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Intrattenimento a richiesta

La nuova frontiera delle piattaforme non lineari è l’intrattenimento. Mappatura delle idee e degli errori, tra format, diritti, consumi e il rimpianto del live.

Lo streaming e i servizi di video on demand come Netflix hanno rivoluzionato il modo in cui consumiamo la televisione, o perlomeno un certo tipo di tv. Ognuno guarda le serie a un ritmo distinto e tutti, ogni tanto, ci lasciamo andare al binge watching. Il Vod ha fatto saltare gli schemi tradizionali del palinsesto e, dal punto di vista produttivo, ha aperto a prodotti per qualsiasi nicchia di pubblico, purché disposta a pagare per quel tipo di contenuto, e solo quello. La domanda allora diventa: in questo panorama, cosa succede all’intrattenimento? I servizi Ott e Svod, come Netflix o Amazon, ma anche le piattaforme come YouTube e Facebook sono un’opportunità? Negli ultimi mesi tutti questi servizi hanno annunciato grandi investimenti nei prodotti non scripted, ma è evidente che siamo in una fase preliminare di sperimentazione, dove nessuno ha chiaro cosa succederà e quali titoli sopravvivranno. Dai primi esperimenti si possono però intravedere alcune tendenze chiare e, forse, i primi passi falsi.

Format globali, diritti globali

“È molto incoraggiante, e credo che l’idea che le piattaforme online vogliano investire in reality tv è eccitante”, ha dichiarato Rob Clark, direttore Global Entertainment di FremantleMedia, a The Hollywood Reporter. “Se queste aziende vogliono espandersi e raggiungere un pubblico più vasto, devono trovare un equilibrio tra scripted e non scripted”. Per Clark si tratta di un’evoluzione naturale. Basta guardare alla Cina (e al mercato asiatico in generale) per rendersi conto che le piattaforme online hanno investito da tempo in programmi non scripted. Proprio FremantleMedia ha recentemente venduto al servizio Vod cinese iQIYI, fondato nel 2010 dal motore di ricerca Baidu, due format di intrattenimento, Perfect Score e It Girls. Secondo dati di JPMorgan Chase & Co., gli abbonati ai servizi Svod in Cina saranno 144 milioni quest’anno, circa un quarto di tutti gli utenti di video online. iQIYI, e il rivale Youku Tudou (proprietà di Alibaba), sono leader del mercato con circa 99 milioni di utenti, il 120% in più rispetto al 2016. Non a caso, qualche mese fa, proprio Netflix ha chiuso un accordo con iQIYI per distrubuire alcune sue serie originali come Stranger Things e Black Mirror in Cina. iQIYI produce e distribuisce serie e cartoon, ma anche molti programmi di intrattenimento. Nel 2017 ha lanciato una dozzina di nuovi format. Hanno fatto molto parlare il talent show di rapper The Rap Of China o il reality Little Mr. Pet, dove sei bambini vivono insieme e imparano a prendersi cura di un cane. Come la Cina, anche l’India è un mercato che richiede contenuti originali di intrattenimento. Se ne è accorto Amazon, che ha già annunciato la produzione di tre reality show originali per quel mercato, tra cui il talent di comici Comic Kaun.

Quello che succede nel mercato asiatico dovrebbe incoraggiare produttori e distributori, ma i dubbi sono ancora tanti. “La grande domanda è se inizieremo a sviluppare programmi specificamente pensati per le piattaforme online, e sospetto che la risposta sia sì, sarebbe sciocco non farlo”, dice Clark. Lo stesso Clark, però, in un’altra intervista, questa volta a Worldscreen, ha precisato: “Chiedono programmi globali. E ci sono due cose che dobbiamo tenere in considerazione: il business model, che è un problema, ma non insormontabile. E l’altro aspetto: com’è fatto un ‘programma globale’, che aspetto ha? Come può funzionare in vari territori?”. Clark solleva due questioni cruciali. Se l’esempio cinese o indiano sembrerebbero confermare che un pubblico disposto a guardare programmi di intrattenimento online e on demand c’è, siamo però sempre nel campo di programmi prodotti per un solo mercato.

