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Bestiario tv/02

Fenomenologia dell’ospite e del regista

Rapidi e divertenti profili che tratteggiano i tic e le specificità di alcune professioni poco note del mondo tv. Seconda puntata, davanti e dietro la telecamera.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 10 - Decode or Die. L'infografica applicata alla tv del 07 marzo 2011

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L’ospite del talk show

L’ospite del talk show sta alla tv come Twitter sta alla rete: deve essere in grado, in poche battute, più o meno 140 caratteri, di condensare non soltanto il proprio pensiero ma la sua stessa identità. Se ci fosse un sindacato degli ospiti, questo combatterebbe per l’espressione di un pensiero più articolato. Ma le grandi aziende dell’etere devono giocare secondo le regole di una concorrenza che vuole tenere alti i ritmi di produzione abbattendo i costi del lavoro. Tradotto: l’ospite deve venire gratis e dire quelle due cose che possano accendere la discussione, quindi prendere il buono taxi offerto dalla rete e tornarsene a casa senza lamentarsi. La manodopera non manca, e se a qualcuno l’accordo non sta bene, lunga è la lista dei sostituti qualsiasi sia il tema del talk show. Se, metti caso (1), si parlasse di cronaca nera, la rubrica degli autori verrebbe spulciata dalla C di criminologo alla S di scrittore di gialli, passando per la P di prete, la C di complottista, la M di mago e la D di Derrick, per finire al tradizionale elenco del telefono alla ricerca di omonimi della vittima e presunti parenti dell’assassino. Se, metti caso (2), si trattasse di un talk di costume sulla depilazione maschile, basterebbe consultare la G di Grande fratello (partecipanti al), la D di donna barbuta e la M di moralizzatore di costumi. Se, metti caso (3), fosse una discussione politica, basterebbe fare il solito segnale di fumo dalla redazione del programma per essere contattati immantinente dalle varie segreterie di partito. Non a caso, il talk show politico è il genere più gettonato, per pochi semplici motivi: costa poco, perché i parlamentari vengono gratis e i giornalisti, quasi tutti, pagherebbero per essere presenti; non c’è necessità di preparazione o brief alcuno, perché i partecipanti sanno già tutti quello che devono e vogliono dire; fa audience, perché i politici parlano sopra gli altri, non ascoltano l’interlocutore e quando possono attaccano, o reiterando una sola parola o denigrando l’avversario a partire dalla sua vita privata. Così facendo hanno creato un genere perfetto, spesso attaccato dai giornalisti della carta stampata che vivono la loro condizione come un handicap, salvo poi dettare le misure dell’abito nuovo al sarto di fiducia per la prossima ospitata televisiva.

Se qualcuno di voi avesse ancora l’aspirazione a partecipare come ospite a un talk per il nobile fine di promuovere un libro, un film, un paio di ciabatte, se stesso, oppure – come più comunemente accade – l’idea di se stesso che si possono fare gli altri, ecco 10 semplici consigli per fare bella figura in tv.

1. Siate alti (intellettualmente) ma anche bassi (volgarmente) così da essere larghi (cioè popolari). Comunque siate magri, altrimenti non sarete glam.

2. Se non siete pro l’argomento del talk, siate almeno contro: dagli estremi verrà meglio inquadrato il vostro profilo migliore.

3. Se chi sta di fronte vi dà del tu, dategli del lei. E viceversa.

4. Non cercate di fare battute, non le capisce nessuno.

5. Usate espressioni dialettali: almeno guadagnerete popolarità nella vostra regione di riferimento.

6. Non usate congiuntivi e condizionali: sembrerà che ve la tirate da intellettuali. Costruite frasi tutte al presente, senza sbagliare la sintassi, altrimenti il pubblico da casa si lamenterà di pagare il canone per degli ignoranti.

7. Quando non siete interpellati, abbiate un’espressione annoiata e assente.

8. Andate prima ospiti a un talk di prima serata e solo dopo a un talk del pomeriggio: se siete già stati a quello del pomeriggio, gli autori della prima serata non vi chiameranno mai.

9. Lasciate il telefonino sempre acceso: gli autori sono autorizzati a chiamarvi anche alle due di notte.

10. Iniziare il vostro intervento con “Non sono d’accordo” ha sempre molto più senso che iniziare con “Ha perfettamente ragione”.

L’ospite deve venire gratis e dire quelle due cose che possano accendere la discussione, quindi prendere il buono taxi offerto dalla rete e tornarsene a casa senza lamentarsi. La manodopera non manca, e se a qualcuno l’accordo non sta bene, lunga è la lista dei sostituti qualsiasi sia il tema del talk show.

Il regista televisivo

Il regista di programmi tv è, tra i professionisti dello spettacolo, quello che meglio riassume in sé la dicotomia tra arte e manovalanza cognitiva tipica della tv. Il termine “regista” evoca immancabilmente arti nobili come cinema e teatro, nomi come Godard, Pinter, Antonioni, Strehler. Ma associato all’aggettivo “televisivo” ai più ricorda solo Sanremo, Drive in, i talk show e i quiz. I detrattori in toto del ruolo del regista tv sono quindi soliti definirlo “stacca camere”, ovvero colui che dalla sua postazione urla all’operatore del mixer video di “staccare”, cambiare tra una camera e l’altra. I sostenitori invece rivendicano la sua arte nel costruire il sapore e il ritmo del programma, definendo così l’identità del programma stesso. La verità non solo sta nel mezzo, ma soprattutto nel riconoscere – cosa rara, in Italia – che la tv è un lavoro di squadra tra autori, regia e produzione: una squadra in cui l’attività cognitiva flirta con l’arte e il mercato mettendo in discussione tutto, tranne gli spettatori. Insomma, avete mai sentito registi di cinema dire “questo funziona”, o “questo non funziona”? Probabilmente poche volte, anche se è la frase in assoluto più usata nel mondo televisivo. Quando una cosa funziona, è meglio se è pure bella, ma può succedere che funzioni proprio perché non lo è. Potremmo stare ore a discutere su cosa è bene e male, ci metteremmo molto meno a capire se funziona o no. E il tempo è fondamentale in tv: questa segnatevela, va sotto il capitolo “Le dure leggi della televisione”!

Tornando al nostro regista, lui – per capirci – ha le scarpe da ginnastica e i pantaloni con le tasche, non la giacca di velluto; cena con i tecnici, non con gli attori; si arrabbia, dice molte parolacce, ma è l’unico che sa portare in studio la calma e la tranquillità. Più che un artista, è un guru zen che doma il panico della diretta. È l’evidenziatore giallo che sottolinea i passaggi dello show, enfatizzando il dramma, sceneggiando la commedia: uno sbadiglio, una ruga, una lacrima o un paio di tette sono il vocabolario con cui compone lo script visivo di un programma. Se il regista ama il suo lavoro – come spesso accade – lo vedrete sorridere per aver inquadrato, con i tempi, la luce e la camera giusta, un pianto e disperarsi per essersi perso una risata del pubblico in sala. Alla fine dello show, con la voce metallica degli altoparlanti di studio, ringrazierà tutti e andrà a bersi una birra, senza chiedersi troppo se quello che è andato in onda sia buono o no: l’importante è che funzioni.


Giovanni Robertini

Direttore di Rolling Stone, ha scritto per la televisione (Avere vent’anni, L’infedele e Le invasioni barbariche) e ha pubblicato brand:new (con M. Coppola e A. Piccinini, minimum fax, Roma 2002), Tsu-nò-mi (con R. Mazzon, Milano 2005), Il barbecue del panda (Agenzia X, Milano 2010) e L’ultimo party (Isbn, Milano 2013).

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