versanti altrettanto dannosi di una cultura mediale polarizzata, questo non coglie le vere minacce alla democrazia costituite dai media di destra. In realtà, come ha mostrato una ricerca della Columbia Journalism Review, non è accurato affermare che i social media ci hanno divisi in due campi altrettanto radicalizzati. Il sistema mediale della destra è di gran lunga più insulare e incentrato su diversi organi di stampa dominanti, tra cui Breitbart e Infowars. [13]Yochai Benkler, Robert Faris, Hal Roberts e Ethan Zuckerman, “Study: Breitbart-Led Right-Wing Media Ecosystem Altered Broader Media Agenda”, Columbia Journalism Review, 3 marzo 2017. Quel che è peggio, queste fonti di destra spesso hanno dato la spinta al più generale agenda setting dei media, determinando il modo in cui i notiziari mainstream via cavo e via etere hanno seguito eventi e vicende importanti. Breitbart ha contribuito a imprimere una forte accelerazione al programma di Trump sull’immigrazione, pubblicando articoli in cui i migranti privi di documenti erano descritti come criminali, anche se in realtà era molto improbabile che commettessero reati violenti. Nel frattempo, gli organi di stampa di destra hanno spesso pubblicato pezzi in cui mettevano in dubbio l’integrità di Hillary Clinton, tra cui la storia sulle sue email hackerate, e in molti casi i media tradizionali hanno ripreso queste notizie.

Trump ha intensificato questa sfiducia conducendo continuamente campagne contro quelle che ha definito come “fake news”. In particolare, ha usato la sua piattaforma su Twitter per attaccare Cnn e in misura minore Morning Joe, il talk show del mattino di Msnbc. Dalle elezioni, Trump ha twittato l’espressione dal suo account personale 137 volte, arrivando persino a un certo punto a indire una gara per consegnare un “trofeo” al peggiore diffusore di “fake news”. [14]Queste cifre si basano sull’archivio Twitter di Trump e sono state calcolate al 6 dicembre 2017, poco più di un anno dopo la sua elezione. Per l’archivio Twitter di Trump vedi trumptwitterarchive.com/archive. In realtà, secondo uno studio di Buzzfeed, l’atteggiamento nei confronti dei media non è mai stato tanto polarizzato. Malgrado i notevoli fallimenti nel periodo immediatamente precedente alle elezioni, liberal e democratici hanno mostrato una fiducia sempre maggiore nei mezzi di informazione, mentre i repubblicani e i sostenitori di Trump esprimono ormai scarsa o nessuna fiducia nei confronti della stampa politica. [15] Craig Silverman, “Trump Has Unleashed “Unprecedented” Levels Of Polarization In How People View The Media, Says This New Survey”, Buzzfeed, 4 dicembre 2017. In un caso, il presidente ha addirittura minacciato di togliere la “licenza” a Nbc per aver parlato di una notizia che non gli piaceva. Il tweet di Trump, ovviamente, dimostra una mancata comprensione di come funzionano le licenze di trasmissione. Nbc, che è un network, non ha una licenza. Ha invece accordi con affiliate locali che devono richiedere le licenze. Tuttavia, la minaccia più grande a Nbc – e agli altri canali di informazione – era inequivocabile. Inoltre, Trump ha minacciato apertamente una possibile fusione tra AT&T e Time Warner. Se questa fusione rischierebbe di danneggiare i consumatori riducendo la concorrenza, il conflitto continuo tra Trump e Cnn è stato interpretato come la vera motivazione che potrebbe indurlo a opporsi all’accordo. [16] Emily Stewart, “8 Antitrust Experts on what Trump’s War on CNN Means for the AT&T–Time Warner Merger”, Vox, 6 dicembre 2017. Infine, le diatribe di maniera di Trump contro i media sono ormai diventate un modello per i leader autoritari di tutto il mondo quando vogliono attaccare i giornalisti. Il caso forse più famoso – e inquietante – si è verificato quando alcuni funzionari in Myanmar hanno definito “fake news” i reportage sulla pulizia etnica dei Rohingya. [17] Cale Guthrie Weissman, “Thanks to Trump, the “Fake News” Defense is Becoming a Global Phenomenon”, Fast Company, 4 dicembre 2017. Possiamo vedere in questo modo come gli attacchi ai mezzi d’informazione di Trump si stiano diffondendo viralmente, per così dire, fino ai leader autoritari di altri Paesi.

