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L’algoritmo sempre più empatico di YouTube

Dietro al deposito infinito di video marchiato Google, nel corso di poco più di dieci anni, l’algoritmo si è affinato sempre più. Tra necessità di business e vantaggi per l’utente.

“Sapevamo che le persone arrivavano su YouTube quando avevano già le idee chiare su ciò che stavano cercando. Ma noi volevamo anche soddisfare le esigenze di coloro che non sapevano necessariamente quello che stavano cercando”.

Vi ricordate la prima volta in cui avete scoperto le potenzialità di YouTube? Io perfettamente, anche se è passato un bel po’ di tempo. Erano le vacanze di Natale del 2005, YouTube esisteva da qualche mese e io, che all’epoca avevo un blogghino di cui andavo molto fiero, ero già felice di questa presenza e dell’uso che ne facevo, come repository di video che mi permetteva in modo semplicissimo di uplodare filmati all’interno dei miei post. Ricordo perfettamente che era Natale, perché in uno dei classici film tutti buoni sentimenti e case addobbate, quelli che mandano a rullo in quei giorni, a un certo punto si sentiva un pezzo soul funk di James Brown a tema natalizio (questo). Ho provato a ricercare il titolo su internet, non senza una certa difficoltà (era un periodo pre-Shazam), ma andando su YouTube mi sono imbattuto in una serie di meravigliosi video tratti da Soul Train, programma tv californiano degli anni Settanta e Ottanta, in cui i migliori nomi del soul, del funk e della disco si esibivano con un pubblico formato da ballerini strepitosi. E sono rimasto rapito per una mezz’ora da quella meraviglia, preconizzando l’utilizzo che avremmo fatto in futuro di quel social network video.

Usciamo però dall’aneddotica personale, per provare a capire l’evoluzione di YouTube, sito che all’esterno è rimasto più o meno sempre uguale, tranne qualche restyling qua e là, ma dentro, nel cuore, ossia nell’algoritmo che lo governa, ha subito una serie di trasformazioni sostanziali.

Le origini

Partiamo dall’inizio. YouTube è nato nel febbraio 2005, il giorno di San Valentino, come “sito di hosting gratuito che consente la condivisione di video”, una semplice e utilissima piattaforma che raccoglieva gran parte dei video presenti in rete da poter visionare facilmente e incorporare in siti e blog. Nel novembre 2006 è acquistato da Google per 1,7 miliardi di dollari, e già lì si capiva che la cosa stava diventando importante, con potenzialità di espansione tendenti all’infinito. Oggi magari facciamo fatica a ricordare come lo utilizzavamo – 10 anni su internet corrispondono a 40-50 anni nel mondo offline, anche per quanto riguarda il ricordo di gesti e ritualità – ma allora il “tubo” iniziava a essere il nostro video juke box, un raccoglitore di trailer cinematografici, gameplay di videogame, highlight sportivi, cose buffe di ogni tipo e chissà quant’altro. Tutto era basato sulla ricerca attiva da parte dell’utente attraverso le query e la sottoscrizione dei canali, e quindi l’algoritmo funzionava semplicemente nell’abbinare i tag affini al contenuto dell’interrogazione. Evidentemente però in questa modalità la crescita del traffico era inferiore alle aspettative. Il Kpi (key performance indicator) prevalente riguardava il numero medio di click fatto dagli utenti su un video, ma a partire dal 2011 tutto è cambiato.

“Fino ad allora sapevamo che le persone arrivavano su YouTube quando avevano già le idee chiare su ciò che stavano cercando”, spiega Jim McFadden, ingegnere del software a capo della squadra che si occupa delle raccomandazioni. “Ma noi volevamo anche soddisfare le esigenze di coloro che non sapevano necessariamente quello che stavano cercando”. Un passaggio di paradigma e di ottica non banale, per raggiungere il quale era necessario modificare la struttura interna ed esterna della piattaforma. Le attività e le novità dei primi anni Dieci vanno tutte in quella direzione: il restyling della homepage per mettere in posizione privilegiata il feed dei video consigliati; l’introduzione di leanback, nuova interfaccia pensata per l’uso di YouTube sui televisori, che offre all’utente una selezione di video personalizzata attraverso la riproduzione automatica; la formazione di una squadra dei creators (gli utenti che realizzano e caricano video popolari), fornendo loro apparecchiature professionali di videomaking. La più importante modifica risale al 2012, quando l’algoritmo che generava i “consigli”, fino ad allora basato sul numero di click sul video, è stato parametrato sul tempo di visione. A seguito di questi cambiamenti, la permanenza degli utenti è cresciuta del 50% all’anno nei successivi tre anni. In pratica, da un sito di search e categorizzazione di video YouTube è diventato un feed di raccomandazioni personalizzate, sempre più puntuali.