L’industria dei format si basa da sempre sulla vendita delle licenze, ma soprattutto sulla produzione di versioni locali. Come può tale modello funzionare dentro piattaforme globali come Netflix, Amazon, Facebook e YouTube, che chiedono contenuti “transnazionali”? Al tema dei diritti si aggiunge poi quello creativo.

Entrambe le questioni sono cruciali anche per John de Mol, uno che di format e business sa qualcosa (suoi sono Big Brother e The Voice). Anche de Mol, nello stesso articolo di Hollywood Reporter, evidenzia come ci sia un conflitto tra il modello di business di Netflix, che ha come target un pubblico globale dedito al binge watching, e le caratteristiche che rendono attrattiva la reality tv. “Questa è interessante perché ha una rilevanza locale, cosa che il modello di business basato sugli abbonamenti non può ancora offrire allo stesso livello. Le serie sono pensate per essere consumate per anni, mentre il reality trova la sua forza nell’immediatezza: è popolare per un periodo di tempo più breve, più focalizzato sul qui e ora”. Finora il consumo live e gli adattamenti locali sono stati alla base di successi internazionali come The Voice o Idols, ma anche di format come Jersey Shore, le cui versioni inglese o spagnola hanno spopolato (molto meno il Super Shore con protagonisti di vari Paesi). “La parte locale è fondamentale – una versione pan-europea di un format non scripted perderebbe l’appeal con gli spettatori locali”, aggiunge de Mol. “I servizi Svod non investirebbero mai, per esempio, in più di 60 versioni locali di un format come The Voice, semplicemente perché non potrebbero mai assicurare la quantità di spettatori locali necessari per renderlo utile al loro modello di business”.

Può dunque l’arrivo di Netflix nel mercato dei format romperne le regole, come in parte ha fatto con il mercato di serie e film? Come fa notare Dan Whitehead di K7 Media, in un mondo “senza frontiere” come quello digitale, il modello di business cambia: i contratti saranno un’unica vendita globale che toglie il format dalla circolazione per anni, o per sempre. È un po’ quello che è successo con Carpool Karaoke. Del format, nato come rubrica dentro al late night di James Corden e distribuito da Cbs, sono state prodotte alcune versioni locali, tra cui quella di Italia 1. Ma da quando Apple ha lanciato la sua versione, per contratto non è più possibile realizzare altri remake.

“Chiedono programmi globali. E ci sono due cose che dobbiamo tenere in considerazione: il business model, che è un problema, ma non insormontabile. E l’altro aspetto: com’è fatto un ‘programma globale’, che aspetto ha? Come può funzionare in vari territori?”

Un’opportunità per i produttori

Una cosa è entrare nel business dei format e dei programmi non scripted, un’altra invece è riuscire a creare format originali, in grado di attrarre abbonati. Altrimenti saranno solo programmi che servono a riempire un catalogo già di per sé enorme. Non bisogna però sottovalutare l’importanza di questi cambi nella gestione dei diritti. Molti broadcaster stanno lanciando servizi di streaming proprietari (come Hayu di Nbc Universal, dedicato ai reality show) e, pur di competere con Netflix, potrebbero rivedere le loro policy di acquisizione, licenza e distribuzione del prodotto ready-made. Un discorso simile vale per i produttori che, negli anni della cosiddetta peak tv, hanno assistito allo spostamento delle risorse delle reti verso i prodotti scripted, con un consistente taglio a tempi e budget dei loro programmi, soprattutto in seguito alla riduzione delle commission da parte dei canali via cavo che hanno puntato sulle serie per competere con Netflix, Hulu e Amazon.