L’elezione di Trump ha turbato tutte le tradizionali convenzioni della tv politica americana. Gli organi di informazione principali erano del tutto impreparati ad affrontare l’ascesa del trumpismo, e in molti casi faticano ancora a capire quello che è successo durante le elezioni del 2016. Una ex conduttrice di Cnn ha sottolineato molti di questi problemi quando ha affermato che le all news via cavo stavano ricavando profitti regalando spazio gratuito a Trump, con un’attenzione che non è stata data a nessuno degli altri candidati alla presidenza appartenenti ai partiti principali, figurarsi a quelli dei partiti minori come i libertari e i verdi. Tutti e tre i canali all news principali trasmettono gli eventi pubblici di Trump in diretta, vista la possibilità che dica qualcosa di inatteso e particolarmente controverso. [18]Campbell Brown, “Why I Blame TV for Trump”, The Atlantic, maggio/giugno 2016. In effetti, durante le elezioni del 2016, uno studio della Harvard Kennedy School ha rivelato che Hillary Clinton ha ricevuto una copertura straordinariamente negativa, in larga parte incentrata sullo scandalo delle email, e che Trump ha ricevuto il 15 per cento di copertura in più rispetto a Clinton. Il vantaggio televisivo di Trump è stato amplificato durante le primarie repubblicane, quando ha ottenuto una copertura cinque volte maggiore rispetto ai suoi principali rivali: addirittura 234 minuti contro i 56 dedicati a Jeb Bush, che ha avuto il secondo blocco di trasmissione più alto; il senatore Ted Cruz ha ottenuto sette minuti scarsi. Trump, forse in virtù della sua carriera passata di venditore, ha capito meglio di tutti gli altri candidati nella storia recente che l’attenzione, come la politica, per usare un’espressione di Tim Wu, è un “gioco a somma zero”. [19]Tim Wu, The Attention Merchants: The Epic Scramble to Get Inside Our Heads, Vintage, New York 2017, p. 27. Anche la cattiva pubblicità – forse soprattutto quella – gli ha garantito di essere la notizia principale in tutti i programmi di informazione in onda sulla televisione americana.

Ma se Trump è stato l’argomento delle notizie, è stato (è?) anche il loro più avido e visibile consumatore. Secondo alcune segnalazioni, nel suo primo anno di presidenza Trump avrebbe consumato ogni giorno fino a otto ore di notizie via cavo, in gran parte naturalmente su di sé, con l’esito inquietante che spesso Fox News, in particolare, sembrava andare in onda principalmente per un solo spettatore, rivolgendosi direttamente a lui. A un certo punto i conduttori dello spiritoso programma del mattino Fox and Friends lo hanno persino invitato ad accendere e spegnere le luci della sua camera da letto nella West Wing per far vedere che stava guardando il programma. Anche se poi è stato confermato che si trattava di una messinscena, questa trovata ha rivelato comunque una verità nascosta, e cioè che il presidente americano è diventato sia il Creatore supremo sia il Consumatore supremo delle notizie politiche. Trump e Fox News, a quanto pare, sono inseparabili, e così hanno trasformato la rete via cavo in una forma postmoderna di medium autorizzato dallo stato.

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Conclusione

Secondo il Pew Research Center, l’85 per cento dei repubblicani dice di non fidarsi dei mezzi di informazione (presumibilmente diversi da Fox News, che si è data un brand di distinzione rispetto al mainstream). Questo rende praticamente impossibile il corretto funzionamento di una democrazia. La disinformazione – alimentata soprattutto sui social media come Facebook e Twitter – ha dominato il discorso politico durante le elezioni del 2016, schiacciando i tentativi di riferire in modo obiettivo le notizie. Inoltre, molti giornalisti sono caduti vittima della tendenza di presentare entrambi i lati delle notizie politiche come altrettanto validi. E dato che i media politici hanno dato per scontato che Trump avrebbe perso le elezioni, hanno dedicato le loro energie a seguire gli scandali associati a Clinton. Le conseguenze delle elezioni del 2016 saranno avvertite per decenni negli Stati Uniti e all’estero. La riduzione delle norme sull’ambiente soltanto negli Stati Uniti potrebbe causare cambiamenti climatici ancora più drammatici. I tentativi repubblicani di minare la legge simbolo dell’amministrazione Obama, l’Affordable Care Act, potrebbero togliere a milioni di americani l’assicurazione sanitaria. Anche le dichiarazioni di Trump in materia di politica estera minacciano la sicurezza di milioni di persone in tutto il mondo.

