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Oltralpe

Cyril Hanouna, le roi de la télé

L’irresistibile ascesa di un outsider che ha scardinato i capisaldi della tv francese (per la gioia di Vincent Bolloré), tra mosse azzardate, incrinature e deliri di onnipotenza.

Vivere negli interstizi tra due Paesi mi ha portato spesso a rimanere intrappolato in discussioni su stereotipi, differenze, chi cucina meglio, chi gesticola di più. La conclusione è sempre la stessa: certi luoghi sono comuni proprio perché aiutano a delimitare bene il campo, dentro il quale poi possiamo raccontarci pezzi di verità e completarli nel modo che più ci fa sentire a nostro agio. E che non sempre ha a che fare con la realtà. Prendiamo la tv italiana. Molti francesi sono convinti che sia ancora piena di belle ragazze scosciate e ammiccanti. Se provi a dire che non è più così, pensano a uno scherzo, forse perché preferiscono un’immagine che ben si incolla a quella di un Paese allegro, che mangia la pasta dalla mattina alla sera, e si dedica alla dolce vita e al far niente. Vale anche il contrario. La tv francese, per molti italiani, è lo specchio fedele di un popolo di boriosi e sciovinisti (“che ci odiano”), ovvero una tv noiosissima, fatta di gente che parla parla parla seduta attorno a un tavolo. Vero il tavolo, vero il bla bla bla, ma è altrettanto vero che la loro televisione sa anche essere viva, caciarona, caotica, al limite del buon gusto. E poi, che ci crediate o no, con la tv francese non ci si annoia mai. Specie da quando c’è un nuovo sceriffo in città e nessuno lo aveva visto arrivare.

“Giuro di prendermi gioco della televisione e di rispettare la mia linea editoriale: nessuna linea editoriale”

Cyril Hanouna è un conduttore, autore, produttore televisivo. Amato e odiato in egual misura, presenta in diretta, ogni giorno, sul canale C8 (ex D8), dalle 19 alle 21, Touche pas à mon poste, un talk sulla tv. Il conduttore, in piedi al centro dello studio, e la squadra di chroniqueurs seduti ai lati, discutono in modo leggero, tra analisi dei programmi di ieri, previsioni su quelli di oggi o di domani, rubriche più o meno folli su quanto succede in Francia e nel resto del mondo. Ognuno segue un copione più o meno scritto: la cattiva che spara a zero su tutti, la mamma che invece sorride sempre e dispensa saggezza, il pazzo che inizia a urlare tra le risate del pubblico, l’ex conduttore caduto in disgrazia. Gli ascolti oscillano intorno al milione e mezzo e lo share tra il 5% e il 7%. Non ingannino i numeri, peraltro ben al di sopra della media di rete: il programma è fortissimo sul target commerciale (in concorrenza frontale con TF1) e traina ogni giorno la prima serata con continui sforamenti che, in un Paese così ossessionato dalle regole, sono quasi un’eresia. Soprattutto, riesce sempre a far parlare di sé, grazie alla personalità strabordante di Hanouna, che si pone come alternativo e vincente rispetto alla tv dei soliti noti. Talmente vincente da essere diventato il fiore all’occhiello del nuovo corso del gruppo Canal+ di Vincent Bolloré (di cui fa parte D8). “Nessuno nella storia della tv francese ha mai avuto una tale influenza su un network”, ha dichiarato Arthur, volto di punta di TF1. Ma come ha fatto un parvenu come Hanouna a conquistare lo scettro di Re?

Certe biografie si somigliano tutte. Da piccolo passi i pomeriggi a guardare la tv con tua nonna, intanto a scuola vai male, tuo padre ti vorrebbe medico o almeno qualcosa ma tu invece non sai bene cosa fare, finché non trovi uno stage in una piccola tv tematica. Il nostro Cyril comincia così, dal punto più basso della scala della dignità televisiva, ma sempre entusiasta e sempre voglioso di farsi notare. Non ha paura di niente, né di mostrarsi completamente nudo in diretta, né di fare crudeli scherzi telefonici alla propria madre. Con il solo talento della propria faccia tosta, il suo curriculum si arricchisce: TF1, M6, trasmissioni sugli animali, candid camera. Il punto è che i suoi programmi vanno così e così e a volte sono chiusi per bassi ascolti. Nel 2010 il suo contratto con France Télé (servizio pubblico) sta per scadere, nell’anonimato più totale. Cyril pensa allora che forse è il caso di ripartire dai fondamentali. Propone a France 4 quello che poi diventerà Touche pas à mon poste, con l’obiettivo già dichiarato di ridere sulla tv, perché “ne abbiamo abbastanza di programmi seriosi”. Hanouna plasma la trasmissione a sua immagine e somiglianza, e gli ascolti crescono. È l’inizio della risalita. Nel 2012 il gruppo Canal+ decide di comprare il canale Direct 8 (che diventa D8) e di rilanciarlo, tra le altre cose, affidando il preserale proprio ad Hanouna e a Touche pas à mon poste. Non sanno ancora di aver innescato una bomba.