Per i produttori di intrattenimento, il modello “aggressivo” e flessibile di Netflix è attrattivo soprattutto per l’inclinazione a realizzare stagioni complete, saltando il lungo processo di sviluppo delle reti tradizionali. “Quello che succede spesso con i canali via cavo è che ti incaricano di un primo sviluppo, poi di un altro, poi magari di un pilot e poi, sai che succede, in quei sei o nove mesi i dirigenti cambiano, e ricominci daccapo”, dice Brent Montgomery, Ceo di Itv negli Stati Uniti (che ha venduto a Netflix un reboot di Queer Eye for the Straight Guy). Il produttore Davi Lyle aggiunge: “Netflix non ti chiede un’opzione per un anno dandoti 20mila dollari e non ti dice di fare un sizzle reel che te ne costerà 60mila, come molti canali via cavo”. È così che per il team messo in piedi da Brandon Riegg (ex Nbc, chiamato da Netflix a dirigere il dipartimento di Alternative Programming) non è difficile attrarre talento e chiudere accordi con vari produttori, con l’intenzione di produrre format di intrattenimento di ogni tipo, da quelli meno cari (che Netflix paga intorno ai 400-550 mila dollari per episodio, come una tv via cavo) alle produzioni più ambiziose, per esempio Ultimate Beastmaster, che comunque costano sempre meno di una serie originale alla House of Cards.

Proprio i costi di produzione ridotti sono uno dei motivi dell’interesse dei servizi Svod per i programmi non scripted, che non sono cool come le serie ma costano molto meno. I prezzi delle serie sono alle stelle e molti si chiedono per quanto tempo ancora le piattaforme possano mantenere questo ritmo di spesa. I reality show potrebbero dunque essere la soluzione per alimentare il catalogo aumentando i margini. Anche i reality, come le serie, sarebbero capaci di attrare un pubblico fedele. “Consideriamo i titoli di intrattenimento come un eccellente motore di engagement e consumo”, ha dichiarato Lisa Holme, head of content acquisition di Hulu: “Generare molte ore di consumo è per noi una priorità, e l’intrattenimento può essere un modo cost effective di bilanciare il portfolio di contenuti”. Uno studio di 7ParkData conferma l’interesse per i reality sulle piattaforme Ott: il consumo di reality sarebbe cresciuto del 10,3% su Hulu e del 28,3% su Netflix, facendone uno dei generi con maggiore crescita su entrambe le piattaforme.

Cosa stanno producendo Netflix e Amazon

Quali tendenze è possibile intravedere, e quali lezioni possiamo imparare, dalle prime produzioni di Netflix e Amazon? Avverrà anche per l’intrattenimento quello che è successo per le serie, la proliferazione di servizi Svod sempre più “di nicchia”, rivolti solo a un pubblico specifico?

Se, per un momento, escludiamo le serie di documentari (come Making a Murderer o Chef’s Table) e alcuni speciali comunque non scripted, l’esempio più eclatante del catalogo di Netflix è Ultimate Beastmaster, una competizione che ricorda Ninja Warrior con concorrenti provenienti da numerosi Paesi. Del programma esistono differenti versioni con presentatori locali (un sistema non così diverso dal vecchio Giochi senza frontiere). Il casting dei concorrenti e dei presentatori è stato affidato a produttori locali (per l’Italia Stand by Me). “Combinare la professionalità locale di Stand By Me con il complesso work flow globale di Netflix è stato un mix molto efficace”, dice Giuliano Tranquilli, head of content & business development della casa di produzione di Simona Ercolani. “Il format contiene in sé il superamento del conflitto global vs. local con la distribuzione contemporanea nei vari Paesi delle singole versioni”. Nel caso di Ultimate Beastmaster, Netflix ha individuato un trend (il successo internazionale di Ninja Warrior) e sviluppato un prodotto globale che, seguendo quella tendenza, potesse essere declinato localmente.