Questi pericoli ci dicono che la televisione politica non è mai stata tanto importante. L’incapacità dei media di riconoscere e comunicare adeguatamente la minaccia rappresentata da una presidenza di Trump ci ha condotto sull’orlo del baratro. Purtroppo non esistono facili soluzioni. L’assenza di regole nel sistema dei media statunitense ha agevolato una manciata di società che dominano il nostro discorso politico e regolano la diffusione della disinformazione. Nel libro, ero affascinato dal ruolo ideologico della televisione nella rappresentazione della cultura politica di Washington e nella promozione dei valori della democrazia deliberativa. Quei programmi hanno offerto la speranza che funzionari eletti bene intenzionati, anche quando non erano d’accordo riguardo a temi specifici, lavorassero tutti insieme verso il bene comune. Purtroppo quella narrazione – tipica di serie come Parks and Recreation o West Wing – è stata in larga parte distrutta.

La nostra speranza, forse, risiede in quei gruppi di attivisti come Indivisible e altri che agiscono sotto la bandiera della Resistenza, che hanno tentato di rivendicare questa narrazione positiva organizzando assemblee municipali, marce e altri eventi pubblici allineati a una democrazia deliberativa. Essenzialmente, questi gruppi hanno imparato a scardinare il nostro flusso dell’attenzione, proponendo una narrazione che contrasta la crudele visione del mondo di Trump. La Marcia delle donne, in tutto il mondo, ha attirato milioni di partecipanti ed è stata vista da altri milioni di persone in tv. Indivisible ha incoraggiato i gruppi a organizzare consigli comunali “a scranni vuoti” – la strategia usata dal movimento conservatore del Tea Party dopo le elezioni del 2008 –, in cui i funzionari eletti repubblicani sono stati invitati a partecipare a un’assemblea aperta, nella speranza che non si presentassero per paura di rispondere a domande difficili che avrebbero portato loro pubblicità negativa. Quando i legislatori non si sono presentati i partecipanti hanno però anche potuto sottolineare che la loro assenza era un indice di indifferenza.

Molti di questi eventi hanno visto la partecipazione di decine, se non centinaia, di elettori e sono stati pensati come eventi mediali che avrebbero attirato una copertura televisiva. Più di 400 persone si sono presentate a un evento che ho contribuito a organizzare a Cary, nel North Carolina, ma altre 6.400 hanno guardato lo streaming su Facebook Live e centinaia di migliaia hanno visto la notizia sui mezzi di informazione. Anche se Indivisible ha ricevuto una copertura nei media nazionali, la riuscita di questi eventi dipende soprattutto dalla risposta dei mezzi d’informazione locali, minacciati dalle politiche dell’amministrazione Trump. Questi eventi contribuiscono a rendere visibile il livello dell’opposizione all’agenda di Trump e del partito repubblicano. Non ci sono garanzie che questi tentativi di dirottare l’economia dell’attenzione funzionino. La tv – anche i notiziari locali – si nutre di novità e di mode, e i gruppi come Indivisible dovranno elaborare tecniche più creative per mantenere il livello di copertura mediale che sono stati (siamo stati) in grado di attrarre. Ma se i consigli comunali, da un lato, sono una performance di democrazia deliberativa, dall’altro rimangono radicati alla convinzione di fondo che molti dei principi utopici legati alla cultura politica di Washington restano ancora in azione, per quanto dormienti. Abbiamo bisogno di nuove narrazioni politiche, e i gruppi di resistenza anti-Trump hanno forse le potenzialità per dar vita a un futuro politico che sia allo stesso tempo più inclusivo e più democratico.


Chuck Tryon

È professore alla Fayetteville State University, dove si occupa in particolare dell'industria e del consumo cinematografico e mediale nell'era della distribuzione digitale.

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