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Podcast all’europea

Una panoramica sul mercato emergente del podcasting in Europa, tra i servizi pubblici radiofonici, le piattaforme come Audible e Spotify e le idee di producer emergenti.

Qualche tempo fa, qui su Link, avevo cominciato un discorso sul mercato (ri)emergente del podcasting, provando a fuoco cosa stava accadendo negli Stati Uniti, quali fossero i podcast americani più popolari, qual era stato l’effetto di Serial sull’ecosistema della produzione e del consumo dell’audio on demand e che tipo di mercato stava nascendo. Questo settore ha quattro caratteri principali: è transnazionale, è efficiente dal punto di vista pubblicitario, ha una bassa soglia d’accesso per i produttori (ma non è gratuito per i consumatori), ed è sempre più orientato al consumo in mobilità.

Le caratteristiche del mercato

È un mercato transnazionale, perché una volta svincolati dai limiti delle antenne radiofoniche, i contenuti sono ascoltabili in tutto il mondo, e gli unici limiti sono linguistici. Programmi radiofonici un tempo considerati di nicchia, come i radiodrammi, le serie di fiction, i documentari o il giornalismo culturale, riacquistano nuova linfa aprendosi al consumo delle tante nicchie nazionali interessate a quei generi. Serial, primo blockbuster della storia dell’audio, è stato scaricato da più di 100 milioni di persone in tutto il mondo anglofono. S-Town, lo spin-off degli autori di Serial pubblicato nel marzo 2017, è stato un altro grande successo planetario (del pianeta anglofono, of course). A gennaio 2017, insieme a Francesco Delucia, abbiamo compiuto una ricerca sui 100 podcast più popolari nelle classifiche iTunes di sette Paesi (Stati Uniti, Canada, Germania, Regno Unito, Italia, Spagna e Francia): ai primi posti europei abbiamo sempre trovato programmi di produzione americana. Allo stesso modo, in alcuni Paesi sudamericani si ascoltano programmi in spagnolo prodotti negli Stati Uniti o in Spagna, come nel caso del network di podcast originali Radio Ambulante, che produce, da New York, documentari radiofonici per il mondo sudamericano, sul modello di This American Life.

È un mercato efficiente dal punto di vista della pubblicità, perché permette di inserire nei podcast i cosiddetti dynamic ads, pubblicità che cambiano a seconda del momento e del luogo in cui stai ascoltando un contenuto, permettendo agli investitori di raggiungere target differenti in tempi differenti, prolungando il ciclo di vita del prodotto. Inoltre, la crescita dei programmatic ads, ossia la collocazione automatizzata di spazi pubblicitari, sta facendo passi da gigante anche in questo settore, e un producer indipendente con un seguito potrà facilmente trovare sponsor senza passare da alcun centro media.

È un mercato che non impone particolari soglie d’accesso a chi vuole entrare: per distribuire contenuti audio non c’è bisogno di possedere costosissime antenne. Però per chi ascolta non è gratuito come lo è la radio: l’ascolto di podcast in streaming incide sul consumo di batteria del cellulare, e quando non gira su WiFi può avere elevati costi di banda.

Infine, è un mercato orientato al consumo mobile: secondo Triton, nel 2016 il 72% degli ascoltatori di podcast americani utilizzava uno smartphone, un tablet o un altro dispositivo portatile per ascoltare podcast: anche all’interno dell’abitacolo dell’auto, la rendita di posizione della radio FM è messa in discussione da nuove tecnologie di connessione che permettono l’ascolto in streaming di musica e contenuti sonori altri da quelli radiofonici. Stiamo assistendo alla colonizzazione del drive time da parte del podcasting.

Nel 2016, il direttore di Bbc Radio1 ha annunciato di aver commissionato le prime 25 ore di programmazione disponibili solo on demand, perché, sostiene, vuole diventare “il Netflix della radio”. È un piccolo passo, ma significativo.

Cosa succede in Europa

Questo è il quadro generale. Ma ora proverò a concentrare lo sguardo sull’Europa, per capire se anche qui sta emergendo un mercato, se esistono prodotti europei pensati solo per il podcasting e se c’è un pubblico abbastanza consistente per simili contenuti.