Dentro YouTube è oggi presente una personalizzazione spinta a un livello davvero elevato, grazie anche a due nuove variabili introdotte nell’algoritmo, la soddisfazione dell’utente e la freschezza del contenuto: questo permette di creare un feed di video, sin dalla home, che riesce magicamente a stare tra le cose che ti piacciono e quelle più trendy e popolari, ed è proprio questa via di mezzo la grande forza della piattaforma.

Grandi e piccoli cambiamenti

Il passo successivo è del 2015, quando Google Brain, divisione che si occupa dell’implementazione di intelligenza artificiale, ha deciso di applicare a YouTube il proprio sistema di machine learning chiamato Sibyl. Una delle tecniche utilizzate è l’unsupervised learning, apprendimento senza supervisione: questo significa che gli algoritmi possono trovare relazioni tra input diversi che gli ingegneri del software non avrebbero mai immaginato. In pratica, Sibyl è in grado di generalizzare e includere modelli meno evidenti: per esempio, rimanendo in ambito di musica black, se vediamo un video di un concerto degli anni Ottanta di Prince che suona un pezzo funk, i consigli che seguiranno non saranno solo su altri video di Prince, ma anche altri brani live di D’Angelo, per esempio, e video anni Ottanta di George Clinton, Parliament o Funkdelic, che magari non sono direttamente connessi al cantante di Minneapolis, ma che lo diventano per tipo di esecuzione, decennio di riferimento e genere.

Inoltre, la stessa persona a seguito del video appena visto avrà consigli diversi a seconda se il video è visualizzato su uno smartphone (da dove oggi provengono il 60% delle ore di visione) o attraverso l’app YouTube della smart tv: nel primo caso saranno privilegiati video più brevi, mentre nel secondo quelli di durata più lunga e magari con una migliore risoluzione.

Di questi piccoli e grandi cambiamenti nell’algoritmo che governa YouTube, dicono da Google, ce ne sono stati circa 190 nel 2016 e si arriverà quasi a 300 nel 2017. L’algoritmo di YouTube è un sistema dinamico e sempre più “empatico”, con l’obiettivo primario di capire cosa realmente piace a ogni utente. Il risultato è che oggi più del 70% delle visioni sono generate dalle raccomandazioni: ogni giorno il sistema consiglia 200 milioni di video differenti, miliardi di volte, in 76 lingue diverse.

Una modifica sostanziale all’algoritmo di YouTube si è avuta in questo autunno, a seguito di quella che è stata chiamata adpocalypse: il ritiro di molti inserzionisti dalla piattaforma di Google a seguito dell’abbinamento degli spot pre-roll dei loro prodotti a video terroristici o xenofobi. Il calo verticale degli investimenti pubblicitari ha portato Google a una serie di cambiamenti nella categorizzazione dei contenuti piuttosto drastici, al punto che in un primo momento l’intelligenza artificiale non distingueva i video davvero pericolosi da quelli che trattavano l’argomento da un punto di vista solo informativo o divulgativo. In seguito, l’algoritmo è stato affinato, tenendo conto anche delle interazioni avute dagli utenti negli ultimi tre mesi, e molti contenuti prima considerati pericolosi sono stati riabilitati.

Dentro YouTube è oggi presente una personalizzazione spinta a un livello davvero elevato, grazie anche a due nuove variabili introdotte nell’algoritmo, la soddisfazione dell’utente e la freschezza del contenuto: questo permette di creare un feed di video, sin dalla home, che riesce magicamente a stare tra le cose che ti piacciono e quelle più trendy e popolari, ed è proprio questa via di mezzo la grande forza della piattaforma. Ovviamente queste considerazioni sono, come dicono quelli professionali, “lato utente”: il tema legato ai diritti e ai compensi di chi carica i filmati o le questioni legate alle pubblicità le potremmo affrontare altrove. Come dice Casey Newton su The Verge, rispetto agli altri social network basati sui feed che ti chiedono costantemente di produrre materiale per loro, YouTube non ti pressa, ma può essere goduto passivamente, come un canale tv. A differenza di quest’ultimo però, a seguito di ogni visione, il contenuto offerto si perfeziona sempre più, per venire incontro ai tuoi desideri, o magari anche facendoti discostare dalla tua filter bubble e comfort zone, con l’obiettivo di farti scoprire qualcosa di nuovo. Una lezione che probabilmente anche i network televisivi dovranno rapidamente imparare.


Michele Boroni

Scrive per Il Foglio, Wired, Il Messaggero, Rockol e Studio. Si occupa di contenuti e comunicazione per brand. Un tempo aveva un blog, ma gli è rimasto solo il nome – EmmeBi – con cui firma i suoi tweet. È stato autore tv e radio (tra gli altri Ghiaccio Bollente su Rai5 e Ogni Maledetta Domenica su Radio2) e ha scritto alcuni saggi sul marketing, ma sono tutti fuori catalogo.

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