Per il chiaro basta e avanza Hanouna. Eccome se avanza. I dirigenti e volti storici di Canal+ cadono come mosche. È un momento cruciale nella storia della tv francese. Tutto quello che sembrava scolpito nella pietra in pochi mesi si ribalta. L’immagine di Canal+ sbiadisce progressivamente. E Hanouna ne approfitta.

Esprit de bande vs. Esprit Canal

Malgrado qualche difficoltà, Canal+ è ancora the place to be, il regno del buon gusto, dell’eleganza. I programmi in chiaro della fascia 19-21, Le Grand Journal e Le Petit Journal, sono appuntamenti irrinunciabili, fatti dalla gente che piace per la gente che piace. L’arrivo di Hanouna e Tpmp su D8 è visto più come lo sbarco di alcuni marziani tamarri e sfigati che come un vero pericolo. L’orario è lo stesso, ma non ci può essere concorrenza: contenuti, toni, ospiti, target. Nessun punto di contatto tra il vecchio e imbattibile esprit Canal e l’esprit de bande di Hanouna.

Libero dai lacciuoli del servizio pubblico, il nostro Cyril capisce però di potersi inserire in uno spazio vuoto e riesce a sprigionare il proprio talento di animatore. Tpmp, percepito come una novità malgrado abbia già due anni, si costruisce a poco a poco una solida identità di programma ultra popolare, facile da seguire, l’ideale per “spegnere il cervello quando si torna a casa dopo una giornata di lavoro”. Hanouna ne incarna alla perfezione lo spirito “basso” con un linguaggio fatto di parole inventate, slang, sporcature, da cui è bandito ogni argomento serio. L’atmosfera è quella di un bar al terzo giro di cocktail o di uno spogliatoio di calcetto, tra risate sguaiate e sfide al buon gusto e al senso del ridicolo lanciate in diretta agli spettatori e ai propri ospiti. L’importante è spararla sempre più grossa, specie contro gli altri conduttori. Arrivano i primi screzi e le prime liti sui giornali, tutto puntualmente ripreso in diretta il giorno dopo. Insensibile a ogni critica, Hanouna tira dritto come un rullo compressore, forte dei milioni e spicci di fans che titilla ogni giorno sui social, e con la tigna delle proprie convinzioni: dico tutto quello che penso, rendo conto solo al mio pubblico, chi se ne frega dei circoli parigini che mi attaccano. Il suo obiettivo è portare Tpmp a essere “il primo talk di Francia”, e ci riesce. Partito da 500mila spettatori, in poco meno di due anni triplica i numeri. L’impero di Hanouna comincia a espandersi, tra dirette, repliche, speciali in prima serata, programmi nuovi di zecca prodotti dalla sua casa di produzione H2O e affidati ai componenti storici di Tpmp.

L’arrivo di Vincent Bolloré a Canal+ segna uno snodo fondamentale per il nostro Cyril, già socio in affari del figlio del magnate. Bolloré, come Hanouna, non c’entra nulla con il vecchio esprit Canal bobo, branché e intello. Entrambi vanno dritti al sodo: vogliono numeri, risultati, ricavi. I conti dell’azienda sono in rosso e, per rilanciare gli abbonamenti, Bolloré vuole concentrarsi sul criptato eliminando l’anomalia dei programmi in chiaro, troppo costosi e poco redditizi. Per il chiaro basta e avanza Hanouna. Eccome se avanza. I dirigenti e volti storici di Canal+ cadono come mosche. È un momento cruciale nella storia della tv francese. Tutto quello che sembrava scolpito nella pietra in pochi mesi si ribalta. L’immagine di Canal+ sbiadisce progressivamente, complici alcune decisioni discutibili e uno storytelling negativo che fiorisce sui giornali. E Hanouna ne approfitta. Da mesi corteggiato da M6, sta per cambiare casacca, ma all’ultimo momento accetta la clamorosa offerta di Bolloré di cui per mesi si parlerà sui media francesi: 250 milioni di euro in 5 anni per continuare a foraggiare il palinsesto di D8. La diga è ormai saltata. Cyril non è più l’estraneo in casa d’altri. È il capo. E il nemico da abbattere.