In Europa, come negli Stati Uniti, nonostante la crescita di producer indipendenti, è ancora la radio pubblica a produrre il maggior numero di contenuti in podcast e a generare i maggiori volumi di download. Le grandi aziende di servizio pubblico, da Rai a Bbc, da Radio France alla radio pubblica tedesca, hanno alle spalle routine produttive consolidate e la loro offerta di contenuti on demand è vasta e di qualità. Solo che, nella maggior parte dei casi, questa non fa che rispecchiare la produzione tradizionale per l’FM. Quasi nessuno ha fatto il salto di qualità verso contenuti originali, pensati apposta per l’ascolto on demand su piattaforme digitali. Una piattaforma on demand della radio, per il momento, non esiste, e se esisterà è difficile che sarà inventata dal servizio pubblico.

Bbc Radio rappresenta però una piccola eccezione. È stata la prima radio pubblica nel mondo ad aver reso disponibili i suoi programmi in versione podcast nel novembre 2004, e oggi offre 536 versioni podcast dei suoi programmi radiofonici. Tra questi, 22 (17 solo da Bbc Radio4) sono tra quelli più popolari del Regno Unito secondo la top 100 di iTunes (gennaio 2017). I download annuali di Bbc Radio sono passati da 60 milioni nel 2007 a oltre 300 milioni nel 2015 (mentre in Francia, nello stesso periodo, si è passati da 50 a 125 milioni di download, e in Italia da 0 a 72 milioni nel 2015). La novità rappresentata da Bbc è che nel 2016 il direttore di Bbc Radio1 ha annunciato di aver commissionato le prime 25 ore di programmazione disponibili solo on demand, perché, sostiene, vuole diventare “il Netflix della radio”. È un piccolo passo, ma significativo. Un altro servizio pubblico, quello svizzero, ha provato di recente a sperimentare con i contenuti on demand, diventando co-produttore di una nuova serie originale, Lovers Hotel (scritta da Massimo Carlotto, regia di Sergio Ferrentino), con Audible Italia.

Sono proprio servizi come Audible, ma anche Spotify e Deezer, ad aver capito prima la potenzialità del podcasting. Tra il 2016 e il 2017, Audible (di proprietà di Amazon), Spotify e Deezer hanno prodotto le loro prime serie originali per l’on demand, seguendo l’esempio delle produzioni originali di Netflix (con l’unica differenza che le serie di Netflix sono immediatamente disponibili in più lingue su mercati diversi, mentre le serie di Audible, Spotify e Deezer sono, a parte Lovers Hotel, tutte in inglese).

Inglese, spagnolo e oltre

In Spagna è accaduto qualcosa di diverso rispetto al resto d’Europa, paragonabile a quello già successo, su più vasta scala, negli Stati Uniti. Il mercato radiofonico spagnolo infatti, fin dalla nascita assomiglia più a quello americano che a quello europeo, avendo concesso da subito la trasmissione a emittenti commerciali. In Spagna sono le reti commerciali di parola, come Cadena SER, a produrre i podcast più popolari: al momento offre 58 versioni podcast dei suoi programmi radiofonici e, tra questi, 17 sono tra i top 100 della classifica iTunes spagnola. Ma nel giugno 2016 Cadena SER, tramite gli investimenti del suo gruppo editoriale Prisa, editore anche del quotidiano El Pais, ha dato vita a Podium, una rete di soli podcast pensati apposta per l’ascolto on demand, sull’esempio di piattaforme americane come Radiotopia e Panoply. Podium conta oggi 32 serie di podcast, tra cui alcune coprodotte da marchi come Ford, la birra San Miguel e i supermercati El Corte Inglés. Sei di queste serie, anche se non supportate da passaggi radiofonici, sono tra i podcast più popolari della top 100 dell’iTunes spagnolo.

Alcuni podcast in spagnolo ripropongono la tradizione della Golden Age della narrazione radiofonica, quando storie di crimine e racconti “di paura” erano ampiamente popolari tra il pubblico emergente della radio americana.