Amazon sembra aver fatto un’altra scelta: ha puntato su un marchio forte. Con The Grand Tour ha cercato di sfruttare la popolarità internazionale di Top Gear e, in fondo, usa un modello di distribuzione abbastanza tradizionale (lo stesso prodotto, costosissimo – si dice 250 milioni di dollari – per tutto il mondo). Stando ai dati di Amazon, The Grand Tour è un successo, soprattutto perché, pur non essendo il titolo più visto sulla piattaforma, è quello che più avrebbe influito sulla decisione di abbonarsi al servizio. In entrambi i casi, però, si tratta di format poco “innovativi”.

In un mondo “senza frontiere” come quello digitale, il modello di business cambia: i contratti saranno un’unica vendita globale che toglie il format dalla circolazione per anni, o per sempre. Da quando Apple ha lanciato la sua versione di Carpool Karaoke, per contratto non è più possibile realizzare altri remake.

Consumare intrattenimento on demand

Quando arriverà la prossima big thing, che tutti stanno cercando, da una piattaforma online? Per capirlo, bisogna chiedersi come i servizi on demand cambiano il modo in cui consumiamo intrattenimento. E soprattutto: quali programmi si adattano meglio al consumo on demand?

“L’intrattenimento continua a funzionare in modo molto tradizionale, fa appello al consumo di gruppo e alla conversazione, e questo lo fa dipendere ancora dal live”, dice Conchi Cascajosa, professoressa di Comunicazione Audiovisiva dell’Università Carlos III di Madrid. “Il binge watching, per esempio, non funziona bene come per i contenuti di fiction. Ci sono due modi di intendere il binge watching: uno è l’ansia di vedere qualcosa quando c’è un investimento affettivo o emotivo, l’altro è dovuto a quella di essere sempre aggiornati. Per l’intrattenimento funziona bene la seconda ma non la prima, perché ti priva della conversazione sociale”. Per questo i format che meglio si adattano al consumo on demand sono quelli in cui non esiste un senso di urgenza, “quelli che hanno eliminato del tutto l’elemento di competizione dipendente da elementi esterni come votazioni, per ovvi motivi. A questi vanno aggiunti quei format che si possono associare a generi di fiction tradizionali come, per esempio, le docuserie di ricostruzione storica, i programmi di avventura o di viaggi, i documentari con struttura seriale”.

Per Giuliano Tranquilli di Stand By Me, “tutti i generi” possono adattarsi al consumo on demand. “Gli elementi drammaturgici che assicurano un forte potenziale di binge watching sono gli stessi che, rispolverando il glossario Auditel, consentono a un programma tv di avere un’alta permanenza, ovvero un alto numero di minuti visti. Indipendentemente dalla forma (scripted o unscripted) e dal genere, a contare sono la qualità dello storytelling, l’efficace costruzione di un arco narrativo, la profondità e l’equilibrio tra i personaggi”.

Cosa stanno producendo YouTube, Apple e Facebook

Dello stesso avviso è Jonathan Tuovinen, head of international della casa di produzione finlandese Rabbit Films, che ha adattato il format Ultimate Expedition, già andato in onda su Mtv3, per YouTube Red. “All’inizio, credo che funzioneranno programmi registrati, dove c’è un arco narrativo che si sviluppa su un’intera stagione”. Per Tuovinen lavorare con YouTube Red è stato una sfida, soprattutto nei tempi di produzione: “Il programma ha una finestra di produzione molto breve per questioni atmosferiche. Le riprese non si possono posporre e abbiamo dovuto fare tutto di corsa. In più, se lavori con piattaforme di questo tipo, i diritti internazionali possono essere un problema, perché servono i diritti worldwide del format e la distribuzione del prodotto finito”. Torna insomma la questione centrale dei diritti.