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I cinque mesi che fecero l’apocalisse

Tra il dicembre 2015 e l’aprile 2016 le polemiche e gli scandali attorno alla figura di Hanouna si moltiplicano a un ritmo cui i media francesi non sono abituati. Non passa giorno senza che giornali, settimanali, tv e radio si occupino di lui, in un calderone che vede provocazioni, reazioni del sistema, dibattiti. Hanouna trova il modo di riempire le ore di diretta quotidiana con una facilità impressionante. Tpmp muta pelle, e si trasforma in un quotidiano feuilleton fatto di previously, dibattiti e rilanci che non si ferma mai, sempre a partire da alcuni casi puntuali: alcuni tweet di Hanouna contro giornalisti e politici, responsabili a suo dire della vittoria al primo turno delle regionali del Front National di Marine Le Pen; un’uscita infelice del filosofo Michel Onfray che sembra suggerire un legame tra i modelli che Hanouna offre ai giovani e la scelta di alcuni di essi di imbracciare i kalashnikov e diventare jihadisti; uno sketch in cui Hanouna versa un piatto di spaghetti nelle mutande di uno degli opinionisti del programma (un giornalista di France Inter lo definisce “il punto più basso dell’abiezione mai toccato in tv”, mentre l’interessato, quello degli spaghetti nelle mutande, minimizza: “Ma no, era solo autoironia”); la copertina di Charlie Hebdo con una vignetta raffigurante un Hanouna-zanzara: “Peggio di Zika, Hanouna: il virus che rende coglioni”.

Nel marzo 2016 il magazine Society pubblica un’inchiesta approfondita su Hanouna, mettendo in discussione il core business del “boss della tv”: la trasparenza, il famoso “noi diciamo sempre la verità al nostro pubblico”. Attraverso interviste ai suoi più stretti collaboratori, alcune anonime, ne esce un ritratto inquietante: sbalzi d’umore, minacce e molestie a giornalisti e colleghi che osano parlar male di lui in pubblico, il regime di terrore dietro le quinte, le vessazioni quotidiane subite dagli impiegati. La questione viene affrontata in tv, sui social, ovunque. La risposta compatta dell’universo Hanouna è: sono solo falsità. Ma quando Franck Annese, il fondatore di Society, si dice pronto a far sentire le registrazioni audio dei suoi giornalisti, Hanouna, con un colpo da maestro, cambia discorso e sposta l’attenzione sulla talpa colpevole di aver aiutato Society. Tpmp diventa allora un gigantesco gioco di società che si conclude con una caccia all’uomo e un processo pubblico. L’indiziato, uno dei volti più amati, pur non confessando il misfatto, abbandona il programma in diretta tv, dicendo di non poter più sopportare il peso di accuse e menzogne e la gogna sui social.

In un crescendo ormai fuori controllo arrivamo ad aprile 2016. Per lanciare Nouvelle Star, un talent in onda subito dopo Tpmp, Hanouna manda un suo opinionista dietro le quinte, nel camerino di Joeystarr, rapper/attore/giurato che, a un certo punto, innervosito dalla situazione, molla un manrovescio al malcapitato inviato. Dalle risate sguaiate si passa dritti all’indignazione. Hanouna reagisce infuriato, supportato dal pubblico in studio e sui social. Esige le scuse dal rapper, che però non arrivano. La minaccia di non restituire la linea alla rete si trasforma in blocco della prima serata. Hanouna prende letteralmente in ostaggio D8, mentre i social impazziscono e la vicenda divenda trending topic mondiale. Lo psicodramma dura una ventina di minuti, il tempo sufficiente per dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che il vero direttore di rete, il vero boss, è proprio lui. Alla fine Hanouna cede il passo ma il giorno dopo condurrà il programma da solo, forte dell’attenzione pazzesca che in un solo giorno ha attirato su di sé. L’atmosfera da regolamento di conti è surreale, lo spettacolo è triste, mortificante. Del vecchio Touche pas à mon poste, il programma leggero e scanzonato che “una volta si occupava di tv”, non è rimasto più niente.


Nico Morabito

Palermitano e parigino. Coautore dei film La Dernière Séance (presentato alla Settimana della critica della Mostra di Venezia 2021 e vincitore del Queer Lion) e Fuori Tutto (Miglior documentario italiano al Torino Film Festival 2019). Ha collaborato alla scrittura del film Le Favolose (presentato alle Giornate degli autoridella Mostra di Venezia 2022). È professore a contratto all’Università di Paris Nanterre, dove tiene un corso di scrittura audiovisiva dal 2019.

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