Tra queste, in particolare, vanno ricordate due serie, tra le più scaricate di Podium. V, las cloacas del Estado è una serie di giornalismo investigativo, composta di 10 episodi, narrata da un misterioso detective sotto copertura, il cui nome è “V”. La serie indaga il lato oscuro degli ultimi quarant’anni di democrazia spagnola, scavando nella storia e nelle sue vicende sucìe, “sporche”, cercando di far emergere i misteri ancora irrisolti. Ricorda molto il lavoro fatto in Italia dallo scrittore Carlo Lucarelli con la trasmissione Blu Notte. La versione radiofonica di quella trasmissione, DeeGiallo, in onda su Radio Deejay per molto tempo, è ancora uno dei podcast più scaricati in Italia. El club del terror racconta invece storie spaventose del passato: crimini, streghe, misteri più o meno verosimili, alcuni tratti da storie vere, altri leggendari. Il formato ripropone la tradizione della Golden Age della narrazione radiofonica, quando storie di crimine e racconti “di paura” erano ampiamente popolari tra il pubblico emergente della radio americana.

Il panorama europeo del podcasting è insomma abbastanza vario: non più solo radio di servizio pubblico, ancora dominanti (per quanto?) e fondate su modelli produttivi poco adatti a nuove forme di consumo mediale, ma anche nuovi attori: radio commerciali tradizionali che si evolvono in editori digitali, come Cadena SER; piattaforme streaming come Spotify (svedese) e Deezer (francese), che iniziano a produrre i loro contenuti; ma anche editori tradizionali e producer indipendenti che si affacciano, con successo, su un mercato emergente. È il caso, per esempio, del giornale norvegese Aftenposten, il quotidiano più letto del Paese (con 1,2 milioni di lettori), che dal 2016 pubblica periodicamente 9 serie di podcast originali distribuite tramite Soundcloud, che hanno riscosso notevole successo tra il pubblico nazionale. O è il caso di un altro editore, stavolta digitale, Slate.fr, versione francese del giornale online americano, lanciata nel 2009 da un gruppo di quattro popolari giornalisti. Slate.fr è il produttore di una serie che ha destato scalpore e ha fatto molto parlare di sé (qui l’articolo uscito su Les Inrocks), Transfert: “È vero, la mia è una storia di perversione”, afferma Hugo, ed è con queste parole che ha inizio la prima puntata. È una serie originale di non-fiction condotta da Charlotte Pudlowski e ispirata dai formati statunitensi come Serial e The Heart. Racconta storie vere di persone sconosciute, che parlano in prima persona della loro vita intima, in modo molto dettagliato. Il protagonista resta anonimo per l’intera durata della puntata.

Tra i produttori indipendenti, l’esempio più interessante è il podcast britannico My Dad Wrote a Porno (in produzione tra 2015 e 2016): commedia indipendente, nata appositamente per il podcast e condotta da Jamie Morton, James Cooper e Alice Levine. Jamie Morton e suoi amici leggono e commentano capitoli tratti dal libro erotico Belinda Blinked di Rocky Flinstone, pseudonimo dietro cui si nasconde un pensionato di sessant’anni, che nella vita reale è… il padre di Jamie Morton. Il podcast è stato scaricato 18 milioni di volte (i dati risalgono all’ottobre 2016), ha dato vita a vari spin-off, tra cui un libro e una linea di merchandising. E tutto questo senza essere mai andato in onda in radio.

In conclusione, gli esempi qui riportati dimostrano che anche in Europa il consumo di serie audio originali, pensate per l’ascolto on demand, è in crescita, e che esiste uno spazio per la loro produzione, distribuzione e sostenibilità economica. Uno spazio però sempre più esterno alle routine produttive tradizionali, o che, come avvenuto negli Stati Uniti, sarà presto ri-colonizzato dai media tradizionali in cerca di nuovi mercati e pubblici. L’esempio del Grupo Prisa è paradigmatico. È molto probabile che in un futuro molto prossimo anche l’audio avrà il suo Netflix, o i suoi Netflix, e che l’ascolto non lineare, come è accaduto per il video, diventi un’abitudine centrale nella vita di milioni di persone. Fenomeni come il binge-listening (l’ascolto non stop di più puntate di una stessa serie), che richiamano da vicino abitudini simili al video, sono già realtà. L’industria dell’audio non è mai stata tanto in fermento come oggi e la radio, come la tv, non potrà sopravvivere solo facendo leva sulle sue rendite di posizione.


Tiziano Bonini

Professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena, si occupa di radio, social media, cultura digitale ed economia politica delle piattaforme digitali.

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