Nel format finlandese, otto famosi devono scalare una montagna in Perù. “Per YouTube Red non abbiamo cambiato molto la meccanica, ma i famosi sono tutte YouTube celebrities. Per questo abbiamo dovuto studiare come potevano generare contenuti anche per i loro canali durante le riprese del programma”. YouTube Red è un servizio a pagamento, disponibile in alcuni Paesi, che offre una serie di contenuti esclusivi e originali, soprattutto serie, ma anche “intrattenimento”, all’inizio costruiti intorno a star della piattaforma. Per la prima annata ha prodotto 27 film e programmi. Quest’anno saranno oltre 40. E il piano di YouTube è di allargare i suoi original anche ai non abbonati, producendo programmi con pubblicità costruiti intorno a celebrity più mainstream. “Su queste piattaforme ci saranno molti titoli basati su un talent (comedy, documentari observational, talk show), facce famose che le persone riconoscono. Chelsea Does e gli altri progetti di Chelsea Handler, o gli speciali comedy di Netflix sono un esempio”, dice Tuovinen. Vedremo allora la stessa “campagna” acquisti (per esempio, l’accordo con Shonda Rhimes) anche per l’intrattenimento? L’arrivo di David Letterman su Netflix o il progetto che Facebook sta sviluppando con Bear Grylls ne sarebbero la riprova. Ma non è una novità: i passaggi di star da una rete all’altra per attrarre spettatori sono sempre esistiti e servono ad “accreditare il potere” della nuova rete.

Con le sue prime produzioni originali YouTube ha puntato tutto sull’idea di consolidare il pubblico di giovani spettatori che già seguono gli youtubers, cercando di portarli sulla sua piattaforma a pagamento. Tutti si chiedono cosa farà Apple, decisa ad investire un miliardo di dollari in contenuti originali. Ma per ora ha puntato sul sicuro: per il suo servizio a pagamento Apple Music ha scommesso su due “temi” di sicuro appeal, la musica (Carpool Karaoke) e le app (Planet of the Apps). Di nuovo, però, si tratta di prodotti che “inseguono” modelli tradizionali. Anche i prodotti previsti per il 2018 vanno sulla stessa linea.

E lo stesso vale per Facebook Watch, piattaforma di contenuti originali di Facebook, per ora disponibile solo negli Usa. I produttori dei contenuti Watch ricevono una percentuale delle revenue pubblicitarie. Ma c’è un problema: nessuno sembra guardare questi show, ed è ancora difficile monetizzare. Facebook starebbe infatti già pensando di cambiare strategia nei prossimi mesi. Lo scarso interesse dipende dal tipo di consumo video sui social ma anche dal tipo di contenuti prodotti: funzionano meglio quelli più corti e virali. Serie come Returning the Favor, in cui il presentatore omaggia persone che se lo meritano, o Virtually Dating, in cui due persone si conoscono virtualmente, sembrano format di una tv tradizionale. Spesso però la qualità lascia a desiderare e i prodotti non sono competitivi. Se Facebook per ora non sembra rappresentare una minaccia per la tv tradizionale, dunque, è probabile che punti soprattutto a competere con YouTube. Ma deve ancora capire bene come farlo.

Forse una possibilità sta nella produzione di programmi live. Come Make Up or Break Up, non a caso già rinnovato, in cui gli utenti votano in diretta se una coppia in crisi deve stare insieme o rompere. È un aspetto che potrebbe rivelarsi centrale. Una possibilità che Facebook e YouTube hanno in comune, e che in questo caso sì, potrebbe rappresentare una minaccia per la tv. Anche le altre piattaforme punteranno sul live? Hulu ha già un servizio di live streaming. E Amazon, le cui strategie sono altalenanti, offre già alcuni eventi sportivi in diretta. Cosa che invece Netflix ha scartato. Per ora.


Algerino Marroncelli

Quando era bambino, passava i pomeriggi costruendo scenografie di plastilina e giocando “alla tv”. Da grande, ha lavorato in Italia come autore e regista e ha scritto due saggi sulla televisione. Fino a sbarcare nel 2008 a Madrid per lavorare prima a Magnolia e ora a FremantleMedia, dove si occupa dello sviluppo di programmi originali e dell’acquisizione di format internazionali. Su Twitter è @AlgeMarroncelli.

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